sabato 30 marzo 2019

La Natura si ribella! L'amaranto, l’antica pianta sacra degli Incas attacca le colture OGM
Panico tra gli agricoltori proOGM negli Stati Uniti. 

 


Le loro colture di soia OGM, nonostante i massicci trattamenti chimici, non riescono a tenere alla larga l’antico cereale naturale dell’Amaranto, che si ribella infestando i loro campi.
Gli agricoltori statunitensi hanno dovuto lasciare cinquemila ettari di soia transgenica, mentre altri cinquantamila sono seriamente minacciati. Già nel 2004, un agricoltore di Atlanta osservò che diverse piante di amaranto resistevano al potente e cancerogeno erbicida Roundup. Da allora la situazione è peggiorata e il fenomeno si è diffuso in Sud e Nord Carolina, Arkansas, Tennessee e Missouri. Secondo un gruppo di scienziati britannici dal Centro di Ecologia e Idrologia, vi è stato un trasferimento dei geni tra la pianta geneticamente modificata e alcune erbacce come l’amaranto.
Questo indesiderato e pericoloso risultato, contraddice le affermazioni dei sostenitori pro-OGM che affermano che un’ibridazione tra una pianta OGM e una pianta naturale è semplicemente “impossibile“….
A quanto pare Madre Natura si sta ribellando, portando a galla le pericolose menzogne dell’agricoltura chimico/industriale che attualmente sta avvelenando la terra, gli animali e noi esseri umani. L’erbicida potente usato, il Roundup, ha esercitato un’enorme pressione sulle piante, che hanno ulteriormente aumentato la velocità di adattamento. ” A quanto pare un gene per la resistenza agli erbicidi ha dato vita ad un impianto ibrido…
L’unica soluzione è strappare le erbacce a mano, come “una volta“, ma questo non è più possibile date le enormi dimensioni delle colture….
Inoltre, essendo profondamente radicate al suolo, questi cereali antichi sono molto difficili da estirpare. E‘ divertente notare che l’amaranto, ormai considerato un “diabolica” pianta per l’agricoltura chimico/industriale degli OGM è al contrario unapianta sacra per gli Incas. Essa appartiene ai cibi più antichi del mondo. Ogni pianta produce una media di 12.000 grani l’anno e produce molte più proteine della soia ogm, inoltre pdoruce vitamine A e C, e sali minerali.
L’Amaranto sopporta la maggior parte degli sbalzi climatici, e non ha problemi con gli insetti o con le malattie, tanto meno con la mania di prepotenza prodotta dall’incoscienza dell’uomo.
350-amaranto-dal-passato-una-risposta-per-futuroNoi tutti amanti della Natura dovremmo ringraziare la pianta sacra dell’Amaranto e da essa prendere esempio, perché come lei resiste ai pazzi esperimenti dell’uomo, noi dovremmo fare altrettanto resistendo a chi fa le guerre in nome nostro, a chi crea le crisi economiche volendoci tutti schiavi, a chi distrugge la Natura in nome di un falso progresso e che ci rinchiudi in tutte queste città soffocanti che ci rendono deboli ed insensibili ai problemi del mondo.
RESISTIAMO !
Fonte: nuestroplanetaazulcambia

Tratto da: sapereeundovere

mercoledì 27 marzo 2019

Non solo nei campi. I pesticidi infestano anche le case


La dottoressa Renata Alleva ha condotto, insieme ad altri studiosi, uno studio sull’esposizione a lungo termine a basse dosi di pesticidi sull’integrità del DNA. I risultati di un monitoraggio effettuato in Val di Non su residenti sani sono stati pubblicati in due riviste scientifiche

di Goffredo Galeazzi


La dottoressa Renata Alleva, specialista in Scienza dell’alimentazione e presidente provinciale ISDE sez. Ascoli Piceno, ha condotto uno studio sull’esposizione a lungo termine a basse dosi di pesticidi sull’integrità del DNA. Le abbiamo chiesto a di riassumerci in modo semplice i risultati di un monitoraggio effettuato in Val di Non su residenti sani che sono stati pubblicati in due riviste scientifiche.
Che cosa significa risiedere vicino ai campi coltivati intensivamente e quali sono le implicazioni sulla salute delle popolazioni non esposte direttamente.

Quando si parla di esposizione a pesticidi, inclusi erbicidi, insetticidi e fungicidi, immediatamente pensiamo ai residui negli alimenti attraverso i quali la maggior parte della popolazione è esposta; in secondo luogo si pensa a chi questa esposizione ce l’ha perché è un agricoltore e quindi costantemente è a contatto con queste sostanze molto tossiche per motivi lavorativi, più raramente invece ci ricordiamo di quella che è l’esposizione più subdola, quella residenziale, di chi, per sua sfortuna, vive a ridosso di aree intensivamente coltivate ed è costretta a respirare suo malgrado queste ondate di fitofarmaci che in base ai periodi dell’anno e tipo di trattamenti sono più intense e irrespirabili.

Cosa accade a queste persone? Possiamo definire indolore questa esposizione, o lascia dei segni, seppur invisibili a una prima analisi, nell’immediato?

Sicuramente lascia un segno, ed è quanto abbiamo voluto verificare con un monitoraggio effettuato su un gruppo di 33 volontari, residenti in Val di Non, che avevano le abitazioni a ridosso dei meleti ad una distanza minima di 20 mt e massima di 100 mt, in tre periodi che abbiamo definito a esposizione nulla, bassa, o alta, in base alla quantità di trattamenti previsti con pesticidi (novembre -giugno 2015). Nessuno dei soggetti arruolati era un agricoltore e nel gruppo erano presenti anche dei bambini. Con un semplice prelievo di sangue e un campione di urine, abbiamo valutato se essere esposti ai pesticidi, creava un danno al DNA, la molecola da cui dipende tutto il destino delle nostre cellule, tanto che un accumulo del danno al DNA è associato sia all’aumento del rischio di patologie tumorali, che neurodegenerative. Normalmente noi siamo dotati di sistemi di riparazione del DNA che ne assicurano l’integrità, che è fondamentale per la salute delle cellule. Poiché però la capacità di detossificarsi può dipendere anche da altri sistemi enzimatici come la paraoxonasi che agisce direttamente su pesticidi, se sono entrati nei nostri corpi, abbiamo valutato anche l’attività di questo enzima, e contemporaneamente abbiamo monitorato nelle urine la presenza di clorpirifos, uno dei pesticidi più discussi, per la sua neurotossicità e attività di interferente endocrino, ma anche più utilizzato al mondo nella frutticultura, e responsabile proprio in Val di Non di aver contaminato le acque di diversi fiumi. Per valutare se i pesticidi dai campi arrivano a ridosso ed entrano nelle case, sono stati posizionati davanti a 3 diverse abitazioni dei rilevatori per monitorare la presenza di pesticidi nell’aria antistante.

Cosa è emerso dallo studio? 

Innanzitutto che i pesticidi entrano nelle case, si mescolano alla polvere ed entrano negli aspirapolveri, dove abbiamo trovato ben 13 diversi pesticidi, determinando una esposizione cronica, quella oggi ritenuta più pericolosa, perché i danni possono manifestarsi anche a distanza di molti anni.

Qual è il dato più significativo?

Il dato più importante emerso è che il danno al DNA aumenta in alta esposizione, e la concentrazione di clorpirifos nelle urine è più alta nel momento di massimi trattamenti: da notare che le concentrazioni urinarie di clorpirifos sono proporzionali anche alla distanza delle case dai campi, tanto che la sua concentrazione  più elevata è stata trovata nei residenti più vicini ai meleti.
Altro dato da sottolineare è che il gruppo di residenti della Val di Non, confrontati con una popolazione non residente, avevano una ridotta attività di riparazione da parte dei sistemi enzimatici cellulari (DNA repair system). E questo è stato osservato già nel primo prelievo di sangue, effettuato nel periodo in cui non c’erano trattamenti nei meleti, segno che l’esposizione cronica influenza i sistemi di riparazione del DNA. In alta esposizione, l’attività di questi sistemi enzimatici si riduce ulteriormente e diventa ancor meno efficiente, col risultato di un accumulo del danno del DNA. Nei nostri risultati, non abbiamo trovato nessun ruolo della paraoxonasi, ma abbiamo concluso che la causa del danno al DNA fosse dovuto alla lunga e cronica esposizione a cui i residenti sono sottoposti e che quindi col tempo, influenzano e diminuiscono l’efficienza dei sistemi che sono deputati a mantenere integro il DNA.

L’alimentazione e fattori nella dieta possono contribuire a proteggere il nostro DNA?

Un dato positivo che è emerso, da una seconda fase dello studio sempre sugli gli stessi volontari, a cui è che stata integrata la dieta con miele biologico ad alto contenuto di polifenoli,  è che questi biocomposti agiscono riportando l’attività enzimatica di riparazione del DNA alla normalità anche in presenza di elevati trattamenti, segno che la dieta, se ricca di sostanze come i polifenoli e esente da contaminanti, può contrastare l’effetto tossico dei pesticidi e di altri contaminanti ambientali. Tuttavia, bisogna riflettere sul fatto che i segni che l’ambiente lascia nei nostri corpi, probabilmente non è visibile immediatamente e con esami di routine, ma visti i sistemi che coinvolge, può tradursi in un rischio a lungo termine, pertanto per principio di precauzione e rispetto della qualità di vita, nessun residente dovrebbe essere esposto a tale inquinamento cosi invasivo.

https://www.cambialaterra.it/

lunedì 11 marzo 2019

Crowdfunding

«Piantare foreste è l’antidoto alla crisi ambientale»
Il neonato Fondo Forestale Italiano acquista terreni e boschi per far crescere alberi che non dovranno mai essere tagliati. La prima oasi protetta nascerà in Valnerina


«Piantare foreste è l’antidoto alla crisi ambientale»
Proteggere le foreste e gettare le basi per crearne di nuove, per combattere i cambiamenti climatici e mitigarne gli effetti sul territorio, oltre a preservare gli habitat naturali. È l’obiettivo del neonato Fondo Forestale Italiano 
(www.fondoforestale.it), associazione costituita da ricercatori, docenti e professionisti nel campo delle scienze forestali e della biologia. L’area individuata come ideale per diventare la prima oasi naturale protetta è un terreno di circa 15 ettari nel comune di Scheggino (Pg), inserita nel contesto della Valnerina, nota per la presenza delle Cascate delle Marmore. Qui c’è una foresta giovane e fragile, perché ai suoi alberi, tagliati periodicamente per fare legname, non viene mai permesso di diventare grandi e maestosi. 

Per questo il Fondo ha lanciato sul sito di Produzioni dal Basso un crowdfunding, che Buone Notizie sostiene, per raccogliere i 40mila euro necessari all’acquisto del terreno, alla messa a dimora di nuove piantine e alla riforestazione della parte non boschiva. «Qui gli alberi non verranno mai tagliati - spiega Bartolomeo Schirone (nella foto), 66 anni, professore ordinario di Selvicoltura e assestamento forestale all’Università della Tuscia - e avranno il tempo di crescere secondo le loro dinamiche naturali. In una situazione di cambiamento climatico è importantissimo che il nostro patrimonio forestale non si degradi ulteriormente. Nel nostro Paese, su una superficie boscata stimata in oltre 11 milioni di ettari abbiamo forse un centinaio di ettari di foreste vetuste protette integralmente. Mi riferisco a nuclei di alberi secolari. Come le faggete della Val Cervara in Abruzzo, che hanno 600 anni». Le foreste accumulano Co2 non solo nel legno degli alberi vivi ma anche nell’humus derivante dalla decomposizione di quelli morti. Questo carbonio rimane bloccato a terra anziché andare in atmosfera ad aumentare i cambiamenti climatici. Ma la foresta è anche strategica per la protezione del suolo, la conservazione dell’acqua e delle sorgenti. «Quando una foresta muore le sorgenti si prosciugano, come è accaduto in Sicilia dove il manto forestale nei secoli è stato eliminato». Anche frane, smottamenti e fenomeni erosivi sono legati alla cattiva gestione dei boschi oltre che agli incendi.

Paradossalmente la proprietà privata è il miglior modo per garantire le foreste dalle spinte speculative «e dal nuovo “Testo unico sulle foreste e sulle filiere forestali” che - aggiunge Schirone - le interpreta quasi esclusivamente come fonti di energia rinnovabile, ossia biomassa da bruciare per produrre energia». Creare foreste richiede decenni se non secoli. Ma la natura ha solo bisogno di un aiuto all’inizio. «L’uomo deve limitarsi a piantarle dove le ha distrutte - aggiunge Schirone - e a non toccarle mai più». Il Fondo forestale creerà «una piccola rete di ripopolamenti che non verranno mai tagliati», oltre a tutelare le foreste esistenti, come quelle del Pollino o del Casentino, inserite nel patrimonio Unesco. «Se vogliamo gestire in modo razionale una foresta dobbiamo conoscerne il ciclo naturale e come evolve. Noi le possiamo studiare ma questo diritto dobbiamo lasciarlo anche alle future generazioni». 

11 marzo 2019
www.corriere.it