giovedì 9 novembre 2017

Glitter: ecco perché non dovrebbero essere mai più usati


glitter

9 novembre 2017 - Scintillanti e sgargianti, ma sappiamo davvero cosa si nasconde dietro i glitter che ci capita spesso o a volte di utilizzare? Forse dopo aver letto questo articolo, capiremo perché non è tutto oro…quello che luccica.


Sono negli ombretti, nei rossetti, ma anche in tantissimi accessori per capelli e feste, la cosmesi li esalta promettendo che dopo averli indossati, non passeremo inosservate. Ciò che però non ci dicono le multinazionali è che i glitter, nonostante le loro minuscole dimensioni possono avere un impatto devastante non solo sulla salute umana, ma anche sull’ambiente.

Perché? Come tantissimi altri prodotti contengono microplastiche che dal nostro viso finiscono poi negli oceani, inquinando in maniera incredibile tutto l’ecosistema marino. Tantissimi organismi marini, tra cui pesci, tartarughe, uccelli marini, invertebrati, e zooplancton, ingeriscono i detriti di plastica.

Le ricerche dimostrano che ci sono di frammenti che galleggiano nel mare. Basti pensare che sono state trovate microplastiche nel tratto intestinale di un quarto del pesce e di un terzo dei frutti di mare venduti nei mercati americani e indonesiani.
Delle microplastiche abbiamo parlato tante volte e di come multinazionali del calibro di Procter & Gamble, Reckitt Benckiser, L’Oreal, Unilever e Johnson & Johnson per il momento, hanno rifiutato l’invito a collaborare alla svolta verso la sostenibilità.

Un recente studio mette ora sotto accusa i glitter che quando non servono più, vengono via con l'acqua che poi finisce nei mari e nei laghi, diventando un serio pericolo. Le microplastiche sono legate tra loro con il polietilene tereftalato (PET), una sostanza da tenere sotto controllo, perché secondo gli esperti, potrebbe compromettere il sistema endocrino e quindi avere degli effetti negativi per lo sviluppo riproduttivo, neurologico e immunitario.

Le ricerche dimostrano che le microplastiche hanno un impatto significativo sui tassi di riproduzione delle ostriche. Ma non finisce qui, perché c’è anche tutta la questione legata alla catena alimentare. Gli europei che mangiano molluschi possono consumare fino a 11mila microplastiche all'anno.

Ma quali sono le implicazioni a lungo termine dei glitter? I PET attirano e assorbono inquinanti e agenti patogeni organici persistenti, aggiungendo un livello supplementare di contaminazione. Quando i glitter vengono ingeriti dai molluschi, dalle lumache di mare, dai vermi marini e agenti patogeni che sono alla base della vita dell’ecosistema, queste piccole pillole avvelenate finiscono anche nei nostri piatti.

E delle microplastiche ne abbiamo parlato anche qui:
E’ da tempo che se ne parla e numerosi scienziati stanno facendo pressione sulle multinazionali affinché non vengano più usate microplastiche nei glitter e in generale, in cosmetici e prodotti sanitari. Importanti passi avanti sono stati fatti in Gran Bretagna e in Nuova Zelanda, ma per tutto il resto del mondo la situazione è stabile. E l’inquinamento da plastica dei nostri oceani ne è la prova lampante.
Insomma, dobbiamo dire addio per sempre ai glitter? Assolutamente no, perché in commercio esistono quelli biodegradabili che non intaccano l'ambiente nè la salute umana.

Dominella Trunfio

giovedì 2 novembre 2017

Microplastiche anche nelle feci del plancton

Inquinamento degli oceani: microplastiche anche nelle feci del plancton



Microplastiche

Le feci del plancton sono piene di plastica. Se la minaccia inquinamento finora sembrava grande, adesso lo è ancora di più. La plastica ha raggiunto anche il mondo dell'infinitamente piccolo secondo una nuova ricerca, che mostra come gli oceani siano di fronte a una nuova grave minaccia.

Gli effetti nocivi dell'inquinamento legato alla plastica negli oceani non sono una novità ma c'è un nuovo rischio dietro l'angolo, emerso solo di recente. Il plancton, alla base della catena alimentare degli animali marini, suo malgrado sta contribuendo alla loro scomparsa.
A preoccuparci dunque non è solo quello che vediamo ma soprattutto quello non riusciamo a vedere. Il nuovo studio condotto dagli scienziati della Exeter University e pubblicato sulla rivista Environmental Science and Technology ha scoperto delle palline microscopiche di plastica all'interno delle feci del plancton. Queste minuscole creature ingeriscono le microplastiche, espellendole in un secondo momento.
A causa del loro peso, le feci si inabissano molto lentamente e finiscono per essere ingerite anche da altri pesci, causando non pochi problemi all'intero ecosistema.
I ricercatori hanno scoperto che le piccole creature marine note con il nome di zooplancton ingeriscono le microplastiche, ossia detriti di plastica più piccoli di un mm. Questo materiale viene poi rilasciato nelle feci.

plankton

In un ambiente marino sano, queste ultime favoriscono il trasporto del carbonio e delle sostanze nutritive in acque più profonde, fornendo il cibo per gli altri animali. Così non accade invece nei nostri mari visto che il plancton mangia le microplastiche.
“L'entità del cambiamento osservato qui è preoccupante. Crediamo che l'impatto della contaminazione della plastica nell'oceano meriti un'indagine più dettagliata e il team ora spera di portare avanti i lavori in un ambiente naturaleha detto il responsabile del progetto Matthew Cole.
Tantissimi organismi marini, tra cui pesci, tartarughe, uccelli marini, invertebrati, e zooplancton, ingeriscono i detriti di plastica. Secondo precedenti ricerche vi sarebbero miliardi di frammenti che galleggiano nel mare. Basti pensare che sono state trovate microplastiche nel tratto intestinale di un quarto del pesce e di un terzo dei frutti di mare venduti nei mercati americani e indonesiani.

Francesca Mancuso

www.greenme.it

mercoledì 11 ottobre 2017

Inquinamento, da 10 fiumi arriva 90% della plastica in mare
Esperti, una gestione migliore può dimezzare l'inquinamento


 © ANSA
11 ottobre 2017 - Appena dieci fiumi, nel mondo, sono responsabili di circa il 90% della plastica trasportata in mare.

A dirlo è uno studio tedesco pubblicato sulla rivista Environmental Science & Technology dell'American Chemical Society.

I fiumi sono i principali traghettatori di rifiuti negli oceani, dove ogni anno - secondo il Programma Ambiente delle Nazioni Unite - finiscono 8 milioni di tonnellate di plastica.

Stando ai ricercatori dieci fiumi nel mondo, di cui otto in Asia, sono responsabili da soli dall'88% al 95% di tutta la plastica portata in mare. Per gli esperti una migliore gestione di questi dieci corsi d'acqua, in grado di ridurre della metà i rifiuti che arrivano in mare, andrebbe quasi a dimezzare (-45%) il contributo di tutti i fiumi all'inquinamento degli oceani.

ANSA

giovedì 7 settembre 2017


La foresta in Costa Rica rinata grazie alle bucce delle arance


31 Agosto 2017 - La foresta rinasce grazie agli scarti delle arance che trasformano terreni aridi e secchi in una fiorente area verde dentro l’area protetta Guacanaste in Costa Rica, duramente provate negli anni dall’eccessivo sfruttamento.

L’Area de Conservación Guanacaste (ACG) è oggi un sito protetto dell’Unesco che racchiude al suo interno una foresta ma prima che lo diventasse, alcune aree sono state sofferenti a causa del disboscamento operato per lasciare spazio al pascolo del bestiame.

Dal 1996 è in corso un programma di recupero ma in realtà, fino all’intuizione di due ecologi statunitensi, i risultati non sono stati quelli sperati. All’inizio degli anni Novanta ,viene creata una piantagione di arance al confine con l’area protetta.
La ditta Del Oro produce spremute commerciali, utilizza quindi il succo degli agrumi gettando via tutto il resto. Ma a cambiare le cose ci pensano Daniel Janzen e Winnie Hallwachs, una coppia di ecologi dell’Università della Pennsylvania.

Guardando le aree disboscate di Guacanaste e le vicine piantagioni di arance, i due hanno un’intuizione. Da anni si cerca di migliorare i terreni aridi della zona protetta e allora perché non cercare una collaborazione con i vicini di casa?


foresta scarti arance1

Foto: Daniel Janzen and Winnie Hallwachs


Gli scarti delle arance sono diventate così il concime di un progetto di riforestazione. L’esperimento è iniziato nel 1997 con 12mila tonnellate di rifiuti di arance gettate in tre ettari morti, ma con terreno fertile.

I primi risultati si vedono dopo pochi mesi ed è così, che per un anno, la Del Oro continua a depositare le bucce d'arancia nella foresta. Ma il progetto subisce un arresto perché nel frattempo, la Ticofruit, avversaria commerciale della Del Oro, porta l’azienda in tribunale.
foresta scarti arance3

Foto: Università di Princeton

Il reato è quello di inquinamento di un parco nazionale, i giudici sono d’accordo e nessun carico di arance arriva più dentro Guacanaste. Per quasi quindici anni si torna alla normalità e l’area finisce nel dimenticatoio.


foresta scarti arance2

Foto: Università di Princeton

Ma evidentemente non doveva andare così. Nel 2014, Timothy Treuer, studente di Princeton contatta Daniel Janzen e Winnie Hallwachs e decide che il suo argomento di tesi deve diventare quell’angolo di foresta con le bucce d’arance.
Altri scarti alimentari che si possono riciclare:


Arriva sul sito, ma quell’insegna piantata nel 1996, è immersa nella foresta rinata grazie agli scarti. Segno che neanche gli interessi economici sono riusciti a scalfire la potenza della natura.

Dominella Trunfio

martedì 5 settembre 2017

Il Mar Ligure è un acquario, aumentano gli avvistamenti di cetacei (FOTO)
Si rivede anche il grampo, sparito da due anni

 © ANSA 5 settembre 2017 - Mar Ligure come un acquario: in aumento gli avvistamenti di cetacei in questa prima parte di 2017. Lo rivela la Fondazione Cima. Il numero è cresciuto anche perché le condizioni meteo marine ottime hanno permesso più uscite alla ricerca dei cetacei. Ad oggi sono state 205 le balenottere comuni avvistate, più del doppio rispetto a tutto il 2016 (89); 42 i capodogli (46 in tutto il 2016), 116 gli Zifi, 5 branchi di globicefali e un gruppo di grampi al largo di Genova. Un avvistamento questo che ha suscitato interesse internazionale, visto che la specie non veniva vista in zona da almeno due anni.
Sono state avvistate oltre 5000 stenelle (circa 4500 in tutto il 2016) e 113 tursiopi. E accanto ai cetacei il 2017 fa registrare un picco negli avvistamenti di tartarughe caretta-caretta, 16 in solo pomeriggio, e di mante che, in una stagione, si contavano sulle dita di una mano. "Fino ad oggi - spiega Luca Ferraris, presidente della Fondazione Cima - abbiamo monitorato circa 15 mila chilometri con i traghetti della Compagnia Corsica-Sardinia Ferries, le imbarcazioni di Whale watching e quella della Fondazione. A bordo oltre ai nostri ricercatori anche studenti provenienti da 15 nazioni partecipanti al programma Cetamus. Stiamo costruendo una rete di collaborazioni importanti anche con altri enti di ricerca come Arpal, Università di Genova, Tethys e Acquario di Genova".

"I dati di quest'anno della Fondazione Cima ci parlano di un Mar Ligure sostanzialmente in buona salute - aggiunge l'assessore regionale all'Ambiente Giacomo Giampedrone - con un boom di fitoplankton e ampie concentrazioni di clorofilla che ha garantito la presenza di nutrimento. Come Regione continueremo nelle nostre campagne di sostegno al monitoraggio degli ecosistemi e della biodiversità marina".

ANSA

venerdì 1 settembre 2017

WWF Austria, assurdo chiedere abbattimento lupi
Esperto, scompone struttura sociale del branco


 © ANSA 
(ANSA) - BOLZANO, 1 SET - Il Wwf austriaco definisce "assurda" la richiesta, sollevata da allevatori a nord e a sud del Brennero, di bandire il lupo dalle Alpi orientali. "Gli abbattimenti non mettono in sicurezza i greggi, anzi, potrebbero addirittura aumentare il numero delle incursioni", afferma Christian Pichler, esperto di lupi del WWF austriaco all'Apa.

Studi negli Usa e in Europa avrebbero dimostrato che l'abbattimento di un lupo può scomporre la struttura sociale del branco. "Di conseguenza giovani lupi inesperti tendono ad attaccare animali meno protetti, portando addirittura ad un aumento degli sbranamenti", spiega. Inoltre, - prosegue l'esperto Wwf - le zone lasciate libere dal lupo abbattuto vengono velocemente occupate da un altro esemplare.

"Una richiesta populista non diventa vera ripetendola di continuo", afferma Pichler. L'unico metodo efficace di tutela delle pecore - secondo il Wwf - è la messa in sicurezza del gregge.

martedì 29 agosto 2017

Sea Shepherd rinuncia agli inseguimenti delle baleniere del Giappone
Stop dopo 12 anni di campagne annuali, Tokyo è troppo potente 

Sea Shepherd rinuncia a inseguimenti baleniere del Giappone SYDNEY, 29 AGO 2017 - Il gruppo attivista radicale Sea Shepherd ha deciso di abbandonare dopo 12 anni la sua annuale campagna di inseguimento e ostruzione delle baleniere giapponesi che ogni estate australe operano nei mari antartici, riconoscendo di avere poche possibilità di successo contro la potenza economica e militare di Tokyo. E accusando i "governi ostili" di Usa, Australia e Nuova Zelanda di agire "in lega con il Giappone" contro le sue campagne di protesta. In un comunicato diffuso oggi, il fondatore di Sea Shepherd, Paul Watson, dichiara che la sua organizzazione di volontari non può competere con la tecnologia satellitare militare giapponese, che può seguire ogni movimento delle sue navi. Inoltre il Giappone ha approvato leggi antiterrorismo che sanciscono la presenza delle navi di protesta vicino alle baleniere come reato di terrorismo. Watson ha accusato in particolare il governo australiano di dare sostegno alle baleniere giapponesi ostacolando in ogni modo le attività di Sea Shepherd. "E' tutto per placare il Giappone. Gli accordi commerciali hanno priorità sugli obblighi internazionali di conservazione", ha detto, ricordando che le uccisioni avvengono in un'area designata come santuario delle balene. La caccia commerciale alle balene è proibita dal 1986, ma il Giappone ha continuato a ucciderle usando come scappatoia un'esenzione della Commissione Baleneria Internazionale per la ricerca scientifica. Nel 2014 l'Australia ha citato il Giappone davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, ottenendo un giudizio che condanna i programmi balenieri del Giappone come violazione del bando alla caccia commerciale, e respinge l'argomento di Tokyo sui fini "scientifici". Watson sottolinea tuttavia i successi di 12 anni di azioni contro le baleniere giapponesi, avendo salvato con le sue azioni di contrasto 6.500 dei grandi cetacei, mentre la quota annuale di caccia è stata ridotta da 1000 balene per stagione a 333. E assicura che Sea Shepherd "non abbandonerà mai le balene", ma formulerà un nuovo piano per contestarne la caccia.

(ANSA)

lunedì 17 luglio 2017



Quasi quattro persone alla settimana sono state assassinate nel 2016, perché difendevano le loro foreste, i loro orti o i loro fiumi dalle compagnie dello sfruttamento forestale, minerario o agricolo. E’ quanto denuncia un rapporto di Global Witness pubblicato oggi. Oltre 200 persone sono state uccise nel 2016, con una crescita netta del fenomeno (rispetto alle 185 dell’anno recedente) e una diffusione sempre più estesa, con 24 paesi coinvolti, rispetto ai 16 segnalati nel 2015. Il rapporto riferisce la triplicazione degli omicidi in India, dove la brutalità della polizia è il principale fattore. L'America Latina resta la regione più colpita, con il 60% degli omicidi.


La difficoltà nel reperire informazione lascia però sospettare che il vero reale degli omicidi sia ben più alto. L'omicidio solo è la punta dell’iceberg di una ben più vasta serie di metodologie utilizzate per mettere a tacere i difensori delle terre comuni, e vanno dalle minacce di morte, agli arresti, alle violenze sessuali, ai rapimenti e alle azioni legali aggressive.

“Mi minacciano per farmi tacere. Ma non posso tacere.Non posso restare in silenzio di fronte a quello che sta succedendo al mio popolo. Ci battiamo per le nostre terre, per la nostra acqua, per la nostra vita ", ha spiegato Jakeline Romero a Global Witness. Jakeline è un leader indigeno colombiano che ha affrontato anni di minacce e intimidazioni per aver denunciato gli impatti devastanti della più grande miniera a cielo aperto del mondo, El Cerrejón. Di proprietà di imprese quotata e Londra BHP Billiton e Anglo-american, il progetto è stato accusato di aver distrutto le falde acquifere e causato deportazione di massa. Ma il management locale ha negano gli impatti e accusano gli attivisti di violenza.


"Questi rapporti raccontano una storia molto triste. La battaglia per proteggere il pianeta si sta rapidamente intensificando e il costo si conta in vite umane. Sempre più persone in sempre più più paesi sono state lasciate senza altra scelta che battersi contro il furto delle loro terre o la distruzione del loro ambiente. Troppo spesso vengono brutalmente messi a tacere dalle elite politiche e economiche, mentre gli la polizia e finanziatori fanno fina d non vedere ", spiega Ben Leather, di Global Witness.

Quasi il 40% degli omicidi è ai danni di indigeni, poich la terra che hanno abitato per generazioni è stata rubata da imprese, latifondisti o da consorzi statali. I progetti vengono imposte alle comunità senza chieder loro previo e informato consenso, ma i lavori arrivano accompagnati da polizia ed esercito. Questi ultimi sono responsabili di almeno 43 omicidi. Le proteste sono spesso l'unica opzione rimasta alle comunità proteggere il loro ambiente.

I principali risultati del rapporto sono:
• lo sfruttamento minerario è l’attività più cruenta,  con almeno 33 omicidi legati al settore. Omicidi legati allo sfruttamento del legname sono in crescita, passando da 15 a 23 nel giro di in un anno, e  23 sono gli omicidi legati a progetti agro-alimentari.
• il Brasile resta il paese più micidiale in termine di omicidi (49 omicidi);  il Nicaragua è al secondo post (11). L’ Honduras mantiene il suo status di luogo più pericoloso per abitante negli ultimi dieci anni (127 dal 2007).
• gli omicidi segno il massimo storico in Colombia (37), soprattutto nelle aree in precedenza sotto il controllo della guerriglia dove cresce la presenza di aziende estrattive e paramilitari. Le comunità che ritornano vengono ai loro villaggi vengono attaccate quando tentano di recuperare i for terreni, abbandonati durante il conflitto.
• L'India ha visto triplicare gli omicidi a causa della brutalità della polizia e la repressione colpisce in molti casi proteste pacifiche. Il 2016 ha visto 16 omicidi legati a progetti minerari.
• La protezione dei parchi nazionali è sempre più rischiosa, con un gran numero di rangers uccisi in Africa. Si segnalano 9 omicidi di rangers nella Repubblica Democratica del Congo nel 2016.
• Il vorace settore minerario delle Filippine, primeggia in Asia, con 28 omicidi.
La relazione rileva la crescente criminalizzazione degli attivisti in tutto il mondo, anche negli Stati Uniti: sempre più spesso sono spesso presentati come criminali, e devono far fronte a pretestuose e aggressive cause legali o civili aggressivi da parte di governi o aziende che cercano di metterli a tacere.


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domenica 16 luglio 2017

Polonia: la Commissione europea chiede la sospensione immediata del taglio di alberi nella foresta di Białowieża
Mentre polizia in assetto da guerra è stata concentrata attorno alle proteste pacifiche in protezione della più antica foresta d'Europa, la Commissione europea ha deferito la  Polonia alla Corte di giustizia dell’Unione a causa della distruzione della foresta di Białowieża, sito protetto da Natura 2000. Il governo ha infatti deciso di triplicare le operazioni di taglio, che sono già iniziate e procedono a velocità sostenuta. La Commissione chiede alla Corte di adottare misure provvisorie per costringere la Polonia a sospendere immediatamente il taglio.


Il 25 marzo 2016, le autorità polacche hanno deciso di triplicare lle operazioni di logging nel distretto forestale di Białowieża, includendoaree finora escluse da qualsiasi intervento. Queste misure - che includono la rimozione di alberi secolari - costituiscono una grave minaccia per l'integrità di del sito Natura 2000. Il sito Natura 2000 protegge le specie e gli habitat che dipendono dalle foreste primarie. La foresta Białowieża è il più importante, se non l’ultimo sito rimasto, in Polonia per alcune di queste specie. Il procedimento si basa su prove che dimostrano come tali misure non siano compatibili con l’impegno a proteggere il sito. 

Nell'aprile del 2017 la Commissione ha emesso un parere motivato sollecitando la Polonia ad astenersi dall’avviare operazioni forestali estese e ha dato alla Polonia un mese di tempo per adeguarsi. Malgrado ciò le operazioni di abbattimento continuano a ritmo sostenuto. 

Secondo la legge dell'Unione europea (articolo 279), la Corte di giustizia può prescrivere misure provvisorie volte a richiedere a uno Stato membro di trattenersi da attività che causano danni gravi e irreparabili prima della pronuncia della sentenza. La Commissione ritiene che l'aumento del taglio nella foresta di Białowieża richieda l'adozione di provvedimenti provvisori, trattandosi di un caso eccezionalmente urgente e grave, dato il danno irreparabile alla foresta causato dalle operazioni forestali.

http://www.salvaleforeste.it/

martedì 11 luglio 2017

Pietro Perrino, genetista CNR “Non sono state le vaccinazioni di massa a salvarci dalle malattie infettive, ma le condizioni igieniche e l’uso di acqua potabile.”

Ill.ma Ministra Lorenzin,

sono un Genetista, già ricercatore del CNR, che ora si occupa a pieno tempo di salute.
Sin dagli anni ’70, mi sono interessato di vaccini. Da favorevole sono diventato contrario. Sono stato convertito dalle conoscenze. Sono tante, ma per ragioni di spazio cito le principali.
Non sono state le vaccinazioni di massa a salvare l’umanità dalle malattie infettive, ma le condizioni igieniche e l’uso di acqua potabile. Le vaccinazioni di massa sono arrivate dopo. Le case farmaceutiche hanno fatto di tutto per farci credere il contrario, tanto che la maggior parte della gente se n’era convinta.
Fortunatamente c’è anche molta gente che non la pensa così, in quanto ci sono molti bambini morti o comunque danneggiati dalle vaccinazioni. I vaccini preparati per le vaccinazioni di massa non hanno nulla in comune con i vaccini di una volta: preparati in tempo reale e somministrati con modalità più vicine a quello che faceva la natura.
La gente non si fida dei vaccini moderni perché sono sporchi: contengono pezzi di DNA estraneo e inquinanti vari che causano patologie varie, quando non la morte immediata. A ciò si aggiunga che il virus o il batterio, dopo la manipolazione non sono più quelli selvatici, ma spesso, dipende dal trattamento, sono mutati e quindi possono essere più virulenti e più pericolosi o meno virulenti e quindi addirittura non efficaci. Questi fatti insieme alla genetica dei soggetti vaccinati produce effetti diversi, che vanno, appunto, dalla morte allo sviluppo nel tempo di diverse patologie.
Le vaccinazioni di massa, quando vanno bene, nel senso che il soggetto vaccinato non mostra patologie, producono immunità a breve tempo (5-10 anni) e non a vita, come invece accade quando la malattia infettiva viene contratta e superata naturalmente. Le malattie esantematiche erano le benvenute, perché inducevano immunità duratura e servivano a rinforzare il sistema immunitario contro altre malattie e disturbi neurologici anche in età avanzata. La gente faceva di tutto per contrarre le malattie esantematiche, perché esse erano garanzia di una vita più sana.
Le vaccinazioni di massa sono responsabili della diffusione nelle popolazioni di virus e batteri modificati, dai quali la gente, soprattutto non vaccinata, pare si stia difendendo bene, ma su questo punto ritengo che solo uno studio attento potrà dirci quale sarà il futuro dell’umanità, alla quale si è tolta la possibilità di vaccinarsi naturalmente e si è imposta la vaccinazione artificiale. Sappiamo, però, che i bambini non vaccinati si ammalano di meno di quelli vaccinati. Lo sappiamo perché alcuni studiosi hanno svolto queste ricerche e non perché i Ministeri della Sanità si sono preoccupati di verificare se le vaccinazioni di massa fanno veramente bene, come dice la TV.
Se le vaccinazioni imposte facessero veramente bene, perché si teme che i bambini non vaccinati possano infettare quelli vaccinati? I bambini vaccinati non sono già coperti? Semmai, sono i bambini non vaccinati che dovrebbero temere di essere infettati. I bambini immunodeficienti che non possono essere vaccinati devono temere di più i vaccinati e meno quelli non vaccinati, i quali almeno avrebbero il merito di non essere portatori, fino a quando non si ammalano.
Il 90% dei bambini nasce già immune al Tetano. Eppure l’antitetanica è obbligatoria. Basterebbe un semplice test per evitare di fare anche questo vaccino.
Questa nota è stata sollecitata anche da amici che oggi, 11 luglio 2017, sono a Roma per partecipare al presidio permanente dei no-vax davanti al Senato.
Ministra, faccia un piccolo sforzo, ritiri il DDL. Gli italiani sapranno perdonarla.
 

Bari, 11 luglio 2017

Pietro Perrino


Da più di 30 anni, il Dr. Pietro Perrino si occupa di filogenetica delle piante, che ad esempio lo hanno portato a studiare gli effetti del glifosato sul corpo umano ed a studiare gli effetti del  DNA transgenico

venerdì 31 marzo 2017

Gli alberi “parlano fra loro”

L’ecologa Suzanne Simard ha trascorso più di 30 anni a studiare le foreste canadesi facendo una incredibile scoperta: gli alberi “parlano fra di loro”, attraverso una vera e propria rete di comunicazione sotterranea che si estende anche su lunghe distanze.

L’ecologa Suzanne Simard in una foresta di abeti 
Una foresta è molto più di quel che si vede, afferma Suzanne Simard, ecologa che ha studiato per una vita le foreste canadesi. Sotto la superficie c’è un altro mondo, fatto di infinite vie biologiche attraverso cui gli alberi si connettono fra di loro e comunicano, comportandosi come parti di un unico grande organismo.

Venticinque anni fa, i primi esperimenti della Simard si concetrarono su tre specie: la betulla da carta, l’abete di Douglas e il cedro rosso del Pacifico. Usando degli isotopi di carbonio radioattivo per tracciare lo spostamento del carbonio tra le varie piante, rilevò come la betulla e l’abete comunicassero attivamente fra di loro, mentre il cedro si teneva in disparte.
In estate, la betulla inviava più carbonio all’abete di quanto questo ne inviasse alla betulla, soprattutto quando l’abete si trovava all’ombra. Ma in altri periodi dell’anno era invece l’abete a inviare più carbonio alla betulla, quando questa non aveva le foglie. Quindi, le due specie si aiutavano l’una con l’altra, ribaltando l’idea che le piante di una foresta siano in competizione, dimostrando come invece collaborino fra loro.

Come comunicavano la betulla e l’abete? La loro interazione avveniva non solo sul piano del carbonio, ma anche dell’azoto, del fosforo, dell’acqua, dei segnali di difesa, dei composti allelochimici e degli ormoni. Già altri scienziati avevano capito come dietro questa comunicazione potesse esserci la “micorriza”, l’associazione simbiotica tra un fungo e le radici di una pianta.
Rete di comunicazione fra alberi 

Quando vediamo i funghi, vediamo solo la punta dell’iceberg. Sotto di essi si diramano i filamenti fungini che formano il micelio, il quale infetta e colonizza le radici di tutte le piante e degli alberi.Quando le cellule fungine interagiscono con quelle radicali (delle radici) si verifica uno scambio di carbonio e nutrienti. La rete è così densa che possono esserci centinaia di chilometri di micelio sotto pochi passi. In pratica, il micelio connette diversi individui nella foresta, non solo della stessa specie ma anche di specie diverse, come appunto l’abete e la betulla: funziona più o meno come la rete Internet.

Costruendo la mappa di una parte della foresta canadese, Simard ha individuato in che modo i vari abeti di Douglas fossero connessi fra di loro, tramite i collegamenti fungini. Ha anche individuato come ci siano degli “alberi hub” o “alberi madre” che rappresentano i nodi principali della rete di comunicazione: questi alberi sono quelli che nutrono le piante più giovani, che crescono nel sottobosco.

Di fatto, un albero madre può essere connesso a centinaia di altri alberi. Ogni albero madre invia il proprio carbonio in eccesso, attraverso la rete micorrizica, alle piante più giovani che si trovano nel sottobosco, arrivando anche a limitare l’estensione delle proprie radici per fare loro più spazio. Grazie a ciò i giovani alberi hanno quattro volte più possibilità di sopravvivere.
Inoltre, quando gli alberi madre vengono feriti o muoiono, inviano dei messaggi di “saggezza” alle successive generazioni di plantule che stanno crescendo tutte intorno. Infatti, tracciando lo spostamento del carbonio e di altri segnali – che viaggiano da un albero madre ferito, dal suo tronco fino alla rete micorrizica, e da lì raggiunge le plantule vicine – si è scoperto che la pianta morente dà indicazioni utili che istruiscono le giovani piante su come affrontare meglio in futuro lo stesso tipo di stress.

La conclusione è che le foreste non sono semplicemente un insieme di alberi, sono sistemi complessi con centinaia di “alberi hub” e reti che si sovrappongono fra di loro, mettendo in comunicazione le varie specie vegetali, aprendo la strada all’adattamento e al feedback: tutto questo rende la foresta resiliente.

Tuttavia, la foresta è anche vulnerabile, non solo ai disturbi di origine naturale, come i coleotteri della corteccia che attaccano gli alberi più vecchi, ma anche al disboscamento a fini commerciali. Possiamo prelevare uno o due “alberi hub”, ma c’è un limite perché gli “alberi hub” sono come dei perni in un aeroplano. Possiamo prenderne uno o due, e l’aeroplano continuerà a volare, ma se ne prendiamo troppi, o se prendiamo quello che tiene le ali al suo posto, l’intero sistema crolla.

fornte: http://anima.tv/blog/2017/gli-alberi-parlano-tra-di-loro/