martedì 7 febbraio 2012

«Basta schiavitù», le orche fanno causa al parco  
Azione legale contro SeaWorld: gli avvocati dei cinque cetacei si appelleranno in tribunale al tredicesimo emendamento

 
L'orca Kasatka nuota con un suo cucciolo in una vasca del SeaWorld di San Diego (Epa)
MILANO – Cinque maestose orche vivono distribuite in tre famosi parchi americani, costrette in piscine che, paragonate alle loro imponenti dimensioni, ricordano delle vasche da bagno, con l’unico compito di intrattenere gli esseri umani. Trapiantate dal loro ambiente naturale, vivono in condizioni di forte stress e le organizzazioni animaliste parlano di una sorta di tratta delle orche. E per queste moderne schiave d’America la Peta chiede ora la restituzione della libertà e la parificazione all’uomo nei suoi diritti inviolabili. Appellandosi alla Costituzione americana e all’emendamento in cui si abolisce la schiavitù. 
 
REGIME DI SCHIAVITU’- Gli avvocati di Peta (People for Etichal Treatment of Animals) sostengono che le orche (Orcinus orca) di SeaWorld siano detenute in regime di schiavitù, essendo costrette a vivere in vasche e ad esibirsi quotidianamente nei parchi di proprietà della società. E decidono di trascinare in tribunale l’organizzazione proprietaria dei tre parchi in Florida, Texas e California. Per restituire a Tilikum, Katina, Kasatka, Ulises e Corky, questi i nomi dei cinque animali, la loro dignità e liberarli dall’oppressione. Il team legale dell’organizzazione animalista ritiene infatti che quando un essere vivente viene rimosso forzatamente dal proprio habitat, imprigionato, costretto a lavorare e infine gli viene negata per sempre la libertà, ci si trova davanti a una vera e propria schiavitù. 
PARTE LESA – La causa, presentata nell’ottobre dello scorso anno e sostenuta anche da tre esperti di orche e da due ex addestratori di SeaWorld, individua nei cinque animali la parte lesa e mira a tutelare i loro diritti nel corso del procedimento. Tilikum, Katina, Kasatka, Ulises e Corky sono stati tutti catturati in mare aperto e trasferiti in vasche di cemento dalle quali escono soltanto per esibirsi di fronte agli spettatori dei parchi di Seaworld. La richiesta di Peta è quella di liberare le orche, destinandole a un ambiente che sia loro più congeniale, come i parchi marini costieri, dove ai cetacei verrebbero restituiti gli ampi spazi di movimento dei quali necessitano, la possibilità di incontrare propri simili e tutti quei comportamenti naturali che sono loro stati negati per molto tempo. 
IL TREDICESIMO EMENDAMENTO - Peta invoca per i cinque mammiferi marini l’applicazione del Tredicesimo Emendamento della Costituzione americana, entrato in vigore il 6 dicembre 1865, che sancisce l’abolizione della schiavitù su tutto il territorio statunitense. Jeffrey Kerr, uno dei legali dei cinque mammiferi marini, spiega che la battaglia giuridica crea un precedente e per la prima volta vengono ascoltate le ragioni di un essere che vive, respira e sente e, anche se non si tratta di un essere umano, il giogo della servitù non ha più diritto di esistere. Si è aggiunto infine a rappresentare le cinque orche Phil Hirschkop, l’avvocato che quarant’anni fa vinse la battaglia giuridica che portò all’autorizzazione dei matrimoni interrazziali nella sentenza Loving contro lo stato della Virginia. Ma il legale della controparte, Theodore Shaw, commenta con tono ironico che il preambolo della Costituzione degli Stati Uniti d’America non fa riferimento agli animali: «Nella storica frase We the people (noi, il popolo) nessuno alludeva alle orche». Senza contare, fa notare Shaw, che un’estensione totale dei diritti costituzionali agli animali avrebbe forti ripercussioni sugli zoo e persino sull’addestramento dei cani per la ricerca di droga ed esplosivi. 
PRIMO AVVERTIMENTO - Del resto che i cetacei mal sopportino le condizioni di vita dei parchi di SeaWorld era già stato sospettato: nel 2010 infatti un’orca uccise l’addestratrice del SeaWorld di Orlando, dopo averla aggredita e trascinata sul fondo durante un’esibizione. Due anni fa Tilikum, nota come “Tilly”, causò la morte di Dawn Brancheau, quarantenne sentinel del parco acquatico di Shamo (dopo aver già ucciso nel 1991 un altro dei suoi allenatori). Nel 2010 Peta non risparmiò le critiche, interpretando subito l’accaduto come una risposta di forte stress da parte degli animali e sollecitando SeaWorld a fermare gli spettacoli, nonostante gli attacchi di questi mammiferi marini siano episodi piuttosto rari. «L’attacco da parte di Tilly è una tragedia che non doveva accadere», disse allora l’organizzazione animalista, che però rimarcò già al tempo come non ci fosse da stupirsi delle reazioni violente di questi enormi animali intelligenti se costretti a vivere una vita da schiavi.

Emanuela Di Pasqua

 7 febbraio 2012 | 15:07

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