lunedì 29 luglio 2013

I delfini si chiamano per nome: ognuno risponde al suo fischio 


I delfini si chiamano per nome: ognuno risponde al suo fischio

Secondo la scoperta di due biologi marini dell'università di St. Andrews, pubblicata sulla rivista Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences), i tursiopi modulano speciali suoni per identificarsi l'uno con l'altro. Oltre l'uomo, sono gli unici animali a farlo

LONDRA - Fischiano, come noi, e si chiamano così. Ognuno di loro risponde a un tipo di fischio. Ogni suono, ogni frequenza, è un nome. Che i delfini dal naso a bottiglia (Tursiops truncatus, Montagu 1821) siano intelligenti e abbiano sviluppato un proprio linguaggio è noto. Ma che abbiano un modo per identificarsi è quanto hanno scoperto, e dimostrato, i biologi marini Stephanie King e Vincent Janik, dell'università di St. Andrews, in Scozia.

IL VIDEO/Il ballo dei delfini richiamati dai fischi

 
"Questi animali vivono lontano dalla costa e hanno bisogno di punti di riferimento e di un sistema molto efficiente per comunicare e anche riconoscersi", ha spiegato Vincent Janik, a capo dell'equipe che ha condotto la ricerca. Con una serie di esperimenti gli scienziati sono riusciti a provare che ogni delfino all'interno del suo gruppo risponde solo al fischio che lo identifica, riproducendo lo stesso suono.

Il loro studio pubblicato sulla rivista Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences) dimostra che questi animali rispondono solo a 'copie' del proprio fischio. Una sorta di segno di identità utilizzato nella comunicazione con il gruppo. La ricerca è stata realizzata su 200 tursiopi al largo della Scozia. "Si tratta della prima prova reale dell'esistenza di 'appellativi' individuali nel regno animale", ha detto Stephanie King. Il tursiope dal naso a bottiglia è l'unica specie, escludendo l'uomo, a chiamarsi per nome. I ricercatori hanno dimostrato che la metà dei suoni prodotti da questi delfini servono a dire il proprio nome e ad annunciare il proprio arrivo.

Già era stato dimostrato che questi animali nei primi mesi di vita mettono a punto un suono 'personale'. Gli scienziati hanno quindi cercato di capire cosa fa un delfino quando sente un suo consimile riprodurre il 'fischio-nome'. Per farlo hanno registrato singolarmente i diversi fischi, per poi  riprodurli in tempi differenziati. Il risultato è stato che gli animali hanno reagito, sempre e rapidamente, solo quando hanno sentito il proprio suono, mai agli altri.

Il tursiope, o delfino dal naso a bottiglia, è il più studiato anche perché è una delle rare specie di delfini a sopportare la cattività. È diffuso in tutti i mari del mondo, a eccezione delle zone artiche ed antartiche e ne esistono due popolazioni distinte, una costiera e una di mare aperto. Vive generalmente in branchi formati dalle femmine che partoriscono un solo piccolo. I maschi possono formare delle associazioni chiamate "alleanze". È un animale che mostra una certa curiosità nei confronti dell'uomo. Ricambiata.


23 luglio 2013
http://www.repubblica.it

domenica 28 luglio 2013

Maiorca, in fumo 2.000 ettari di bosco

Un violento incendio sta colpendo da tre giorni la principale isola delle Baleari



28 luglio 2013 - Emergenza incendi in Spagna. Stavolta è stata colpita Maiorca, la principale isola delle Baleari. Le fiamme hanno attaccato la foresta di Andratx da venerdi' 26 luglio e finora sono andati in fumo quasi 2.000 ettari di bosco. I vigili del fuoco e volontari sono intervenuti in forze: quasi 300 le persone impegnate. Dal cielo 7 aerei e otto elicotteri. La violenza dell'incendio ha consigliato di far evacuare 700 residenti che abitano nell'area interessata dal rogo.

ANSA

giovedì 25 luglio 2013

TORNA IL DELFINO COMUNE NEL SANTUARIO DEI CETACEI, IL VIDEO
A largo dell'Asinara
 


25 lug 13 - Dopo oltre 15 anni di pressoché totale assenza, circa 50 esemplari di Delfino comune (Delphinus delphis) sono stati avvistati al largo delle coste dell’Asinara (Sardegna), nella parte meridionale del Santuario Pelagos, nel corso della campagna di monitoraggio relativa alle "Microplastiche", svolta dai ricercatori del Laboratorio Biomarkers dell’Università di Siena sulla base di un finanziamento dedicato del Ministero dell’Ambiente.
L’avvistamento risale al 16 luglio scorso, quando i ricercatori dell’Università di Siena hanno avvistato due gruppi composti da circa 25 esemplari ciascuno; gli animali si sono avvicinati alla prua dell’imbarcazione, l’avvistamento è stato documentato con foto e video ed è stato possibile prelevare biopsie cutanee.
Il Delfino comune, che deve il suo nome proprio alla grande abbondanza di esemplari di tale specie una volta presenti nelle nostre acque, vive sia in acque pelagiche che costiere ed è preferenzialmente ittiofago, tuttavia si nutre anche di cefalopodi. In genere, i branchi sono formati da 10-20 individui, occasionalmente in associazione a stenelle striate o a tursiopi.
Un tempo molto diffuso nei mari italiani, oggi lo si può incontrare soltanto nei pressi di Gibilterra, nel mare di Alboran, lungo le coste africane e vicino alla Grecia.
Al contrario, in Mar Ligure è diventato rarissimo.
Non si conosce esattamente il motivo di questa diminuzione così massiccia, si ipotizza sia dovuta a una maggior sensibilità di questi animali all’inquinamento delle acque, attitudine che li avrebbe allontanati dalle zone più antropizzate per concentrarsi in aree dove l’impatto umano è ancora limitato.


da minambiente.it

mercoledì 24 luglio 2013

MANGIARE COME ALL'ETÀ DELLA PIETRA

Perché è impossibile (e inutile) seguire una «paleo-dieta»
L'uomo di oggi è molto diverso dai cavernicoli, piante e animali attuali non sono quelli di diecimila anni fa

MILANO - Mangiare bacche, noci, carne in grande quantità. Evitare accuratamente latticini, cereali trasformati di qualunque genere, zuccheri. È la dieta "da cavernicoli" di chi è convinto che l'uomo non sia molto cambiato dal Paleolitico in poi e quindi non basti togliere i cibi spazzatura per un'alimentazione davvero sana, ma serva tornare a nutrirsi come i nostri antenati cacciatori-raccoglitori. Tuttavia un articolo sulle pagine di Scientific American, raccontando le riflessioni raccolte nel libro "Paleofantasy" della biologa evoluzionista Marianne Zuk dell'università di Riverside in California, avverte: la dieta paleolitica è sbagliata e pure impossibile da seguire per davvero, perché né l'uomo né le specie animali e vegetali sono più le stesse rispetto a decine di migliaia di anni fa.

PPROGENITORI - I fautori dell'alimentazione "alla Flintstones" sottolineano che dalla fine del Paleolitico, circa 10mila anni fa quando si sviluppò l'agricoltura, il genoma umano non si è modificato in maniera sostanziale: a quel tempo, secondo i nostalgici, l'uomo era in sintonia con l'ambiente in cui viveva e non soffriva di malattie cardiovascolari, obesità, tumori. Mangiava solo ciò che riusciva a procurarsi con le sue forze, cacciando prede e raccogliendo semi selvatici, erbe, bacche. Poiché il corpo umano si sarebbe adattato alla vita allora, per restare sani il nostro regime alimentare non dovrebbe scostarsi da quello dei nostri progenitori: tumori e altre malattie attuali sarebbero il frutto di un'incompatibilità del nostro organismo con gli alimenti di cui ci nutriamo. Da qui la necessità di evitare tutti i cibi inventati dall'uomo dopo il Paleolitico: latticini, cereali trasformati (dal pane bianco ai prodotti per la colazione), zuccheri, insaccati, per non parlare di patatine e fast food. La paleo-dieta, se da un lato ha almeno il pregio di eliminare i cibi spazzatura che di sicuro bene non fanno, nella sua versione integralista non concede neppure latticini ricchi di calcio, legumi che sono un'ottima fonte di proteine, cereali pieni di fibre. Un rischio per la salute, secondo parecchi nutrizionisti.

EVOLUZIONE - Per di più, come scrive Zuk, le teorie dei paleo-ammiratori partono da presupposti sbagliati: noi non siamo affatto gli uomini che eravamo decine di migliaia di anni fa. «Come ogni altro essere vivente, nel nostro lungo percorso evolutivo abbiamo subito cambiamenti - scrive Zuk -. Diversi esempi chiariscono che l'evoluzione di alcuni nostri tratti, correlati al cibo e non solo, non si è fermata all'età della pietra e anzi, è stata molto rapida». La capacità di digerire il latte da adulti è forse l'esempio più famoso: dopo l'avvento della pastorizia e l'inizio della produzione dei latticini è comparsa in molti una mutazione genetica che consente di mantenere "acceso" il gene che codifica per l'enzima lattasi, indispensabile per il metabolismo del latte, anche dopo la primissima infanzia. Non solo: la biologa sottolinea che pure la microflora intestinale, che interagisce con il cibo che introduciamo, oggi è quasi certamente diversa rispetto a quella che si trovava negli intestini dei cavernicoli. Insomma, l'uomo non è più quello di allora e non ha molto senso cibarsi come se fossimo all'età della pietra, anche perché pure le nostre attività sono diverse: nessuno di noi sgobba dall'alba al tramonto per cacciare, raccogliere legna o difendersi da predatori pericolosi.

IMPOSSIBILE - Non basta. Se pure la dieta paleolitica avesse un senso, sarebbe impossibile seguirla davvero perché oltre all'uomo sono cambiate anche le specie animali e vegetali di cui dovremmo nutrirci. Christina Warinner, biologa dell'università di Zurigo, ha spiegato che quelle attuali non hanno più nulla a che vedere con quelle del Paleolitico, perché abbiamo selezionato artificialmente prodotti che ritenevamo migliori: frutti più grandi, animali più produttivi, sottotipi diversi per sapore e aspetto. I pomodori erano più piccoli, le banane avevano i semi, non esistevano cavoli, cavolfiori o broccoli ma un solo tipo di "cavolo" primordiale. Che allora basti guardare come mangiano oggi le tribù rimaste più ancorate al passato? Non è così semplice, perché l'alimentazione dei cacciatori-raccoglitori moderni è assai variegata, come lo era quella dei nostri avi: in sostanza, allora come adesso l'uomo era molto flessibile nelle sue scelte alimentari, mangiava in base a ciò che offriva il suo ambiente, alla stagione, alle opportunità che trovava. Morale, è praticamente impossibile dire come debba essere la paleo-dieta ideale.

SALUTE - Per di più, ieri come oggi chi si alimenta con ciò che offre la natura senza poter accedere a nulla che non ci si possa procacciare con arco, frecce, canna da pesca e pochi altri strumenti non è più sano di noi occidentali "crapuloni". L'idea che la paleo-dieta garantisca salute è un falso, secondo gli studiosi delle popolazioni del passato e delle tribù di cacciatori-raccoglitori attuali: una recente ricerca pubblicata sulla rivista Lancet, condotta analizzando poco meno di 150 mummie risalenti fino a 4mila anni fa e rinvenute in quattro aree archeologiche nel mondo, dall'Egitto al Perù, ha dimostrato che in buona parte di quegli uomini del lontano passato è possibile trovare chiari segni di aterosclerosi dei vasi sanguigni. Non è vero, quindi, che emulare gli stili di vita preindustriali o addirittura pre-agricoli ci metterebbe al riparo da una delle malattie che riteniamo maggiormente legate a doppio filo con i nostri stili di vita sbagliati, come hanno scritto i ricercatori; peraltro allora l'aspettativa di vita era a dir poco scarsa rispetto a oggi per colpa di infezioni e malattie oggi perfettamente curabili (ma nessun seguace della paleo-dieta rinuncerebbe anche agli antibiotici, si suppone). Non va meglio prendendo in considerazione la salute dei cacciatori-raccoglitori di oggi: Ana Magdalena Hurtado e Kim Hill, dell'università di Tempe, hanno studiato la dieta e le condizioni di salute degli Hiwi, una tribù del Venezuela, arrivando alla conclusione che cibarsi di radici, frutta, miele e animali vari (formichieri, armadilli, tartarughe, iguane selvatiche e lucertole: chi vorrebbe imitare l'alimentazione dei nostri avi dovrebbero tenerlo presente quando mangia manzo o maiale) non fa poi così bene alla salute. «Gli Hiwi non sono particolarmente sani: bassi, esili, malnutriti e affamati, sono bersaglio di infezioni intestinali varie e i loro figli non superano i quindici anni in un caso su due», spiegano Hurtado e Hill. Insomma, la paleo-dieta è una paleo-fantasia, come dice la Zuk: vivere mangiando solo i cibi disponibili prima che imparassimo a coltivare i campi è un'illusione e non garantisce per forza una buona salute. I nostri progenitori erano costretti a mangiare così, noi no: forse non è indispensabile privarci di tutto ciò che siamo stati in grado di produrre e cucinare da 10mila anni fa a oggi, basterebbe mangiare con moderazione e buonsenso evitando (o riducendo al massimo) solo quello che sappiamo potrebbe essere dannoso, dal fast food ai grassi saturi.


sabato 20 luglio 2013

LA RICERCA DI LEVISSIMA

Bottiglie per l'acqua dalla canna da zucchero
Arriva il Pet di origine vegetale al 30% Il «bio based Pet» entra nel mercato italiano. L'obiettivo è di produrre un contenitore ricavato al 100% dalle piante

Anche le bottiglie di plastica possono avere un Dna ecologico. Prendiamo quelle per l'acqua. Il materiale usato per questi contenitori è il Pet, il polietilene tereftalato, ricavato dal petrolio. È trasparente, colorato o meno, in grado di mantenere il liquido inalterato. Ma il Pet si può ricavare pure dalle piante? La risposta è: in parte sì. A proporre delle bottiglie per l'acqua generate da vegetali è Levissima che ha lanciato il «Bio based Pet». All'apparenza il materiale ha le stesse caratteristiche di una plastica standard. La particolarità è che il 30% di questo materiale si ottiene dalla canna da zucchero. Il risultato, frutto di anni di ricerca scientifica, sta per entrare in commercio in Italia.

LA COMPOSIZIONE - Per capire quale parte del Pet è di origine «coltivata» bisogna analizzare la composizione. La molecola di polietilene tereftalato è ottenuta dal 70% di acido teraftalico e dal 30% di Meg, il mono glicol etilenico. È soltanto quest'ultimo si può generare dalla canna da zucchero. Almeno per il momento. «L'obiettivo è di arrivare a produrre un Pet al 100% di origine vegetale - afferma Daniela Murelli, direttore corporate social responsability del Gruppo Sanpellegrino -. È difficile dire quanti anni ci vorranno, ma siamo convinti che ci riusciremo in tempi ragionevoli». 

IL PROCESSO - Per arrivare al Meg dalla pianta occorre attivare un processo di lavorazione lungo e costoso. Il primo passo consiste nel produrre l'etanolo attraverso la fermentazione, il secondo è quello di trasformare l'etanolo in Meg. La canna da zucchero si presta bene allo scopo e permette di ottenere i risultati migliori. Non è detto che in futuro non si possano usare altre materie prime coltivabili. «Il percorso del "bio based" è all'inizio del suo percorso - precisa Murelli - e pertanto ha dei costi più elevati». Come ogni novità assoluta che si rispetti. In ogni caso, si tratta di costi interni all'impresa che non dovrebbero toccare le tasche dei consumatori. 

RICICLABILE AL 100% - Al livello di qualità il bio Pet non ha nulla da invidiare all'antenato meno ecofriendly. «È a tutti gli effetti uguale a quello standard - sottolinea la manager - tra cui l'essere riciclabile al 100%». Il nuovo contenitore è inerte, non reagisce con l'acqua, e mantiene le caratteristiche a cui siamo abituati: è leggero, infrangibile, perfettamente igienico e adatto al gasato. Bere per credere.

(modifica il 21 luglio 2013)
www.corriere.it

lunedì 15 luglio 2013

COMUNICATO STAMPA


Il 17 luglio alle ore 11,30 a Civitavecchia presso la sede della Fondazione CARICIV in via Risorgimento 8, si terrà la terza edizione dell’incontro: “Le balene al largo di Civitavecchia: risultati della campagna di monitoraggio cetacei nel mare di Civitavecchia e nel Mar Tirreno centrale”.
Nel corso dell’incontro si parlerà della distribuzione dei cetacei nella Regione Marina del Mediterraneo Occidentale con un particolare focus al Tirreno Centrale ed al mare al largo di Civitavecchia. La campagna di monitoraggio, infatti, imbarca i proprio ricercatori a bordo di traghetti che partono dal Porto di Civitavecchia.
Verrà anche presentato il video realizzato dal giornalista Matthaus Weissembacher dal titolo “ Formazione e monitoraggio cetacei lungo le autostrade del mare”; durante le traversate, infatti, i ricercatori promuovono anche la formazione di studenti delle Università della Tuscia e di Uniroma che coadiuvano il progetto di monitoraggio che ha tra gli scopi principali quello di mappare le aree ad alta densità di cetacei lungo le principali rotte marittime allo scopo al fine di ridurre eventuali impatti tra cetacei e grandi navi.
Le attività di monitoraggio e di formazione sono rese possibili grazie alla Fondazione CARICIV
L’ingresso è libero e su richiesta sarà rilasciato un attestato di presenza.


Accademia del Leviatano
Ente per lo studio e conservazione dei Mammiferi Marini.
blog: http://lericerchedelleviatano.blogspot.com/
webpage: http://www.accademiadelleviatano.org/
Facebook gruppi/leviatano

lunedì 8 luglio 2013

Animali in appartamento: vietato vietare, lo dice la legge

Cambia la legge sugli animali da compagnia in appartamento. D'ora in poi i condomini non potranno più imporre il divieto. Unica eccezione: i contratti d'affitto



8 luglio 2013 - Vietato vietare. Da martedì 18 giugno è cambiata la legge che riguarda la permanenza degli animali in appartamento: l’articolo 16 della Legge 220/2012 va ad integrare l’articolo 1138 del Codice Civile con la disposizione: “Le norme del regolamento condominiale non possono vietare di possedere o detenere animali da compagnia”.
Negli scorsi giorni la LAV – Lega Antivivisezione ha organizzato una conferenza stampa nella propria sede per illustrare le principali novità della riforma e venire incontro ai dubbi più ricorrenti fra i padroni di animali da compagnia:
• La norma si applica a cani e gatti e a tutti gli animali domestici come conigli, galline, etc. nel rispetto della normativa vigente.
• La nuova norma va a incidere sui regolamenti esistenti di natura contrattuale e assembleare facendo cadere tutte le limitazioni o divieti al possesso di animali domestici. Come sostiene la giurisprudenza in tema di successione di leggi nel tempo, le norme sopravvenute privano le clausole contrattuali vigenti della capacità di produrre effetti ulteriori nel futuro.
• La nuova legge di fatto autorizza l’uso delle parti condominiali comuni. Sono sanzionabili, però, le condotte che provocano il deterioramento, la distruzione, o che deturpano o imbrattano cose mobili o immobili altrui (art. 635 c.p. “danneggiamento”, art. 639 c.p. “deturpamento o imbrattamento di cose altrui”). E’ quindi importante educare l’animale ad avere una condotta rispettosa degli spazi comuni e seguire nei rapporti con i condomini le regole della civile convivenza.
• Non è possibile catturare e allontanare le colonie feline dalle aree condominiali, a meno che non si tratti di interventi sanitari o di soccorso motivati. La legge 281/91 prevede per le colonie feline il diritto alla territorialità e vieta qualsiasi forma di maltrattamento nei loro confronti.
• Nel contratto d’affitto (atto di natura privata), purtroppo il locatario può inserire una clausola di divieto che una volta sottoscritto il contratto è vincolante. 
Per i proprietari che vogliano affittare il proprio appartamento il divieto diventa soggettivo, spostandosi dal regolamento condominiale a un accordo privato da aggiungere al contratto d’affitto. 

Via | Lo schermo
Foto © Getty Images
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giovedì 4 luglio 2013

GIORNATA CONTRO LA CATTIVITA’ DEI CETACEI. DOSSIER ENPA
"Le strutture non rispettano la normativa".



4 lug 13 - Richiesto il ritiro della licenza di zoomarine, sollecitato un intervento urgente al Cites ed ai ministeri competenti. Presentata una denuncia alla Procura della Repubblica.

Anche il Professor Marc Bekoff e Ric O’Barry lanciano un appello alle autorità Italiane: chiudete i delfinari. In occasione della giornata mondiale contro la cattività dei cetacei, che ricorre giovedì 4 luglio, l'Enpa pubblica un dossier, realizzato in seguito a dettagliate ispezioni, che denuncia non solo gravi e palesi violazioni alla normativa vigente, ma la mancanza di controlli e di verifiche sulle strutture, nonostante le reiterate richieste avanzate in tal senso alle autorità competenti.

I delfinari, come gli zoo, possono ottenere l’autorizzazione alla detenzione dei mammiferi marini protetti - come specie in Appendici A e B Cites, questi animali non potrebbero essere utilizzati a scopi commerciali - purchè mostrino di effettuare ricerca, conservazione ed educazione. «Ma questi principi – dichiara Ilaria Ferri, direttore scientifico dell'Enpa - non sono evidentemente rispettati nelle strutture italiane. Abbiamo dettagliatamente documentato che esse non rispondono ai criteri previsti dalla normativa vigente e sono responsabili di continue violazioni: è infatti consentito toccare i delfini da parte del pubblico, realizzare spettacoli con musica assordante, programmi di “pet” therapy, concerti e altre iniziative prive di qualunque contenuto educativo/scientifico.»

«Inoltre – prosegue Ferri – abbiamo rilevato che quattro delle cinque strutture italiane che detengono complessivamente 24 delfini, realizzano show degradanti per gli animali nei quali si inducono ad esibire atteggiamenti innaturali e non rispettosi delle esigenze socio etologiche proprie della specie ed ottenuti attraverso l’addestramento che prevede la deprivazione alimentare. Tali show nulla hanno a che vedere con l’educazione, la conservazione e la ricerca, piuttosto ripropongono una visione antropocentrica per la quale gli animali possono essere privati della libertà ed utilizzati come pagliacci, taumaturghi o tristi ambasciatori della loro specie.»

«Le gravi e palesi violazioni alla normativa vigente ci hanno anche indotto a chiedere un immediato intervento al Corpo forestale servizio Cites per la verifica sulle strutture e sulla loro attività, ad inviare una richiesta di immediato ritiro della licenza di Zoomarine (unico delfinario autorizzato ai sensi della legge 73/05) ai Ministeri della Salute, dell’Ambiente e delle Politiche Agricole – aggiunge Ferri -. Inoltre, il nostro ufficio legale coordinato dagli avvocati Ricci e Stefutti, ha inviato una denuncia alla Procura della Repubblica nel quale si chiede di far luce sulle responsabilità e sul mancato rispetto delle norme. Nel nome di Violetta, Clio, Katia, Beta, Speedy, i 4 cuccioli di Cleo, Bravo, Bonnie e il suo cucciolo, Mosè, Girl, Sandy, Kuby, Lola, Joanna e molti altri delfini deceduti in cattività in Italia, è arrivato il momento di ripristinare la legalità e di restituire la dignità e il rispetto dovuti a queste creature che appartengono al mare.»

Sabato 29 giugno, insieme a circa 500 persone del network internazionale contro la cattività dei cetacei, l'Enpa ha manifestato a Bruxelles per chiedere la chiusura di tutti i delfinari in Europa. All'iniziativa ha partecipato anche Ric O’Barry Project coordinator di “Dolphin Project”, ex addestratore per la serie “Flipper” e protagonista del documentario premio Oscar “The Cove” 2011 nel quale denuncia le orrende mattanze dei delfini a Tajij dalle quali provengono moltissimi cetacei detenuti in tutto il mondo. Ric O’Barry ha espresso il proprio sostegno alla campagna dell’Enpa. «Sostengo questa campagna condotta a livello internazionale da anni, grazie alla mia amica Ilaria che in Italia e non solo, si spende per questa nostra causa comune – ha detto O'Barry -. Abbiamo infatti bisogno di far sapere al mondo intero che dietro il sorriso di un delfino in cattività c’è deprivazione, dolore, paura e sofferenza. In un mondo nel quale abbiamo perso la nostra parte selvaggia e la libertà, dobbiamo lottare affinchè questi splendidi animali siano lasciati liberi di nuotare come vogliono e devono. Non ci fanno del male, non vogliono niente e noi dovremmo lasciarli vivere nel loro mondo e in pace.»

Anche il professor Marc Bekoff (già docente di zoologia all’università di Boulder-Colorado e autore di numerosi libri e pubblicazioni scientifiche) esprime il suo appoggio alla campagna: «Sostengo la campagna Enpa contro la cattività dei cetacei che Ilaria Ferri conduce in modo scientifico da oltre 23 anni – ha detto Bekoff -. Mantenere i delfini in gabbie minuscole è un crimine contro la Natura e contro la LORO natura. Questi esseri senzienti sorprendenti meritano di essere liberi di poter essere ciò che sono e non dovrebbero essere detenuti in gabbie minuscole, solo per essere utilizzati per l'intrattenimento umano e come macchine da riproduzione. E’ vergognoso detenere i delfini e gli altri animali in cattività, senza avere cura dei loro diritti naturali.» 


www.animalieanimali.it

martedì 2 luglio 2013

MINISTERO AGRICOLTURA PROPONE L'ESTENSIONE DELLA CACCIA!
Enpa e Lav attaccano



2 lug 13 - Sulla fauna è di nuovo emergenza. Il Ministero delle Politiche Agricole ha presentato alle Regioni un testo di modifica della legge 157/92, che, a parte alcuni “miglioramenti” del tutto marginali, prevede una vera e propria “caccia selvaggia” ai danni degli ungulati e delle specie definite “alloctone”, per le quali si dispone lo sterminio di massa. Si prevede che il testo sarà esaminato dalla Commissione Agricoltura della Conferenza delle Regioni nella seduta del 3 luglio. Si tratta di misure estremamente peggiorative per la vita e il benessere degli animali - siano essi autoctoni o alloctoni -, che sarebbero varate mentre la biodiversità già versa in drammatiche condizioni: il testo rivela un approccio arcaico e privo di qualsiasi fondamento scientifico. Enpa e Lav guardano quindi con grande preoccupazione a tali modifiche, si appellano a tutti gli organi istituzionali e ritengono molto importante l'interrogazione presentata oggi dall'onorevole Basilio Catanoso (PDL) che ha chiesto ai ministri dell'agricoltura e dell'ambiente di fermare immediatamente questo pericoloso disegno.
«Ancora oggi - commentano Enpa e Lav - assistiamo all'incapacità di applicare correttamente e pienamente la legge 157/92 che rappresenta il recepimento della direttiva Uccelli risalente addirittura al 1979, la quale, a sua volta, pone come obiettivo principale la tutela della fauna selvatica. E' inaccettabile che in nome del mero “divertimento”, oltretutto osteggiato dalla maggior parte degli italiani, ancora oggi non si intervenga seriamente per proteggere gli uccelli selvatici dagli spari nel periodo della riproduzione e della migrazione, come indica la “guida alla stesura dei calendari venatori” dell'Ispra, l' autorevole istituto scientifico nazionale di riferimento sulla biodiversità, o che non si intervenga per escludere dall'elenco delle specie cacciabili quelle 19 che versano in uno stato di conservazione sfavorevole a livello italiano ed europeo. Così come è altrettanto inaccettabile che non si sia ancora voluta risolvere la questione delle deroghe di caccia, strumento che, grazie agli abusi commessi dalle regioni, sta “fruttando” al nostro Paese una nuova condanna europea, con relative sanzioni pecuniarie. Con il testo oggi proposto dal Ministero dell'Agricoltura si è invece preferito chiedere l'estensione della caccia agli ungulati per tutto l'anno, con qualsiasi condizione climatica, e aprire alle doppiette le porte dei parchi e delle oasi di protezione, ovvero quei pochi lembi di territorio dove la fauna si rifugia, lontano anche da quel disturbo biologico che gli spari causano perfino durante la stagione di nidificazione. Inoltre, è inspiegabile che non si vietino tutte le forme di ripopolamento a fini venatori, accusate di arrecare danni all'agricoltura.»
Le associazioni esprimono grande preoccupazione e contrarietà anche per l'introduzione dell'eradicazione della fauna alloctona. «Mentre il percorso di applicazione della 157/92 si è rivelato lento perché osteggiato, invece – proseguono Enpa e Lav – il testo curato dal Mipaaf vuole accordare una corsia preferenziale per l'introduzione di un articolo che contempla la densità zero per alcune specie animali.» Per queste, infatti, non si contempla il ricorso né ai metodi ecologici obbligatori per legge, né ai censimenti, né ad altre valutazioni tecnico-scientifiche o ai divieti di commercializzazione, come avvenuto recentemente nel caso dello scoiattolo grigio di cui oggi è vietata la vendita.
Il nuovo articolo 19, riformulato con l'obiettivo di bypassare le regole imposte dalla stessa legge, giustificando così il non tener conto di limitazioni e divieti, sottolinea come l'attività di controllo faunistico non costituisca esercizio di caccia. «Ci chiediamo perché, allora, non si escludano totalmente dalla delicata gestione faunistica tutti coloro che, muniti di tesserino per l'esercizio venatorio, vengono invece chiamati con il loro fucile ad abbattere animali – concludono Enpa e Lav -. Ci uniamo all' onorevole Catanoso nel chiedere di bloccare immediatamente le assurde ed insensate modifiche della legge 157/92: si ritorni invece al rispetto delle regole, della scienza e alla reale ed urgente esigenza di tutela della biodiversità con misure più rigorose.»