domenica 6 novembre 2016

La nutria catturata e i piccoli che cercano di liberarla


 

Crema, 06 novembre 2016 - Per responsabilità di pochi ora assistiamo a queste strazianti scene. La impari lotta alle nutrie , in Italia era il castorino (pelliccia) per eccellenza indossata da migliaia di persone . Ora sta diventando il flagello della moderna agricoltura , impostata sulla monocultura e sulla rovina degli ultimi habitat naturali.
Liberati impunemente da allevamenti intensivi, non più remunerativi e che fornivano le pelliccerie di tutto il mondo , a carne da macello a causa della loro capacità di proliferazione in natura , con una stima di milioni di esemplari nella sola pianura lombarda. La lotta contro questa specie sta facendo la fortuna degli armatori e la felicità di molti indomabili cacciatori, con l’uso sconsiderato di molti soldi pubblici . Senza pensare che pure loro hanno un cuore e che cuore. Basta guardare queste foto per capire la sofferenza di quattro cuccioli, accanto alla gabbia di cattura , divenuta per l’occasione una gabbia di morte della loro mamma che li allattava , rimanendo accanto ad essa , ma ormai priva di vita. 

(foto e testo di Alvaro Dellera)

venerdì 4 novembre 2016

Diabete: il dolce business per l’Industria farmaceutica

Il diabete in cifre
Nel mondo ogni 10 secondi una persona muore per cause legate al diabete e 2 si ammalano.
Negli ultimi 20 anni la malattia è aumentata di ben 7 volte e questo è il motivo che ha spinto le Nazioni Unite a definire il diabete una vera e propria epidemia.
I dati effettivamente non lasciano spazio a dubbi: nel mondo oltre 285 milioni di persone ne soffrono e 344 milioni sarebbero potenzialmente a rischio di svilupparlo.
Secondo le previsioni ufficiali dell’OMS entro il 2030 i diabetici raggiungeranno l’astronomica cifra di 520 milioni di persone!
Oltre mezzo miliardo di persone nel mondo Occidentale soffriranno per una malattia legata ad una alimentazione errata e soprattutto abbondante, e nel Sud del mondo oltre 1 miliardo di persone non hanno accesso al cibo e all’acqua.
Loro muoiono per mancanza di cibo e noi stiamo morendo per eccesso di cibo.
Qui da noi in Italia, secondo l’International Diabetes Federation (Idf), il 6% della popolazione sarebbe diabetica, il che corrisponde a oltre 4.000.000 di persone!
La spesa sanitaria per il diabete ovviamente è colossale e  varia tra i 202 e i 422 miliardi di dollari ogni anno, ma potrebbe, entro il 2025, superare il tetto dei 559 miliardi di dollari.
Sorge a questo punto una domanda spontanea: con cifre a undici zeri ogni anno, è veramente possibile e credibile che l’Industria del farmaco voglia veramente guarire il diabete? 

Creazione di malati
Sapendo che per l’Industria del farmaco il diabete rappresenta un guadagno tra i più importanti, è bene chiedersi quanti di questi milioni di persone sono realmente malati e quanti invece sono stati convinti di esserlo.
Fino all’anno 2000 il “valore normale” della glicemia, cioè la quantità di zucchero libero nel sangue era di 140 mg/dL, poi un gruppo di esperti con a capo un consulente di Aventis, Eli Lilly, Glaxo, Novartis, Merck e Pfizer (tutte ditte che ci guadagnano molto nel diabete) abbassarono la glicemia a 126 mg/dL.
Si è “normali” se la glicemia è al di sotto di 100 mg/dL; si parla di alterata glicemia a digiuno se i valori sono compresi tra 100 e 126 mg/dL. Oltre il valore di 126 mg/dL si parla di diabete.
Un apparente e banale abbassamento di soli 14 mg/dL (da 140 a 126) comportò la creazione di decine di milioni di nuovi malati: persone sane il giorno prima e dopo a rischio serio di diabete.
E’ indubbia la degenerazione dello stile di vita basato su alimenti morti, raffinati, pastorizzati che sta provocando inequivocabilmente la crescita del diabete e di tutte le cosiddette malattie da progresso, ma dall’altra c’è la ferrea volontà di far aumentare il numero di malati per un tornaconto economico.

Diabete gestazionale
Sempre più donne gravide si vedono affibbiare la diagnosi di diabete gestazionale o gravidico.
Tale diabete consiste in un’alterazione del metabolismo del glucosio che viene diagnosticata per la prima volta durante la gravidanza.
E’ risaputo che durante i nove mesi tutto l’equilibrio ormonale viene messo a dura prova. In questo ambito alcuni ormoni prodotti dalla placenta ostacolano l’azione dell’insulina, l’ormone secreto dal pancreas che ha il compito di abbassare la concentrazione di glucosio nel sangue.
Non a caso verso la fine della gravidanza, a parità di calorie introdotte con il cibo, una donna produce una quantità di insulina 3 volte superiore alla quantità prodotta da una donna della stessa età ma non gravida.
Tra la 24ma e la 28ma settimana di gravidanza i medici di norma prescrivono esami del sangue per la maggior parte delle donne che potrebbero essere soggette a diabete.
Se il valore glicemico a digiuno alla prima visita è compreso tra 92 mg/dL (anche se qualche laboratorio mette l’asterisco già a 90 mg/dL) e 126 mg/dL si parla di diabete gestazionale.
Le donne con valori glicemici superiori a 90-92 mg/dL dovranno essere sottoposte al test da carico con 75 g di glucosio con verifica dei valori glicemici all’inizio, dopo un’ora e dopo due ore.
Abbassando costantemente la glicemia a digiuno (in questo caso da 100 mg/dL a 90 mg/dL) il risultato è che aumentano le diagnosi di diabete gestazionale. Non è un caso infatti se oggi a sempre più mamme viene diagnosticato tale squilibrio metabolico, con rischi enormi non tanto per la disturbo in sé ma soprattutto per la paura della mamma il cui riverbero negativo sulla creatura che sta crescendo è oggettivo e fuori da ogni discussione.

Dall’insulina ai farmaci antidiabete
Nel 1922 a Stoccolma venne conferito ai ricercatori Barting, Best e Macleod il premio Nobel per la scoperta dell’insulina.
La commercializzazione di questo ormone di sintesi, dal 1923 in poi, è opera della casa farmaceutica statunitense Eli Lilly che, alla fine della seconda Guerra Mondiale, importò dalla Germania il metadone inventato dai nazisti con il nome di Dolophine, in onore di Adolf Hitler, e prodotto dall’enorme colosso dell’industria chimica IG Farben.
E’ la stessa casa farmaceutica che ha prodotto l’elisir di eroina, l’LSD una delle più potenti sostanze psichedeliche conosciute e il Prozac.
La Lilly lanciò nel 1982 la prima insulina da DNA ricombinante: fu il primo farmaco al mondo creato con questa tecnologia.
Oggi per il diabete, oltre alla nota insulina esistono prodotti come: Tolbutamide, Tolazamide, Clorpropramide, Acetoesamide, Gliburide, Glipizide, Glimepride, Metformina, Fenformina, Buformina, Repaglanide, Acarbosio, Miglitol, Glucagone…
Poche corporazioni della chimica e farmaceutica, tra loro interconnesse da fili economici e azionari, gestiscono l’intero mercato del diabete.
Gruppi potentissimi come Eli Lilly, Pfizer, Merck, Roche, Sanofi-Aventis e Bayer  ogni anno, guadagnando miliardi di dollari, controllano la vita di centinaia di milioni di persone. 

Epidemiologia docet
Il “Bollettino dell’Accademia di Medicina di New York” del settembre 1933, riporta i dati ufficiali dal 1871 al 1932, e scrive: “…per le persone di entrambi i sessi, il tasso di mortalità del diabete a New York è passato dal 2,1 per 100.000 abitanti nel 1866, a 29,2 nel 1932”. Il numero totale delle morti perciò “è aumentato da 15 nel 1866 a 2.116 nel 1932”.
Il rapporto continua dicendo che “ …un aumento distinto nel numero di morti per diabete si sta verificando non solo al Nord Ovest, ma in tutti gli Stati Uniti, come dimostrano le statistiche di mortalità delle altre città
In poco meno di sessant’anni perciò, dal 1866 al 1932, i pochissimi e sporadici casi di diabete sono diventati qualche migliaio solamente nella città di New York per diventare, con una terribile accelerazione negli ulteriori 70 anni, 1 morto ogni 10 secondi!
Questi sono dati epidemiologici importanti che inquadrano una crescita esponenziale del fenomeno.
Cos’è successo nella società tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo per aggravare così drasticamente  la situazione?
Le due guerre mondiali certamente non hanno giovato al benessere psicofisico e sociale di centinaia di milioni di persone ma non ne sono state la vera causa. 

Zuccheri, cereali raffinati e grassi idrogenati    
Sempre più medici e ricercatori seri sono concordi nel ritenere che la degenerazione dello stile di vita, nonché l’industrializzazione dell’alimentazione, sono tra le cause principali del diabete.
La nascita e la commercializzazione dei cereali raffinati da una parte e dei grassi idrogenati dall’altra è avvenuta proprio agli inizi del XX secolo, parallelamente all’aumento dei casi di diabete. 

Al medico russo Chaterine Kousmine (1904-1992) va il merito di aver compreso che gran parte delle malattie cronico-degenerative erano conseguenza indiretta di un’alimentazione degradatasi progressivamente nel tempo, soprattutto a seguito dell’introduzione nella catena alimentare di alimenti innaturali come lo zucchero bianco, i cereali raffinati e i grassi idrogenati.
All’inizio del secolo scorso l’industria ha iniziato per scopi commerciali a raffinare lo zucchero e  i cereali, andando così ad eliminare tutte quelle sostanze che risultano essere basilari e fondamentali per la vita: vitamine, minerali, enzimi, fibra, ormoni...

Quindi i cereali da alimento importante e completo sono stati trasformati in zucchero (amido allo stato puro) per cui mangiarli significa non solo non apportare nulla all’organismo (calorie vuote) ma anzi deprivarlo delle proprie riserve di sali minerali (ossa, denti, unghie, capelli, ecc.) perché fortemente acidificanti.
La medesima industria, non contenta, ha creato letteralmente ex novo i famosi e tristemente grassi idrogenati.
Il motivo è sempre lo stesso: commerciale.
Essendo solidi a temperatura ambiente si possono trasportare con estrema facilità, possono essere facilmente lavorati, sono inalterabili dall’ambiente esterno, non irrancidiscono e durano a lungo nel tempo. Cosa si può desiderare di più da un grasso?

La tecnica dell’idrogenazione venne introdotta nel 1912 proprio allo scopo di rendere solidi e commerciabili gli oli liquidi.
Tra i grassi idrogenati estremamente pericolosi per la salute, vanno annoverate le margarine, gli oli industriali prodotti ad alte temperature (quelli che riempiono le mensole nei supermercati) che trasformano la struttura molecolare dell’acido linoleico da cis-cis a cis-trans. La cis é una forma utilizzabile per l’organismo umano, la trans una forma non utilizzabile o utilizzabile con danni. 

Purtroppo per tutti noi i grassi idrogenati sono ubiquitari e si trovano ovunque nei prodotti da forno di tipo industriale: merendine, pastine, biscotti, dolci, ecc., nelle pietanze precotte, pollo o pesce impanato, patatine fritte, pizze pronte, minestre in scatola, miscele per torte, ecc.
Secondo l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità una persona adulta dovrebbe ingerire meno di 2 grammi al giorno di grassi cis-trans per non rischiare seriamente la salute.
Sappiamo bene il ruolo giocato da questa associazione negli interessi delle lobbies…
Il punto è che tale soglia massima non dovrebbe esistere perché i grassi idrogenati creano danni anche in quantità molto inferiore.

Quali sono le conseguenze per la salute? Disturbi cardiocircolatori, obesità, danni alle cellule con rischio di tumore, malattie autoimmuni, insulino-resistenza e diabete.
Uno dei principali problemi dei grassi idrogenati è che non possono essere riconosciuti correttamente dall’organismo e quindi per le cellule sono letteralmente tossici.    
Non è un caso che fanno diminuire le HDL, il colesterolo buono e alzano quello cattivo (LDL), interferiscono sia con l’insulina aumentando il rischio diabete che con il sistema immunitario e la detossificazione epatica; aumentano anche le patologie infiammatorie.
Agiscono negativamente sulla importantissima membrana delle 70 trilioni di cellule predisponendo non solo alla resistenza insulinica ma anche a qualsiasi patologia infiammatoria e degenerativa. 

Marcello Pamio – 4 novembre 2016

giovedì 3 novembre 2016

A Helsinki tornano gli scoiattoli volanti siberiani



3 novembre 2016 - A Helsinki tornano gli scoiattoli volanti siberiani: la loro popolazione è più che triplicata negli ultimi due anni, anche grazie a misure di salvaguardia del loro habitat. L’Environment Centre della capitale finlandese, riporta il sito Yle.fi, conferma il ritorno in massa di questi roditori, dopo decenni di assenza.  
L’area in cui gli scoiattoli volanti sembrano proliferare di più è l’ampio Central Park, dove sono stati trovati almeno 25 habitat. Questi scoiattoli, spiega l’agenzia per l’ambiente, non hanno più paura di persone, traffico o cani, ma non si lasciano avvicinare dagli umani, a differenza di altre specie di scoiattoli che dimorano in ambienti urbani. La crescita della popolazione è collegata all’attenzione nella gestione della biodiversità nelle zone verdi cittadine. 
Lo scoiattolo volante siberiano è una specie protetta in Finlandia ed è illegale danneggiare o disturbare le loro aree di nidificazione. 

ANSA

mercoledì 2 novembre 2016

Il Giappone dovrà dare più dati sulla caccia “scientifica” alle balene


 

Il Giappone dovrà fornire più informazioni per la caccia «scientifica» delle balene, mentre nelle acque del Messico si chiederà la rimozione definitiva di tutte le reti da posta che stanno mettendo a repentaglio la sopravvivenza di una particolare specie di cetaceo, la vaquita. Sono alcune delle principali misure adottate dalla Commissione internazionale per la caccia alle balene (Iwc) che nei giorni scorsi in Slovenia ha chiuso il suo meeting biennale. Ne dà conto Greenpeace, che plaude alle misure di tutela pur sottolineando la delusione per la mancata approvazione della proposta di maxi santuario dei cetacei nell’Atlantico meridionale, naufragata anche per i voti contrari di Giappone, Norvegia e Islanda.


AFP

La risoluzione Iwc, spiega all’Ansa un portavoce di Greenpeace, chiede al Giappone di fornire più dati per giustificare la finalità «scientifica» della caccia alle balene e «chiede inoltre un riesame da parte del comitato scientifico dell’Iwc e della Commissione stessa prima di rilasciare un permesso. Resta da vedere se il Giappone sfiderà di nuovo questa decisione». Il Paese ha già ricevuto una diffida due anni fa dalla Corte di giustizia dell’Aja secondo la quale la «caccia scientifica» non è altro che un pretesto per scopi commerciali.


AFP

«Nel complesso questo è stato un buon meeting per le balene», afferma John Frizell, esperto di balene di Greenpeace International presente al summit. «La moratoria di 30 anni per la caccia commerciale non è in discussione e i membri hanno ristretto la scappatoia per i giapponesi». Anche se, ha aggiunto, «le speranze» per la creazione del maxi santuario dei cetacei «sono state deluse».
La prossima riunione dell’Iwc si terrà in Brasile nel 2018.

http://www.lastampa.it

giovedì 11 agosto 2016

Avocado del diavolo

Avocado del diavolo


Ma quanto è buono l’avocado? Una cosa è certa: la crescita delle importazioni e l’aumento dei prezzi sui mercati internazionali stanno portando alla distruzione delle foreste di pini del Messico centrale. Gli alberi di avocado fioriscono alla stessa altitudine dei pini delle montagne del Michoacán, lo stato del Messico divenuto il principale produttore di avocado. Anche dove le foreste sono protette, gli agricoltori piantano giovani alberi nella foresta, e abbattono i pini man mano che gli alberi di avocado crescono, così nessuno si accorge che la foresta sta scomparendo. 
"Anche dove la deforestazione non si vede, ci sono avocado che crescono sotto i rami di pino, e prima o poi i pini saranno abbattuti” spiega Mario Tapia Vargas, ricercatore presso l'Istituto Nazionale Messicano delle Ricerche sulle Foreste l’Agricoltura l’Allevamento e la Pesca.

Le foreste del Michoacán sono essenziali per lo svernamento della farfalla monarca, e la deforestazione è molto più di una questione scientifica. Le autorità hanno già rilevato piccoli appezzamenti convertiti in piantagioni di avocado nella riserva per le farfalle monarca.
Come se non bastasse, un albero maturo di avocado  utilizza quasi il doppio dell'acqua della foresta naturale, e le piantagioni minacciano i leggendari torrenti cristallini di Michoacán, essenziali per le foreste e la fauna.

Secondo Greenpeace, la deforestazione minaccia anche le popolazioni locali: “oltre a devastare le foreste e minacciare le falde idriche, la coltivazione di avocado fa uso massiccio di prodotti chimici, mentre le casse di imballaggio dei frutti richiede grandi quantità di legna. Tutto questo rappresenta una minaccia per il benessere degli abitanti nella regione” spiega l'associazione. 
Intanto le strade rurali che attraversano le montagne sono ingolfate dal traffico di autocarri pesanti che trasportano avocado.
10 agosto 2016 

http://www.salvaleforeste.it

venerdì 15 luglio 2016

Sos biodiversità, è sotto livello di guardia nel globo
Studio, a rischio equilibri ambientali e salute dell'uomo


Sos biodiversità, è sotto livello di guardia nel globo © ANSA 
ROMA, 15 luglio 2016 - La biodiversità del globo è scesa sotto il "livello di guardia" a causa della distruzione degli habitat per il loro sfruttamento agricolo con conseguenze potenzialmente disastrose per gli equilibri ambientali e per l'uomo. A lanciare l'allarme è uno studio guidato da ricercatori londinesi secondo il quale per oltre la metà della superficie terrestre, che ospita più del 70% della popolazione mondiale, il livello di perdita di biodiversità è talmente diminuito da minare la capacità degli ecosistemi di supportare nel futuro le stesse vite umane.

Lo studio, pubblicato su Science e condotto dallo University College London, afferma che il nostro pianeta sta perdendo talmente tante specie che a rischio potrebbe esserci la stessa sopravvivenza dell'uomo. I ricercatori spiegano che la distruzione degli habitat naturali ha ridotto la varietà di piante e animali esistenti al punto che fenomeni naturali - come l'impollinazione, la decomposizione dei rifiuti, la regolazione del ciclo globale del carbonio - potrebbero non essere più in grado di funzionare correttamente, con rischi in particolare per l'agricoltura.
Basti pensare che sono oltre 240 le colture nel mondo, tra cui quelle di moltissimi frutti, che hanno bisogno di impollinatori come api e farfalle per sopravvivere. Tundra e foreste boreali sono le aree meno colpite, al contrario delle praterie, dove si concentra la maggior parte dell'industria agricola.

ANSA

giovedì 14 luglio 2016

In Adriatico 91 specie aliene, 9 sono nocive
Ispra vuole istituire sistema monitoraggio e allarme



In Adriatico 91 specie aliene, 9 sono nocive © ANSA 
ROMA, 14 luglio 2016 - Sono 91 le specie aliene ritrovate in quattro porti dell'Adriatico (Trieste, Venezia, Ancona, Bari). Sono arrivate con le acque di zavorra delle navi: nove di queste specie sono potenzialmente nocive. Per questo l'Ispra (l'istituto governativo di indagini ambientali) vuole realizzare un sistema per il monitoraggio dei porti italiani per individuare le specie aliene e un sistema di allerta che diffonda subito la notizia dell'avvistamento.

Sono alcuni degli obiettivi del progetto europeo BALMAS sulla gestione delle acque di zavorra delle navi in Adriatico (Ballast Water Management System for Adriatic Sea Protection), progetto che si conclude a settembre e su cui oggi ISPRA promuove un Infoday a Bari, uno dei porti dell'Adriatico coinvolti nelle ricerche condotte dall'ente e dai suoi partner italiani e internazionali.

Solo nel porto pugliese, il monitoraggio sulla componente bentonica, vale a dire degli organismi che vivono associati al fondo, ha permesso di individuare 11 specie non indigene su fondi duri, 3 specie non indigene di fondi mobili e 2 specie macroalgali aliene.

Tra questi organismi ci sono ad esempio il polichete Pseudopolydora vexillosa, finora trovato solo a Taiwan, il polichete Hydroides elegans, proveniente dall'Australia e il bivalve Anadara transversa, probabilmente originario del Golfo del Messico, già segnalato in Adriatico a partire dal 2001 e considerato una delle peggiori specie invasive presenti nel Mediterraneo.

Più in generale nei quattro porti investigati in Italia (oltre a Bari sono stati coinvolti quelli di Trieste, Venezia e Ancona) sono state individuate 91 specie non indigene, 9 delle quali potenzialmente nocive. Il mare Adriatico è il mare italiano con il più elevato numero di specie non indigene, in particolare nella sua parte nord.

ANSA

sabato 4 giugno 2016

L'evoluzione delle orche modellata dalla 'cultura'
Il loro Dna è segnato dall'esperienza, come accade agli umani


4 giugno 2016 - Anche le orche, come gli umani, si sono evolute grazie alla 'cultura': l'insieme delle esperienze fatte nel tempo e tramandate di generazione in generazione (ad esempio per la pesca o la caccia alle foche) hanno finito per modellare il Dna di questi giganti marini, aiutandoli ad adattarsi rapidamente a vivere in habitat anche molto diversi tra loro, che vanno dall'Artico fino all'Antartide. E' quanto rivela l'analisi del Dna di 50 esemplari, pubblicata su Nature Communications dal gruppo di ricerca guidato da Andrew Foote dell'Università di Berna, in Svizzera.

Le 50 orche studiate appartengono a cinque diversi gruppi genetici: due vivono nell'oceano Pacifico e tre in quello Antartico. Dalla comparazione dei Dna è emerso che discendono tutti da un antenato comune, vissuto circa 250.000 anni fa. I loro percorsi evolutivi hanno cominciato a dividersi quando alcuni esemplari si sono allontanati (in branchi composti da decine o centinaia di esemplari) per andare a conquistare nuovi habitat. Dopo i primi momenti di difficoltà affrontati dalle orche 'esploratrici', il numero degli esemplari di ciascun gruppo ha iniziato a salire: le esperienze fatte per adeguarsi al nuovo ambiente sono state quindi tramandate di generazione in generazione, lasciando un'impronta unica sul Dna che ha rinforzato l'identità genetica di ciascun gruppo.

Questo processo di modellamento del genoma indotto dall'esperienza era stato studiato finora solo nell'uomo: un classico esempio riguarda i geni per la tolleranza al lattosio, sviluppati dalle prime popolazioni di agricoltori e allevatori in seguito all'introduzione dell'attività lattiero-casearia.


ANSA

mercoledì 1 giugno 2016

Cibo & Salute

Residui antibiotici nel miele, veterinari lanciano allarme

Api potrebbero diventare vettori di antibiotico-resistenza



 © ANSA
1 giugno 2016 - Allarme residui antibiotici per il miele. Arriva dalla Federazione nazionale ordini veterinari italiani (Fnovi) che, in una nota, riporta i dati del rapporto pubblicato a maggio dall'Efsa (European Food Safety Auctority) che evidenziano come campioni non conformi delle sostanze residue medicinali sugli animali e sui prodotti animali censite nel 2014\2015 siano presenti per lo 0,02% nella carne di suino, per lo 0,21% nelle carni ovine, per lo 0,54% nelle carni equine e per lo 0,72% nel miele. ''Gli eccessi rilevati sono sorprendenti - sottolinea in una nota la Fnovi - se si pensa alla consuetudine dei consumatori di ricercare qualità naturali nel prodotto delle api. Api che le Nazioni Unite indicano in un report quali impollinatrici senza le quali sparirebbero più di 70 delle 100 colture principali che forniscono circa il 90% del nutrimento della popolazione mondiale come frutta e verdura, oltre al fieno per alimentare il bestiame''.
"La possibilità di utilizzare antimicrobici in apicoltura - rileva il presidente Gaetano Penocchio prospetta un quadro rovinoso. Le api, infatti, potrebbero diventare vettori di antibiotico-resistenza, senza alcuna possibilità di controllo e quindi di difesa dalla contaminazione per le colture e per l'ambiente. Non ha alcun senso intraprendere campagne europee e nazionali contro l'utilizzo di antimicrobici in medicina umana e in veterinaria e poi non porsi criticamente nei confronti dell'impatto ambientale che si produrrebbe a trattare animali che abitano 14 milioni di alveari e volano ovunque sul territorio e sui campi" conclude Penocchio.


ANSA

venerdì 13 maggio 2016

Abbattete l'ultima foresta d'Europa!


Una delle ultime foreste intatte dell'Europa è in pericolo. Białowieża è l’unica grande foresta millenaria di pianura rimasta in Europa. Questa foresta ospita gli alberi più grandi del continente, e l’ultimo grande mammifero selvatico d'Europa, il bisonte. Solo una piccola parte di questa foresta (il 16 per cento) è protetto dallo status di parco nazionale e altre parti sono protette dall’Unione Europea e come sito del patrimonio mondiale dell'Unesco. Il resto è considerato "foresta commerciale" e il governo polacco ne vuol fare una mera cava di legname. Negli ultimi anni, infatti, gli ambientalisti hanno vinto la battaglia per mettere sotto controllo il taglio degli alberi: le comunità locali e il governo possono abbattere e raccogliere solo una quota di legname ogni anno. Il nuovo ministro dell'ambiente Jan Szyszk però ha deciso di aprire la foresta al taglio commerciale, guarda caso proprio quando la quota prevista è stata già raggiunta. Il ministro sostiene che il legno resti "marcire" in quanto gli abeti vengono uccisi dal Bostrico dell’abete, un coleottero che divora la corteccia dell’abete rosso. In gioco però non ci sono gli abeti rossi in decomposizione, ma evidenti interessi commerciali. E infatti gli scienziati hanno sbugiardato le ragioni "scientifiche" del taglio promosse dal governo polacco: "Se permettiamo che diventi una foresta produttiva, perderà il suo valore e la sua biodiversità". dice Rafał Kowalczyk, direttore dell’Istituto di ricerca sui Mammiferi di Białowieża, intervistato dal Guardian "Ci vorranno centinaia di anni per porre riparo a questa distruzione"

Come spiega Kowalczyk, l'abete rosso ha radici poco profonde, e soffre per i terreni divenuti più aridi in seguito al cambiamento climatico. Questo è il motivo per cui questo albero è ha perso le difese verso il famigerato coleottero. Si tratta a questo punto di un processo naturale per la creazione di una foresta più resistente: in aree dove abete non riesce a rigenerare, sarà rapidamente sostituito da altre specie - come carpine e tiglio - più adatte alle nuove condizioni ambientali. Inoltre, una foresta naturale è e deve essere ricca di legno morto: non è uno spreco, come sostiene il ministro, ma un habitat essenziale per un gran numero di invertebrati e di altri animali. Per esempio, il picchio tridattilo è quattro volte più raro nella parte commercialmente della foresta di Białowieża, dove gli alberi morti sono più raro.


Ampi tratti della foresta di Białowieża sono unici perché non sono mai stati abbattuti, ma la foresta non è tutta millenaria. Infatti questo grande paesaggio forestale sostiene una popolazione umana che si sostiene col turismo, con la produzione di miele, la raccolta di funghi, la caccia e un moderato prelievo di legname. Lo scontro tra natura intatta come spreco contrapposto alle necessità delle comunità locali non è che un pasticcio demagogico di nessun valore scientifico. Il coleottero in realtà viene usato come pretesto per interessi commerciali che hanno ben poco a che vedere con il benessere delle comunità locali.


In realtà solo il 57% devoluti da abbattere hanno a che fare con alberi compiti dal coleottero, il cui legno è economicamente inutilizzabile. Le imprese del legno sono invece interessate agli albori sani, possibilmente ai grandi alberi secolari. Ma il guadagno dei venditori di legname è nulla in paragone al valore dell’ultima grande foresta di pianura ancora intatta. E gli scienziati avvertono che aprire al taglio anche aree limitate rischia di spazzare via intere specie. Inoltre, secondo gli scienziati, il parco di Białowieża è ancora troppo piccolo per sostenere alcune specie: 100 chilometri quadrati di parco a fronte di habitat, come quello della lince, che si estendono comunemente intorno ai 300 chilometri quadrati. Insomma, sostengono gli scienziati, il parco va esteso, e fette più ampie di foresta protette. 

27 aprile 2016

lunedì 9 maggio 2016

Aumentano i pesticidi delle acque. Fra i più diffusi c'è il glifosato

Ispra, aumentano i pesticidi delle acque. Fra i più diffusi c'è il glifosato

Due campioni su tre, fra quelli superficiali, contengono sostanze inquinanti. Contaminata anche una falda sotterranea su tre. Il glifosato viene ritenuto dall'Oms probabilmente cancerogeno



ROMA - Aumentano i pesticidi nei punti monitorati delle acque italiane, sia in quelle superficiali (più 20% tra il 2003 e il 2014) sia in quelle sotterranee (più 10%). Lo afferma l'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) nell'edizione 2016 del Rapporto Nazionale Pesticidi nelle Acque, relativa al 2013-2014.

Secondo le analisi dell'Istituto, le acque superficiali (fiumi, laghi, torrenti) contengono pesticidi nel 64% dei 1.284 punti monitorati (nel 2012 erano il 57%), quelle sotterranee nel 32% dei 2.463 punti studiati (erano il 31% nel 2012). Un campione superficiale su cinque in Italia non è solo contaminato, ma supera anche il livello di qualità ambientale. L'inquinamento è più diffuso nella pianura padano-veneta, anche perché lì sono più frequenti i monitoraggi. Fra le sostanze rilevate più spesso c'è il glifosato, insieme al suo prodotto di decadimento, l'Ampa.



Ispra, aumentano i pesticidi delle acque. Fra i più diffusi c'è il glifosato 
 
Il glifosato è al centro di una polemica scientifica da quando l'Oms lo ha dichiarato probabilmente cancerogeno a marzo dell'anno scorso. A ottobre l'Efsa (l'Autorità europea per la sicurezza ambientale) aveva pubblicato un nuovo dossier, definendo al contrario "improbabile" il rapporto fra questo erbicida e i tumori. L'Unione Europea dovrà decidere entro giugno se prorogare l'autorizzazione all'uso del diserbante nel territorio dell'Ue. Le discussioni della Commissione si sono sempre chiuse finora con una fumata nera.

L'Ispra ha messo insieme i risultati forniti dalle varie agenzie regionali per la protezione dell'ambiente. Lo stesso Istituto ha precisato che la copertura del territorio è tutt'altro che omogenea e molti dati relativi al centro-sud non sono mai arrivati. Molise e Calabria non hanno fornito alcuna informazione, mentre per altre regioni mancano i numeri sulle acque sotterranee. Le analisi relative al glifosato e all'Ampa vengono svolti solo in Lombardia e Toscana e solo in superficie.

Anche con campionamenti così limitati, il diserbante delle controversie risulta comunque "fra i principali responsabili del superamento dei limiti di qualità ambientale" scrive l'Ispra. E' stato ritrovato infatti nel 40% dei campioni di acqua analizzati, mentre l'Ampa arriva al 71% dei campioni.





Ispra, aumentano i pesticidi delle acque. Fra i più diffusi c'è il glifosato
A preoccupare l'Istituto è la "diffusione elevata" degli inquinanti "anche nelle acque sotterranee, con pesticidi presenti nelle falde profonde naturalmente protette da strati geologici poco permeabili". Il 7% di questi campioni è contaminato oltre i livelli di qualità ambientale.
Se i diserbanti restano le sostanze più diffuse (anche perché vengono usati in primavera, quando piove di più), sono in aumento fungicidi e insetticidi come i neonicotinoidi, accusati della moria delle api e degli altri insetti impollinatori.

Ispra, aumentano i pesticidi delle acque. Fra i più diffusi c'è il glifosato
Sempre più spesso l'Ispra rileva nell’acqua la presenza di molte sostanze tossiche contemporaneamente: "Più che in passato sono state trovate miscele di sostanze contenenti anche decine di componenti diverse. Ne sono state rilevate fino a 48 in un singolo campione. La tossicità di una miscela è sempre più alta di quella dei singoli componenti" scrive l’Istituto.

L'aumento dell'inquinamento dell’acqua è in controtendenza con i dati sulle vendite dei pesticidi, che oggi vengono sparsi sui nostri campi al ritmo di 130mila tonnellate all'anno, con un calo del 12% rispetto al 2001. "In molte aree del centro-sud - spiega l'Ispra - solo con ritardo sta emergendo una contaminazione prima non rilevata". I tempi di smaltimento di queste sostanze, inoltre, sono molto lunghi. Soprattutto nelle acque sotterranee.


http://www.repubblica.it

mercoledì 27 aprile 2016

Api anti-esplosivo


Le chiamano Bomblebees, sono le api e vespe addestrate per riconoscere gli esplosivi. La Inscentinel, una società di Hertfordshire ha ricevuto 250.000 sterline dal governo britannico per metterle alla prova: l’olfatto delle api sarebbe efficiente come quello dei cani. Ma secondo Ivan Hoo, amministratore delegato di Inscentinel, mentre addestrare un cane può richiedere sei mesi, gli insetti sarebbero più adattabili, e imparerebbero a riconoscere un esplosivo in... 6 secondi. Tuttavia, gli scienziati britannici sono scettici: secondo loro basterebbe l’odore di un fiore per distrarre un’ape dallo scoprire dell'esplosivo.
da www.focus.it

giovedì 21 aprile 2016

Una boa per creare energia

SI CHIAMA WAVESPRING LA BOA MARINA CHE ALIMENTA 200 ABITAZIONI CON LE ONDE DEL MARE


I primi test sono stati un successo: si ispira al sistema di pompaggio cardiaco umano
www.rinnovabili.it


Energia dalle onde: WaveSpring è la boa marina che non ha rivali

Il cuore è una delle pompe più efficienti creati da Madre Natura. Ecco perché quando la svedese CorPower Ocean ha voluto cimentarsi nella progettazione di un impianto per lo sfruttamento dell’energia dalle onde si è ispirata al muscolo cardiaco umano. E’ nata così WaveSpring, innovativa tecnologia di produzione energetica capace di trasformare  le onde marine in elettricità con un efficienza senza pari.


Forte dei primi test effettuati, la società è convinta di poter introdurre facilmente il proprio dispositivo nel nascente mercato dell’energia dalle onde. Nonostante la profusione  di progetti e concept di questi ultimi anni i concorrenti in carne e ossa sono ancora pochissimi e i record appartengono quasi tutti alle acque del nord Europa (vedi il più grande impianto per la produzione di energia dalle onde realizzato da Seabased).


Ma quello che promette l’azienda svedese va oltre quanto visto fin’ora. WaveSpring sarebbe più economico da fabbricare e produrrebbe tre volte l’output energetico ottenuto oggi dal miglior design in circolazione. Il dispositivo è costituito da una boa galleggiante di circa otto metri di diametro (collegata al fondo marino mediante un cavo di ormeggio); l’unità è in grado di assorbire energia in maniera combinata sia dalla corrente superficiale che dal movimento di sollevamento delle onde.

corpower

La tecnologia permette al corpo di WaveSpring di oscillare in risonanza con le onde in arrivo, amplificando la propria capacità di catturare il movimento e di conseguenza l’energia prodotta: una singola boa di stanza in mare aperto è in grado di generare circa 250 kilowatt di potenza, abbastanza per coprire il fabbisogno elettrico di 200 abitazioni. CorPower sostiene non solo che la sua macchina sia tre volte più efficiente delle attuali tecnologie per la cattura dell’energia delle onde ma anche che il dispositivo impieghi meno materiali per fornire un costo al kW inferiore a quello degli altri impianti oggi esistenti.


I risultati dei primi test effettuati dimostrerebbero che WaveSpring è in grado di competere con altre tecnologie di produzione energetica da fonti rinnovabili marine, come l’eolico offshore. Ma per raggiungere il vero obiettivo della società (un costo di 150 euro/ kWh per i primi array, per scendere poi sotto i 100 euro con i grandi volumi), la strada da percorre non è finita. Le sperimentazioni e i miglioramenti continueranno, anche grazie al nuovo finanziamento da 6,5 milioni di euro, ottenuto lo scorso anno.

wave

“Questo finanziamento – spiega Patrik Moller, chief executive di CorPower – significa che ora siamo in grado di fare un passo avanti significativo per portare sul mercato questa tecnologia all’avanguardia e contribuire così ad un fondamentale cambiamento nella produzione di energia elettrica dalle onde dell’oceano”.


I nuovi fondi daranno il via ad un terzo round di valutazioni che includeranno anche dei test in un ambiente controllato per verificare prestazioni e affidabilità, seguito dall’istallazione in mare presso il sito di prova a Scapa Flow, una baia situata nell’arcipelago delle isole Orcadi, Scozia. CorPower ha dichiarato l’intenzione di portare sul mercato i primi WaveSpring entro il 2020. Il progetto è sostenuto anche dall’Agenzia Svedese per l’Energia e Wave Energy Scozia.

21 aprile 2016

sabato 12 marzo 2016


Anche il canto degli uccelli è dominato dall'emisfero sinistro

Negli uccelli canori è possibile osservare specifici schemi di attivazione cerebrale in seguito alla percezione del canto che ricordano quelli connessi alla percezione del linguaggio parlato nell’essere umano (red) 

In che modo viene influenzato l’apprendimento uditivo e vocale del linguaggio dalla prevalenza di uno dei due emisferi cerebrali? La questione è complessa, ma gli studi sugli animali consentono di osservare come si è evoluta questa importante caratteristica neuroanatomica.

Sull’ultimo numero dei “Proceedings of the National Academy of Sciences”
viene presentato uno studio sugli uccelli canori, i quali, secondo le conclusioni, mostrano una lateralizzazione assai simile a quella umana, in particolare negli esemplari giovani nella fase di apprendimento del canto.

Nell’essere umano, è noto da tempo che due regioni, l’area di Broca, nel lobo frontale, e l’area di Wernicke, nel lobo temporale, sono coinvolte in modo cruciale nella produzione e nella percezione del linguaggio. Quando si espone un bambino al linguaggio parlato e si esegue una scansione con la risonanza magnetica funzionale, si osserva un’attivazione prevalente nell’emisfero sinistro. Più nello specifico, alcuni studi hanno rilevato una dominanza del lato sinistro dell’area di Wernicke fortemente correlabile a processi di memorizzazione in seguito alla percezione del linguaggio parlato già in neonati di soli 2,5 mesi di età.

Anche il canto degli uccelli è dominato dall'emisfero sinistro
Esemplare maschio di (Cortesia Johan Bolhuis)
In passato, alcune ricerche avevano stabilito che gli uccelli canori, a differenza di ciò che avviene nei primati non umani, imparano a vocalizzare in modo simile ai bambini, e possiedono regioni cerebrali analoghe a quelle umane che mostrano una simile dissociazione neurale tra produzione vocale da una parte, e percezione e memoria uditiva, dall’altra. Sia negli esseri umani sia negli uccelli canori, inoltre, è stata documentata la lateralizzazione della responsività neurale in queste regioni cerebrali.

In quest’ultimo studio, i ricercatori hanno analizzato la risposta di alcuni esemplari di diamante mandarino, specie appartenente all’ordine dei passeriformi, all’esposizione al canto di un uccello tutore e a un canto non familiare. È così stata riscontrata una dominanza del lato sinistro nell’attivazione neuronale in un’area che rappresenta l’analogo dell’area del Broca. L’effetto è stato osservato in esemplari sia giovani sia adulti e indipendentemente dallo stimolo utilizzato.

Negli esemplari più giovani, tuttavia, si è evidenziato un fenomeno peculiare, poiché la dominanza del lato sinistro del nidopallio caudomediale, che per questi uccelli equivale all'area di Wernicke, si manifestava solo durante l'ascolto del canto dell’uccello tutore e non nel caso del canto non familiare. Inoltre, questa dominanza era  legata specificamente alla fase di apprendimento del canto e risultava correlata ai processi di memoria.

In complesso, questi risultati sembrano quindi confermare un notevole parallelismo tra canto degli uccelli e linguaggio parlato umano, aggiungendo un importante tassello al complesso mosaico delle basi neurologiche dell’apprendimento del linguaggio.


http://www.lescienze.it

lunedì 29 febbraio 2016

CAMMINARE NEI BOSCHI FA BENE AL CERVELLO E AL CORPO

Camminare nei boschi fa bene al cervello
Una nuova ricerca ha dimostrato che il contatto con la natura inibisce la formazione di pensieri negativi, che possono sfociare in gravi patologie come la depressione.

Camminare nei boschi fa bene
, è una verità talmente elementare che sembrerebbe superfluo ricordarlo. Quando siamo tra gli alberi il battito cardiaco rallenta, la pressione si abbassa e l’umore migliora così rapidamente che medicine, terapie e analisi sembrano miseri palliativi al confronto.


Non sempre però verità che ci sembrano limpide vengono riconosciute dalla scienza ufficiale, impegnata a scindere il mondo in unità distinte da analizzare separatamente, perdendo di vista l’insieme. Questa volta però, una nuova ricerca ha confermato che passeggiare a contatto con la natura ha un effetto rigenerante sul cervello e aumenta i livelli di attenzione.
 
Lo studio, pubblicato sulla rivista ‘Proceedings of the National Academy of Sciences’, è stato condotto da Gregory Bratman, dottorando in biologia all’Università di Stanford.

Il ricercatore ha radunato 38 persone che vivono in zone urbane, le ha divise in due gruppi e le ha invitate a camminare per 90 minuti. Metà gruppo ha passeggiato in un parco vicino al campus di Stanford, mentre gli altri hanno camminato lungo una strada trafficata nel centro di Palo Alto, California.

Prima e dopo la passeggiata ai partecipanti è stato sottoposto un questionario, volto a misurare la loro tendenza alla formulazione di pensieri negativi autoreferenziali che aumentano il rischio di depressione. I volontari sono inoltre stati sottoposti a scansioni cerebrali focalizzate su una regione del cervello chiamata corteccia prefrontale subgenuale, area collegata all’autostima che risulta particolarmente attiva mentre si fanno pensieri negativi su sé stessi.

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I risultati hanno evidenziato che le persone che hanno camminato nel parco hanno mostrato una diminuzione dei pensieri negativi
. Le risposte al questionario sono state differenti dopo la passeggiata e l’attività cerebrale ha confermato il cambiamento di umore.


“Stare a contatto con la natura, anche per breve tempo, aiuta a ridurre i modelli di pensiero associati, in alcuni casi, a patologie come la depressione”, ha dichiarato l’autore principale dello studio.
La ricerca dovrà essere approfondita ed estesa ad un campione maggiore di soggetti,ma rappresenta comunque la prova scientifica dei benefici sul nostro organismo derivanti dall’esposizione alla natura.

Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto”, scriveva Henry David Thoreau nel libro: “Walden ovvero vita nei boschi”.

Fonte: lifegate.it
letto su : http://www.conoscenzealconfine.it/camminare-nei-boschi-fa-bene-al-cervello/