martedì 29 maggio 2012

Il sistema di ecolocalizzazione e le frequenze sono simili

Balene e pipistrelli cacciano allo stesso modo. Con il sonar

Anche i cetacei aumentano la loro frequenza di emissione di ultrasuoni quando cercano le prede

MILANO - Mammiferi entrambi, ma con storie evolutive molto diverse. Eppure pipistrelli e balene sono sorprendentemente simili nel loro comportamento acustico quando si tratta di individuare, monitorare e catturare le prede attraverso l’eco-localizzatore: l'equivalente biologico del sonar. 

ECOLOCALIZZAZIONE - I pipistrelli e gli odontoceti (che comprendono i delfini, i capodogli e le orche) avrebbero avuto modo di evolvere tecniche di ecolocalizzazione (per esplorare l’ambiente circostante) che differiscono tra loro, dal momento che il loro antenato comune più vicino era incapace di utilizzare questo sistema acustico per localizzare le prede. Ora un team di ricercatori danesi ha invece dimostrato che il comportamento acustico di questi due gruppi di animali durante la caccia è stranamente simile. E i risultati della ricerca sono stati presentati al Congresso internazionale di acustica a Hong Kong. Sono stati ottenuti grazie a una nuova tecnologia che registra ciò che sente una balena e come si muove in natura. «Finora», spiega Peter Madsen Teglberg dell'Università di Aarhus (Danimarca), «non era noto come una balena coordini il suo comportamento su base acustica in natura per intercettare le sue prede». 

ULTRASUONI - Da tempo era noto che i pipistrelli e gli odontoceti si basano sulla stessa gamma di frequenze ultrasoniche, tra 15-200 kHz, per cacciare (per confronto, la gamma di udito umano è tra 20 hertz a 20 kHz). Questa sovrapposizione nelle frequenze è sorprendente, perché il suono viaggia circa cinque volte più velocemente in acqua che in aria, dando alle balene più tempo, rispetto ai pipistrelli, per decidere sull'opportunità di intercettare un pasto potenziale. «Su base puramente fisica si poteva prevedere che le balene e i pipistrelli operassero per l’ecolocalizzazione in modo e con frequenze diversi», aggiunge Madsen. «Si sapeva che i pipistrelli aumentano il numero di emissioni ultrasoniche al secondo (quello che i ricercatori definiscono "tasso di ronzio") mentre si avvicinano alla preda. Per le balene invece si pensava che tali emissioni fossero costanti, indipendentemente dalla distanza dell’obiettivo. Ma la nuova ricerca mostra invece che anche le balene aumentano la loro frequenza di emissione di ultrasuoni quando cacciano, in modo quasi identico a quello dei pipistrelli, con circa 500 impulsi al secondo». 

MONITORAGGIO - Il nuovo dispositivo che ha permesso di rilevare il modo di agire durante la caccia delle balene in natura e che viene attaccato alla pelle dei cetacei, va sotto la sigla di Dtag ed è stato sviluppato dall’ingegnere Mark Johnson alla Woods Hole Oceanographic Institution. Renderà possibile per gli scienziati monitorare il comportamento alimentare delle balene più in dettaglio, e valutare gli impatti che le modifiche ambientali hanno su questi grandi mammiferi acquatici.

Massimo Spampani 

28 maggio 2012

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mercoledì 23 maggio 2012


Animali - Girano per le strade del centro e trovano rifugio anche in Prefettura

Parchi assediati dai corvi
La fuga delle piccole anatre

Pulcini a rischio. «Nidificano dove si sentono sicure»

MILANO - Troppe cornacchie nei giardini del centro storico, fanno razzia di uova e di pulcini. E così le femmine di germano reale, le più accorte, cercano luoghi sicuri per il loro nido. E con la schiusa delle uova ecco le sorprese. Venerdì scorso dieci anatroccoli sfuggiti al controllo materno hanno attraversato sgambettando la centralissima e trafficata via Senato. Riconsegnati alla madre, che li cercava svolazzando a bassa quota con un qua qua qua rumoroso, due giorni dopo sono ricomparsi nel Palazzo del Governo, in Prefettura, dove in un giardino interno e riparato s’era già accomodata un’altra famigliola. E mamme con nidiate sono stati avvistati in ogni angolo delle periferie risanate, come al Parco delle memorie industriali, al Vigentino, dove ogni sera al tramonto attraversano la strada in fila indiana, con la complicità dei residenti che bloccano il traffico per dare loro la precedenza. Gli esperti lanciano un messaggio ad alta voce: «Se trovate un piccolo volatile selvatico a terra, non toccatelo, salvo che sia in pericolo.

I genitori sono nelle vicinanze, lo nutriranno finché non sarà pronto per volare via». I germani reali sono in aumento qui come in tutte le città d’Europa. Molti si fermano tutto l’anno, avendo smesso l’abitudine a migrare. Li si possono osservare sui Navigli, lungo il corso del Lambro, negli stagni della periferia. «Nei giardini del centro vivono gli individui più confidenti» che gli etologi spiegano essersi «incrociati con anitre domestiche, delle quali sono i selvatici progenitori». Emanuela Avallone, volontaria del Gruppo ornitologico lombardo, tutore dei volatili della Villa Reale, spiega che «in due giorni sono spariti trenta piccoli». Sfortunati gli anatroccoli di germano reale: «L’allevamento della prole grava totalmente sulla madre —aggiunge Avallone—. Più intelligenti sono le gallinelle d’acqua: madre e padre s’alternano nelle cure parentali riuscendo a difendere meglio i pulli dai predatori ». 

E come le cornacchie a fare stragi ogni primavera è la tartaruga «azzannatrice della Florida», che i frequentatori del parco chiamano il «mostro» per le dimensioni raggiunte. Non è leggenda. Qualcuno la gettò nel laghetto sette anni fa. Milano chiuse il suo zoo, in questi stessi giardini, 25 anni fa. Oggi la metropoli intera è uno zoo a cielo aperto. «L’antropizzazione del territorio mette a dura prova le aree verdi dove i selvatici possono vivere senza il contatto con l’uomo—dice Stefano Raimondi, responsabile sanitario del Centro di recupero dei selvatici a Vanzago, dove si ricoverano gli animali feriti di un terzo della Regione —. Ormai si è visto che molte specie decidono di inurbarsi. In inverno la temperatura è un po’ più alta e ci sono maggiori fonti di cibo». In via Palestro ci sono allocchi, rapaci notturni, e allo Stadio gheppi, rapaci diurni e rondoni: si nutrono di ratti e roditori. Il falco pellegrino, che si nutre di piccioni, ha nidificato sul grattacielo di Giò Ponti. I rischi qui non sono i cacciatori, ma cavi e vetrate. Non vediamo le volpi ma ci sono: abitano la boscaglia attorno all’aeroporto di Linate. Animali notturni come i ricci, che percorrono lunghe distanze ma noi censiamo solo quando li troviamo schiacciati dalle ruote di una macchina.
 
Paola D’Amico 

23 maggio 2012 
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sabato 19 maggio 2012

Cucciolo di delfino spiaggiato a Pellestrina
La lotta dei sommozzatori della Guardia di Finanza per sospingerlo in acqua

Un cucciolo di delfino si è spiaggiato oggi su una secca davanti al porto peschereccio dell'isola di Pellestrina, all'interno della laguna.
I sommozzatori della Guardia di Finanza lo hanno aiutato a disincagliarsi e - assieme a personale della Capitaneria di Porto in gommone - stanno cercando di spingere il giovane animale verso il mare, oltre la bocca di porto di Chioggia.
Si tratta di un esemplare di taglia mezzana, probabilmente un tursiope: il classico delfino grigio e bianco, che talora aiuta i naufraghi a tornare a riva. Stavolta i ruoli si sono rovesciati. Il cucciolone, gia' autosufficiente dalle cure materne, era rimasto a mezzo tra l'acqua e la terra, ben visibile da riva, nella zona che gli isolani chiamano, non a caso, Portosecco. Poi, l'allarme dato dagli abitanti alla Capitaneria e da questa ai sub della Finanza.
Per invogliarlo a prendere la giusta direzione, dall'imbarcazione della Gdf un sommozzatore esperto di 'contatti ravvicinati' con le creature marine gli sta ora indicando la strada con il leggero struscio di una rete sulla superficie dell'acqua.
Dalla riva di Pellestrina persone in bicicletta assistono e stanno seguendo il passaggio di questa lenta processione nautica verso la liberta'.

19 maggio 2012

giovedì 17 maggio 2012

Micro-alghe tuttofare

 

Gruissan, Sud della Francia, pittoresco villaggio a bordo mare, i suoi meravigliosi fenicotteri, l’attività delle saline costituiva fino a poco tempo fa la prima risorsa economica, era “L’oro bianco”.

Ancora resistono alcuni produttori di sale alimentare ed industriale ma attualmente la prima risorsa resta il turismo… per ora!
Qui si realizza il più importante progetto francese di valorizzazione energetica delle micro-alghe, il livello sperimentale, in laboratorio, è oramai superato ed è iniziata l’applicazione su grande scala in condizioni reali, appunto, riutilizzando i bacini dismessi dalle vecchie saline. Il progetto denominato Salinalgue è coordinato dalla Compagnie du vent, tredici partner pubblici e privati sono associati a questa realizzazione compresi Ministero dell’ecologia, le regioni Languedoc-Roussillion e Province-Alpes-Côte dAzur e la Comunita Europea.
1000 m² divisi in quattro bacini dove il “brodo di coltura” è costantemente rimestato da ruote idrauliche (simili a quelle dei mulini ad acqua) dove è stata “seminata” la Dunaliella salina, micro-alga locale dalla quale si attendono ottime e versatili prestazioni… ah già! Cosa ci faranno mai di questa melma?
Bio-disel, con una resa prevista tra 5 e 10 volte quella della colza, che si tradurebbe automaticamente con la restituzione di enormi superfici coltivabili alla produzione di vegetali destinati all’alimentazione dell’uomo.

 

La Dunaliella salina ha inoltre la capacità di assorbire enormi quantità di CO2, dell’ordine di un centinaio di tonnellate per ettaro per anno, è possibile captare le emanazioni industriali di prossimità ed immetterle nelle colture, cosa prevista a breve, attualmente l’anidride carbonica necessaria è fornita da una azienda di gas compressi, ciò fa ben sperare in un riequilibrio del carbon footprint molto alto nei biocarburanti.
Da queste alghette ci si attende di ricavare, oltre all’olio, proteine, beta carotene ed infine dai residui sarà possibile ricavare bio-metano, il tutto tra una decina d’anni, il tempo di studiare sistemi ottimizzati perché la coltivazione non venga influenzata da altre alghe o muffe, l’estrazione renda la massima quantità di “olio” e perché questo in tipo di attività sia totalmente rispettosa dell’ambiente.

(Immagini: 1-Il castello di Gruissan (per gentile concessione dal comune di Gruissan); 2-Colorazione rosa del “fior di sale” dato dal beta carotene presente in abbondanza nella Dunaliella salina)

mercoledì 16 maggio 2012

LA "SPENDING REVIEW" CAMPANA
La Regione possiede 30 mufloni. Ora li mette all'asta: mantenerli costa troppo
Acquistati 20 anni fa da Corsica e Sardegna per la foresta di Cerreta-Cognole, in provincia di Salerno

NAPOLI — Tempi di crisi, le amministrazioni pubbliche provano a fare cassa in ogni modo, compresi quelli più creativi. La regione Campania non fa eccezione ed ecco che sforna un'asta davvero particolare, quella relativa ai mufloni. Sì, proprio loro, gli ungulati originari della Sardegna e della Corsica, i maschi dei quali esibiscono lunghe corna ricurve che crescono in continuazione. Orgoglio e condanna, per i quadrupedi; pare infatti che quelle poderose impalcature rappresentino un trofeo particolarmente ambito dai cacciatori. I mufloni di cui sopra, quelli che palazzo Santa Lucia si appresta ad alienare, vivono in provincia di Salerno, nel centro regionale di produzione della selvaggina ricavato all'interno della foresta demaniale Cerreta-Cognole. Un polmone di verde vasto più di 800 ettari quasi al confine con la Basilicata, affidati ad una quindicina di operai idraulico forestali che ricevono lo stipendio a singhiozzo. Nei cieli volteggiano i rapaci e nei boschi trotterellano cinghiali, daini ed altri quadrupedi. Compreso, assicura il sito della Regione, il lupo.

L'AREA VERDE - La foresta è insomma un'area da tutelare, da valorizzare, da far conoscere ed infatti è meta ogni anno di visite delle scolaresche, di campi estivi degli scout, di passeggiate delle famiglie che organizzano opulenti quanto distensivi pranzi all'aperto.
Ma cosa ci fanno, in un contesto del genere, i mufloni? Il fatto è che alcuni anni fa - difficile dire quanti, anche perché non è che dagli uffici regionali ci tengano a fornire notizie particolarmente dettagliate - qualcuno dei dirigenti del settore decise, improvvidamente, che a Cerreta-Cognole anche i mufloni avrebbero fatto la loro degna figura, in mezzo alle capre, ai cavalli, ai cervi. Dal pensiero all'azione, il passo fu beve. Ecco dunque che alcuni esemplari di questo ungulato furono portati nel sito regionale e collocati nel loro bel recinto. Maschi e femmine, inevitabile la scintilla perché, come scrisse un bel po' di anni fa Virgilio, che di queste cose se ne intendeva, omnia vincit amor, l'amore prevale su tutto. Amore fu, dunque. O, meglio, istinto riproduttivo.

IL SEQUESTRO - I mufloni di Palazzo Santa Lucia sono perciò adesso una trentina e mantenerli costa un bel po' di quattrini. Lo sanno bene i funzionari regionali e lo sa ancor meglio la Procura della Repubblica di Sala Consilina, che ha caldamente suggerito alla Regione di disfarsi dei quadrupedi. Un invito da non sottovalutare: il centro di produzione della selvaggina è infatti ormai da tre anni sottoposto alla supervisione delle toghe. Dall'otto settembre 2009, per la precisione, quando il tribunale del Riesame di Salerno ne dispose il sequestro, che fu eseguito dal corpo Forestale di Napoli. Operazione Obelix, fu definita l'inchiesta, perché gli inquirenti avevano ipotizzato che gli spazi regionali ospitavano un numero spropositato di cinghiali e che gli stessi fossero stati spesso venduti a privati in mancanza delle autorizzazioni sanitarie e nell'assoluta inosservanza della normativa che disciplina queste attività.

PESO ECONOMICO - Furono infatti indagate e rinviate a giudizio cinque persone, tra funzionari e dirigenti. C'è stata una sentenza di primo grado, con alcune condanne. Gli imputati hanno già presentato ricorso in appello. E' dunque in questo contesto tutt'altro che semplice che i poveri mufloni rischiano di pagare per tutti. Fino a qualche anno fa erano presenze esotiche da esibire, come mirabolanti tappezzerie d'oltremare nelle case degli arricchiti. Ora sono solo un peso economico da dismettere quanto prima. L'avviso di vendita, pubblicato sul bollettino ufficiale della Regione e firmato dal dirigente del settore, Dario Russo, stabilisce anche i prezzi base dell'asta: 146 euro ogni maschio, 120 le femmine, 86 euro i capi fino ad un anno di età. Si vende, insomma, e lo si fa pure in saldo. D'altronde, un anno fa, l'asta andò deserta. La Regione ci riprova, dunque, con prezzi d'occasione. Il ritiro dei capi, puntualizza l'avviso, è in loco e riguarda gli esemplari vivi. Per poco, vien da pensare, perché è assai probabile che i malcapitati mufloni finiscano macellati e poi siano serviti nel piatto dei clienti di un qualche ristorante o di un qualche agriturismo. Come cinghiali qualsiasi, a dispetto delle corna imponenti e delle altere origini sarde.
Fabrizio Geremicca 

16 maggio 2012

martedì 15 maggio 2012

IL CASO

Arrestato il fondatore di Sea Sheperd: "Violazione del traffico marittimo" 


Paul Watson, noto soprattutto per le sue incursioni contro la caccia alle balene in Antartide, è stato arrestato a Francoforte in base alla richiesta di estradizione avanzata dalla Costa Rica. Il fatto risale al 2002 durante la registrazione di un documentario su un'operazione illegale di caccia agli squali


SYDNEY - Paul Watson, fondatore del gruppo ambientalista 'Sea Shepherd', è stato arrestato in Germania a causa di un incidente marittimo con una barca in costa Rica. Lo ha confermato il gruppo ecologista in Australia. Watson, 59 anni, canadese, noto soprattutto per le sue incursioni contro la caccia alle balene in Antartide, è stato arrestato sabato scorso a Francoforte in base alla richiesta di estradizione avanzata dalle autorità della Costa Rica che lo accusano di "violazione del traffico marittimo" a causa di un confronto in alto mare avvenuto nel 2002 vicino al Guatemala.

Il presunto reato, secondo 'Sea Sheperd', avvenne durante la registrazione del documentario 'Sharkwaters', su un'operazione illegale di caccia agli squali per prelevarne le pinne, compiuta dalla barca costarichense Varadero. "Su ordine delle autorità guatemalteche Sea Shepherd ordinò all'equipaggio del Varadero di cessare l'attivita e di rientrare in porto per rispondere del reato. Ma quando scortavano il Varadero verso il porto, la situazione cambiò e fu inviata una cannoniera guatemalteca per tentare di intercettare gli uomini di Sea Shepherd". L'equipaggio del Varadero ha accusato gli ecologisti di aver attentato alla sua vita, ma la ong sostiene di avere un video che smentisce queste affermazioni. Per evitare la cannoniera guatemalteca, Sea Shepherd salpò quindi alla volta del Costa Rica dove scoprì altre attività illegali come l'utilizzo di tetri edifici industriali per far essiccare migliaia di pinne di squali.

Watson, che è in una prigione tedesca, viene assistito dagli europarlamentari Daniel Cohn Bendit e Jose Bovè. Sea Shepherd vuole continuare a giugno la sua campagna nel Pacifico meridionale contro la strage di squali per estrarne le pinne, prodotto che viene utilizzato principalmente nelle zuppe. Quasi cento milioni di squali muoiono ogni anno e questa è una delle pratiche più atroci perchè li costringe a una morte lenta per dissanguamento, senza pinne incapaci di nuotare e raggiungere le acque profonde. Secondo gli ecologisti è stata sterminata oltre il 90 per cento della popolazione di squali del pianeta. Sea Shepherd è però conosciuta soprattutto per le sue 'battaglie' contro le baleniere giapponesi: quest'anno si calcola che la flotta di Tokyo abbia ucciso meno di un terzo degli animali preventivati proprio a causa dei tentativi di sabotaggio degli ecologisti.

(14 maggio 2012) 

http://www.repubblica.it

L'Isola dei Rifiuti è sempre più grande


Grande quasi il doppio dell'Italia, è la più grande discarica a cielo aperto del mondo. E galleggia nel bel mezzo del Pacifico.
 
http://www.focus.it/Allegati/2012/5/42-33048776_691485.jpgImmaginate una discarica grande più di due volte l'Italia, riempita con ogni tipo di pattumiera immaginabile. Fatto? Perfetto. Ora immaginatela mentra galleggia nel bel mezzo del Pacifico. No, non è un film dell'orrore a tema catastrofico-ambientale, ma una sommaria descrizione del Great Pacific Garbage Patch, meglio nota come l'Isola dei Rifiuti, un immenso ammasso di plastica e immondizia accumulato dalle correnti marine tra la California e le isole Hawaii. (guarda come si crea in questo multimedia)

Mina (ecologica) vagante

Considerata da anni una delle più grandi minacce all'ecosistema oceanico, questa incredibile discarica galleggiante non solo non accenna a ridursi, ma secondo le ultime ricerche si sta addirittura espandendo.  Lo affermano gli oceanografi dello Scripps Institute in un articolo pubblicato sull'ultimo numero di Biology Letters. Secondo i ricercatori, l'aumento della massa di immondizia galleggiante sta mettendo in grave pericolo i più piccoli abitanti dell'Oceano.
(Guarda i bidoni dell'immondizia più strani del mondo)

Molti insetti e creature marine stanno infatti deponendo le uova sul materiale plastico che ricopre le acque anzichè sui detriti naturali che normalmente dovrebbero galleggiare sulla superficie.  «Si tratta di qualcosa che non dovrebbe trovarsi lì e che nel medio periodo potrebbe danneggiare irrimediabilmente il micro-habitat che si trova alla base dell'intero ecosistema oceanico» ha dichiarato alla stampa Miriam Goldstein, una delle ricercatrici.


La strage degli innocenti

Già nel 2006 il Los Angeles Times aveva raccontato la triste fine di oltre 200.000 albatross dell'atollo Midway che, sorvolando la distesa di pattume, hanno scambiato i rifiuti per cibo, morendo così intossicati, soffocati o disidratati.
Ma da dove arriva tutta questa immondizia? Dal giro del Pacifico Settentrionale, un insieme di correnti marine e di venti che raccoglie gran parte dei detriti che si trovano in mare trasportandoli tutti nella stessa zona.
Secondo le ricerche l'80% circa dei rifiuti umani che si trovano in mare arrivano dalla terra ferma, trasportati dai venti e dalle piogge. Solo un modesto 20% viene gettato o abbandonato direttamente in acqua. E un pezzo di plastica, una volta che ragginge il mare, può vagare indistrubato per secoli.
I ricercatori affermano che ogni chilometro quadrato di mare ospita oltre 30.000 rifiuti plastici, le cui dimensioni possono anche essere inferiori al centimetro. E questo spiegherebbe come mai, secondo le analisi, oltre il 10% del pesce pescato dagli oceanografi dello Scripps Institute aveva ingerito plastica. 
www.focus.it

lunedì 14 maggio 2012

Islanda, possibile stop caccia balenottere in 2012
a salvare i giganti del mare il mancato rinnovo di una deduzione fiscale per la caccia

BalenotteraBRUXELLES, 14 maggio 2012 - Il mancato rinnovo di una deduzione fiscale destinata ai cacciatori di grandi cetacei quest'anno in Islanda potrebbe salvare la vita a decine di grandi balene. La notizia arriva dai media locali, secondo cui Kristjan Loftsson, responsabile della più grande impresa del setttore, avrebbe deciso di fermare l'attività che riguarda le balenottere comuni, a rischio estinzione. Il motivo sarebbe economico, perché non è stato raggiunto un accordo con i dipendenti sul compenso dei lunghi periodi passati in mare. La caccia alla specie di balena più piccola, la balenottera minore, invece prosegue.

"Siamo felici - commenta Robbie Marslands, direttore dell'International Fund for animal welfare (Ifaw) britannico - di sentire che non ci saranno più balenottere inutilmente macellate in Islanda e che Loftsson ha capito che questa industria datata è antieconomica". Si tratta della più grande azienda islandese, che nel 2010 ha catturato 148 balenottere comuni, ma nessuna l'anno scorso, a causa della crisi post tsunami dell'unico mercato, il Giappone. Nonostante l'esistenza di una moratoria mondiale sulla caccia alle balene, Norvegia e Islanda continuano a praticarla per scopi commerciali. Il dossier è anche il pomo della discordia fra Rejkiyavik e Bruxelles, visto che l'Islanda ha fatto richiesta di adesione all'Ue, dove la caccia alla balena è vietata. Di qui il nuovo appello degli animalisti dell'Ifaw, perché l'Islanda fermi la caccia ai grandi cetacei e promuova invece un più responsabile 'whale watching' con i turisti.

ANSA

domenica 13 maggio 2012

La batata rossa, un tubero dalle straordinarie proprietà


Molti di voi probabilmente staranno pensando che nel titolo ci sia un errore di battitura e che in questo articolo si voglia parlare dei benefici della patata rossa.  Non è così. Oggi voglio parlarvi proprio della batata rossa, un tubero decisamente inconsueto e particolare.
Originaria dell’America del Sud e arrivata nel vecchio continente grazie a Cristoforo Colombo, la batata contiene tantissime sostanze utili al nostro organismo come fibre, vitamine A e C (e in minore quantità B ed E), proteine, potassio, magnesio, ferro e calcio. La Ipomea batatas, questo il suo termine botanico, è inoltre ricca di flavonoidi e antociani e ha un grande potere antiossidante e anti-aging. Non è un caso infatti che alcune creme anti rughe contengano un estratto di questo tubero.

L’associazione americana CSPI (Center of Science in the Public Interest) in una classifica sui vegetali più salutari ha messo la batata rossa al primo posto. Questo tubero ha ottenuto il punteggio più alto proprio grazie all’elevata concentrazione di sostanze benefiche per il nostro organismo, non solo al suo interno ma anche e soprattutto nella buccia.
Se vi state chiedendo come utilizzare una batata rossa in cucina, la risposta è semplice. In tutte quelle ricette in cui usereste le normali patate o la zucca, dato che il sapore di questo tubero è a metà strada tra questi due più noti e utilizzati alimenti. Potrete ad esempio cucinare un risotto di batata, oppure invitare i vostri amici per gustare insieme delle ottime ‘batate al forno’!

A differenza delle normali patate, però, la batata rossa può essere consumata anche cruda insieme alla sua buccia ben lavata (è ottima ad esempio nell’insalata).

Evitando la cottura, tra l’altro, si mantengono intatti tutti i valori nutritivi e le numerose proprietà di questo tubero. C’è da sottilineare poi che è soprattutto nella buccia che si trova una sostanza che sembra avere effetti benefici sulla riduzione del colesterolo e della glicemia: il Cajapo. Le statistiche dicono che nei paesi dove la batata viene consumata più frequentamente cruda (alcune regioni del Giappone) ci siano meno persone affette da malattie come diabete, ipertensione e anemia.

Arriviamo agli svantaggi: primo tra tutti la difficile reperibilità di questo alimento. Io la trovo sempre disponibile da NaturaSì, ma non l’ho mai vista altrove. Il prezzo poi non è certamente per tutte le tasche…Se abitate in una zona calda potete provare però a piantarla sul vostro terrazzo o in giardino in modo da averla sempre disponibile, a questo link potete scoprire come fare: www.inorto.org/2012/05/la-batata-o-patata-americana-dalla-semina-alla-raccolta.
Nonostante la batata rossa sia di origine americana e poco diffusa e conosciuta nel nostro paese, anche in Italia sono nate alcune cooperative che la producono con i metodi dell’agricoltura biodinamica. Potete visitare il sito di Agrilatina, azienda laziale che la coltiva e assicura un prodotto di ottima qualità.

Francesca

martedì 8 maggio 2012

Fotosintesi da laboratorio: da Stoccolma la tecnologia che fa il verso alle piante

08 mag 2012



Esiste da millenni ed è il meccanismo più pulito per produrre gas naturale: è la fotosintesi, che utilizza i raggi del sole per separare l’acqua nelle sue componenti originarie, idrogeno e ossigeno. Un processo assolutamente lineare, che ha scatenato un’aspra competizione tra i ricercatori di tutto il mondo, nell’intento di replicarlo in laboratorio e declinarlo poi su scala industriale.
Un traguardo che sembra oggi più prossimo, grazie al colpo di reni del Royal Institute of Technology di Stoccolma: i ricercatori svedesi sarebbero riusciti ad ovviare al principale ostacolo sulla strada della fotosintesi artificiale, l’eccessiva lentezza nel dividere le componenti dell’acqua . Un limite che ha finito col marchiare col bollo dell’inefficienza tutti i sistemi finora sperimentati.
La trovata made in Svezia consisterebbe nella messa a punto di un nuovo catalizzatore superveloce, in grado di imitare la velocità e l’efficienza della natura nel separare la molecola dell’acqua. Il prossimo stepdella ricerca è l’integrazione di questa tecnologia all’interno di un dispositivo che possa essere commercializzato.
Il traguardo della fotosintesi artificiale non è probabilmente dietro l’angolo, dunque, ma la scoperta del Royal Institute of Technology apre certamente una prospettiva di maggiore concretezza ad un nuovo e potenzialmente rivoluzionario impiego dell’energia dal sole. 

http://www.ecoblog.it

Via | CordisNews
Foto | Flickr

lunedì 7 maggio 2012

Cavalluccio marino a rischio estinzione, medicina cinese lo utilizza come afrodisiaco

07 mag 2012

cavalluccio marino
I cavallucci marini (Hippocampus) sono tra le creature marine più affascinanti, i gioielli degli Oceani. Il cavalluccio marino trova suo habitat ideale nelle acque costiere tropicali e temperate. Predilige la barriera corallina, gli estuari e le mangrovie. Nel Mediterraneo vive l’Hippocampus Guttulatus.

Purtroppo diverse specie di cavalluccio marino rischiano l’estinzione, non ci sono dati storici che possono confermarne la riduzione, però è sempre più difficile osservali. Tra le cause principali della riduzione della popolazione di cavallucci marini figurano la perdita di habitat, provocata dall’inquinamento e dall’acidificazione degli oceani, e l’utilizzo del cavalluccio marino nella medicina tradizionale cinese. Il cavalluccio marino viene infatti usato come afrodisiaco, essiccato e grattuggiato.

La specie più a rischio è l’Hippocampus capensis, endemica del Sud Africa, minacciata dall’inquinamento delle acque fluviali e costiere. I cavallucci marini vengono venduti sia vivi, per gli acquari, che essiccati come souvenirs. Ogni anno, si stima che la medicina tradizionale cinese impieghi oltre 20 milioni di esemplari.


Foto | Flickr
http://www.ecoblog.it 

LIPU- BirdLife, avifauna a rischio nelle campagne italiane

07 mag 2012 - Il rapporto Uccelli comuni in Italia - Gli andamenti di popolazione dal 2000 al 2010, presentato da LIPU BirdLife è chiaro, dalle campagne italiane mancano:
la calandrella (-14,4% il decremento medio annuo, -66% dal 2000 al 2010, in Pericolo di estinzione nella Lista Rossa), l’allodola (-2,9% annuo, – 30% sul decennio, Vulnerabile in Lista Rossa), l’averla piccola (-3,6% annuo e -42% sul decennio, Vulnerabile in Lista Rossa), la rondine (-30% nel decennio), i passeri (-40%), il torcicollo (-56%), la cutrettola (-38%) e il cardellino (-34%).
In aumento, invece, sui campi agricoli la gazza, cornacchia grigia, gheppio, ortolano, rigogolo, usignolo, upupa, tortora selvatica, luì bianco e strillozzo.
Il rapporto presenta i risultati di un monitoraggio il Mito2000 durato dieci anni e che ha analizzato la presenza di 99 specie divise per habitao:Farmland Bird index, (in ambienti agricoli), Woodland Bird Index (in ambienti boschivi), e All Common Species index (in ambienti diversi). Il perché tante specie siano a rischio estinzione è presto detto: uso dei pesticidi, cementificazione, consumo del suolo e in genere degrado degli habitat. A reagire meglio le zone collinari dove il fenomeno procede più a rilento. Dunque se proprio ci serviva una conferma rispetto all’imponente impatto ambientale dell’industria della agricoltura, eccola servita. 

Via | GalileoNet, LIPU
 

domenica 6 maggio 2012

In Perù continuano a morire cetacei e uccelli marini

06 maggio 2012

Non si ferma la strage di cetacei e uccelli marini.

Dopo aver colpito le coste a nord del Perù, arriva anche sul litorale di Lima, dove nelle ultime ore sono stati trovati una decina di pellicani morti ed un leone di mare in stato di decomposizione.

Numeri che si aggiungono ad un bilancio già tragico. Un fenomeno che ancora non ha una spiegazione scientifica e si tinge di giallo. Intanto, il ministero della Salute ha emesso un allarme sanitario, invitando ad evitare le spiagge dove sono state trovate le carcasse e a non consumare pesce crudo.

Se per il governo di Hollanta Umala da febbraio ad oggi sono circa 900 i delfini e 538 i pellicani morti, i dati che vengono diffusi dalle organizzazioni non governative (Ong) sono ancora più allarmanti, con circa 3000 delfini e 1200 pellicani deceduti.

L'area della strage (prima dei ritrovamenti di Lima) era sempre stata circoscritta ai 160 chilometri di costa tra Punta Negra, nell'area di Piuna e San Jos, regione di Lambayeque. Nel ricercare le cause di questa tragedia, che ora coinvolge anche i leoni di mare (una decina quelli trovati morti) ed altre specie di volatili marini, nelle scorse settimane, gli ambientalisti avevano puntato il dito contro le esplorazioni petrolifere nel vicino specchio di mare, mentre fonti governative avevano scartato l'ipotesi, ritenendo piuttosto che il motivo fosse il "morbillivirus", un virus che colpisce anche le specie canine.

Le ultime informazioni che arrivano dall'Istituto del mare peruviano (Imarpe), da un lato, sembrano escludere il "morbillivirus" ma, dall'altro, danno l'idea di un'indagine ancora in alto mare, con i test tutti da rifare.

E l'unico punto fermo che emerge è che gli animali morti avevano un sistema immunitario molto indebolito. Così, come succede ogni volta in cui non si riesce a dare una spiegazione scientifica immediata, si moltiplicano ipotesi di ogni genere: dalla mancanza di nutrimento dovuto alla diminuzione dei banchi di acciughe, alla contaminazione da pesticidi agricoli (alcune taniche vuote sono state trovate sulle spiagge), al cambiamento del polo magnetico terrestre che disorienterebbe gli animali.

E in tutto questo rincorrersi di speculazioni non manca neppure qualche catastrofista che si chiede, addirittura, se la malattia partita dai delfini non sia il virus mutante dell'apocalisse 2012 prevista dai Maya. Certo, non c'è limite alla fantasia umana.

Fonte: nelcuore.org

mercoledì 2 maggio 2012

TAGLI AI PARCHI, MINACCIATA LA SOPRAVVIVENZA DELL'ORSO MARSICANO
Allarme della Federparch

2 mag 12 - L'orso marsicano, plantigrado che vive nel Parco d'Abruzzo, Lazio e Molise, è a rischio estinzione a causa dei tagli alla spesa pubblica. Il grido d'allarme è stato lanciato a Cogne (Aosta) da Federparchi, a margine dell'assemblea nazionale.
Come ha spiegato Giampiero Sammuri, presidente dell'organismo che raccoglie 17 parchi nazionali, 75 parchi regionali, 23 riserve marine e terrestri, "gli orsi marsicani sono una delle sottospecie animali più minacciate e per essere tutelati hanno bisogno di grande attenzione: ne sono rimasti 40-50 esemplari e se riduciamo ancora le risorse non si potrà più proteggerli".
"Lo stesso - ha aggiunto - vale per l'orso in Trentino, per lo stambecco sulle Alpi o per gli uccelli rapaci come il Gipeto, appena reintrodotto a già rischio di nuova estinzione". Tutto a causa delle riduzioni di risorse imposte a livello centrale.
"Ma non si può correre il rischio di estinzione di specie - osserva Samurri - per carenza di fondi". Poi spiega: "I parchi risentono della crisi come tutti gli altri comparti della Pubblica amministrazione. Alle riduzioni, però, si aggiungono anche limitazioni su dipendenti, su spese e su altri aspetti dell'attività. Così ci troviamo davanti ad un doppio taglio di risorse effettive".
Un esempio? "Nella Pubblica amministrazione sono state diminuite le spese di promozione. Ci sono istituti pubblici che non ne hanno bisogno, ma limitarle a un parco vuol dire danneggiarlo perché non è solo tutela della natura ma anche sviluppo sostenibile. Non si può considerarlo come un qualunque altro comparto, tralasciando che nel 2010 i parchi italiani hanno registrato oltre 30 milioni di visitatori". La scure dei tagli si è abbattuta soprattutto sulle aree marine protette, "dove la situazione è drammatica, siamo a rischio sopravvivenza". "Per queste situazioni - sottolinea Sammuri - abbiamo chiesto un intervento straordinario". In particolare mancano i soldi per la benzina destinata alle motovedette che si occupano della vigilanza di tratti di mare. "C'é il pericolo che quest'estate resteranno senza controlli" sbuffa il presidente di Federparchi. Infine c'é la questione degli 'obblighi' assunti a livello internazionale, come il monitoraggio delle biodiversità, "che non siamo più in grado di assicurare". Oltre alle ricadute sull'occupazione nei parchi (impiegati, tecnici, guardiaparco, amministrativi) e nell'indotto (guide,operatori turistici) e sulla ricerca. "Alle difficoltà - conclude Sammuri - possiamo supplire solo con grande professionalità diffusa e con impegno straordinario. Almeno finché ce la facciamo".

(ANSA)
I deodoranti per ambiente fanno male al cuore

Il risultato della ricerca è chiaro: la variabilità del ritmo cardiaco, e cioè la lunghezza dell'intervallo fra i battiti, peggiora con l'uso di prodotti spray per la pulizia della casa e, in particolare, di quelli usati per deodorare l'ambiente. A firmare lo studio, pubblicato online su Environmental Health Perspectives, è un team internazionale di ricercatori dell'Istituto tropicale svizzero e dell'università di Basilea, capitanato da Amar Mehta. Questa categoria di prodotti aumenta i rischi di ipertonia e di infarti cardiaci.
Si tratta di un risultato collaterale ( qui il documento ufficiale), ma di grande importanza per la tipologia di prodotti che coinvolge, saltato fuori nel corso di una maxiricerca sull'inquinamento atmosferico e le patologie polmonari negli adulti battezzata Sapaldia (Study on air pollution and lung diseases in adults) che ha coinvolto quasi 600 persone, in maggioranza donne sopra i cinquant'anni di età ma anche più anziane.

2 maggio 2012

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