giovedì 26 aprile 2012

ANTIBRACCONAGGIO, AL VIA LA NUOVA CAMPAGNA DELLA LIPU
26 apr 12
«I bracconieri spezzano le nostre ali. Noi possiamo spezzare le loro reti». E' lo slogan della nuova campagna dell'associazione animalista. Il Ministro Catania rafforzi l'attività in difesa della fauna selvatica.

«I bracconieri spezzano le nostre ali. Noi possiamo spezzare le loro reti». E' lo slogan della nuova campagna dell'associazione animalista Lipu contro il bracconaggio, al via da oggi per raccogliere fondi e informare l'opinione pubblica sugli atti di illegalità commessi contro gli animali selvatici in tutto il Paese.
Dalla Lipu arriva anche un appello al ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali Mario Catania affinchè siano garantite le risorse necessarie al Nucleo operativo antibracconaggio della Forestale e affinché rafforzi le proprie attività in difesa della fauna selvatica. Ad accompagnare il lancio della campagna Lipu saranno due progetti a tutela degli uccelli selvatici (il progetto Rapaci Migratori e il campo di volontariato).
«Lanciamo oggi una grande campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi - dichiara Fulvio Mamone Capria, presidente della Lipu - e chiediamo di sottoscrivere un appello al ministro Catania per chiedere di rafforzare l'azione del Corpo forestale dello Stato nei punti caldi del bracconaggio, dove l'azione coraggiosa e tenace dei nostri volontari non basta se non ha la possibilità di affiancarsi a quella delle forze dell'ordine».
«Combattere il bracconaggio - aggiunge il direttore generale LIPU Elena D'Andrea - significa salvare gli uccelli ma anche riaffermare un principio di legalità e di civiltà. Al pubblico chiediamo di effettuare una donazione a supporto dei costi che ci troviamo ad affrontare per allestire i campi, garantire gli spostamenti dei volontari durante la vigilanza e delle attrezzature necessarie per contrastare questo preoccupante e, purtroppo, molto diffuso fenomeno».

Informazioni e donazioni al sito www.lipu.it

mercoledì 18 aprile 2012

Le turbine eoliche non disturbano i volatili 
Sfatata un'altra leggenda metropolitana sulle rinnovabili. L'attività delle turbine eoliche non mette in pericolo le popolazioni di uccelli.

http://www.lifegate.it/img_din/chiurlo.jpgDopo la ricerca che ha dimostrato che le turbine eoliche in alto mare non sono un ostacolo per i pesci ma, anzi, creano un ecosistema migliore, un nuovo importante studio pubblicato sul Journal of Applied Ecology ha in parte dissipato i timori sui pericoli causati alle popolazioni di uccelli dalle turbine eoliche su terra.

La ricerca, condotta dallo Scottish Natural Heritage e dal British Trust for Ornithology, ha osservato le dieci principali specie di volatili della Gran Bretagna e concluso che, contrariamente alle preoccupazioni sollevate da diversi gruppi animalisti, la collisione con le pale in movimento e il rumore non causano la morte o il disorientamento degli uccelli. 
Lo stesso studio ha però rivelato che, piuttosto che il regolare funzionamento, la fase pericolosa è quella della costruzione del parco. Il dato più significativo riguarda il chiurlo (nella foto grande). Il loro numero è calato del 40 per cento nel raggio di 800 metri dal luogo in cui 18 turbine erano in fase di costruzione.
Secondo James Pearce-Higgins, l'autore principale della pubblicazione, è quindi fondamentale aumentare i controlli sulla valutazione d'impatto ambientale, in modo che la scelta del luogo risulti la migliore: "È stata una sorpresa scoprire che il maggiore impatto negativo dei parchi eolici si verifichi durante la costruzione piuttosto che durante il funzionamento – ha affermato Higgins – questo significa che dobbiamo guardare al modo più efficace di ridurlo al minimo".
Una scoperta non da poco. Se da un lato mostra i reali pericoli, dall'altro fornisce la soluzione. Rispettare le regole.
13/04/2012

lunedì 16 aprile 2012

L’alluminio danneggia i cibi?

16 aprile 2012 - Le vaschette e i fogli di alluminio sono adatti per conservare cibi dolci, ma non vanno bene per quelli salati e acidi. Infatti, acidità ed eccesso di sale favoriscono il passaggio del metallo nell’alimento, e diversi studi in passato hanno dimostrato che l’alluminio è tossico per il sistema nervoso centrale. La stessa cautela va usata per le caffettiere in alluminio: il caffè infatti ha un ph leggermente acido e andrebbe quindi servito subito, oppure spostato in contenitori più idonei.
Qual è il modo più "verde" per incartare i panini?


Pentole

Per lo stesso motivo, i cibi andrebbero tolti dalle pentole di alluminio subito dopo la cottura, e conservati in altri recipienti. Il problema non si presenta invece se le pentole sono rivestite di teflon, perché in questo caso il cibo non entra in contatto diretto con il metallo.

mercoledì 11 aprile 2012

tecnologia

Un pesce robot alla guida del branco


10 aprile 2012 - Nessuno se lo sarebbe aspettato, ma nel laboratorio di Maurizio Porfiri del Nyu-Poly, il Politecnico della New York University, è successo che un pesce seguisse un robot. E il ricercatore italiano, insieme al biologo Stefano Marras dell'Istituto per l'Ambiente Marino Costiero (Iamc – Cnr) di Oristano, ha anche trovato una spiegazione molto convincente: non è una questione di leadership, quanto di mero sfruttamento. I pesci veri, in pratica, sfruttano il vantaggio idrodinamico offerto da quel loro strano simile che apre la strada contro corrente, per risparmiare energia durante il nuoto.

Il replicante in questione – realizzato dal team di Porfiri con una stampante 3D in una speciale plastica e in un materiale molto flessibile (polietilene tereftalato) – è ispirato a una specie di ciprinidi (Notemigonus crysoleucas, che possono ricordare delle giovani spigole). L'aspetto finale è decisamente simile a quello dei pesci reali, sebbene il robot sia leggermente più grande; anche il movimento biomimetico inganna alla perfezione. Si tratta, quindi, di un ottimo modello per studiare le interazioni tra animali viventi e automi, come riportano i ricercatori su Journal of the Royal Society Interface.

I due scienziati hanno messo il loro "giocattolino" insieme a un pesce vero all'interno di una vasca in cui veniva ricreata una corrente (più precisamente un tunnel di nuoto, vedi il video): poi hanno osservato le reazioni del ciprinide al cambiare della velocità del flusso d'acqua. Ebbene, se la velocità era bassa, il pesce non si mostrava granché interessato al suo compagno meccanico; il discorso cambiava, invece, quando la velocità aumentava e mantenere la posizione costava fatica. Allo stesso modo, se il numero di battiti di coda del pesce robot era troppo basso per creare un "effetto traino", il ciprinide perdeva interesse e tornava ad allontanarsi.

Con una particolare tecnica di velocimetria di immagini che si serve di un laser per studiare il movimento delle particelle di acqua, Marras e Porfiri hanno potuto osservare i moti turbolenti generati dal movimento testa-coda del biomimetic fish, provando che le posizioni scelte dal ciprinide rispetto al robot erano sempre quelle a minor spesa energetica.
“Il prossimo passo sarà studiare le interazioni con un gruppo di pesci. Inoltre, sono in fase di sviluppo nuovi sistemi di propulsione che permetteranno di avere un'autonomia maggiore e che ci consentiranno di testare il pesce robot in un ambiente naturale”, ha detto Marras a Wired.it.

Non è la prima volta che dei pesci si trovano di fronte a un robot, ma è la prima in cui il replicante imita le loro caratteristiche di nuoto. L'obiettivo è innanzi tutto quello di imparare qualcosa di più sugli schemi di sciame e sul comportamento collettivo. Ma i ricercatori si spingono oltre: se un pesce robot può essere un leader, allora potrebbe anche aiutare i banchi a cavarsela in situazioni di pericolo, per esempio in caso di fuoruscite di petrolio. Una possibilità, perché no, da esplorare.


martedì 10 aprile 2012

AGRICOLTURA IN CRISI

Un farmaco biologico e "made in Italy" per sconfiggere il cancro del kiwi

Arriva dall'università della Tuscia la speranza di debellare il batterio Psa che ha provocato una pandemia internazionale e 60 milioni di danni nel 2010 solo nel Lazio


Cancro del kiwi: le foglie malate di una actinidia
ROMA - Un rimedio del tutto italiano per il frutto ricco di vitamina C, del quale l'Italia è il primo esportatore mondiale: è arrivato un farmaco ecologico per sconfiggere il cancro del kiwi. Arriva dall'università della Tuscia la speranza di debellare il batterio Psa (Pseudomonas syringae pv. actinidiae) che ha provocato una pandemia internazionale e 60 milioni di danni nel 2010 solo nel basso Lazio, dove è concentrata una delle maggiori produzioni di tutto il mondo. Dopo due anni di sperimentazioni i ricercatori viterbesi hanno messo a punto il primo agrofarmaco registrato in Europa: un vero successo della ricerca che a breve sarà pubblicato su una importante rivista scientifica. «E mentre noi cercavamo una risposta ecosostenibile per tutelare l'ambiente, i produttori e i consumatori, la Nuova Zelanda, il nostro maggio competitor, ha autorizzato l’impiego di antibiotici che non hanno dato alcun risultato concreto» dice Giorgio Balestra, ricercatore e coordinatore del gruppo di ricerca dell’ateneo che da circa 20 anni si occupa della batteriosi del kiwi. 
 

Una foglia di kiwi colpita dalla batteriosi
LAZIO PRIMO AL MONDO – L'Italia è il primo esportatore mondiale di kiwi, frutto ricco di vitamina C. Il Lazio è l'area di maggiore importanza a livello nazionale e tra le principali a livello globale, con oltre 9mila ettari coltivati e un volume di affari annuo di oltre 100 milioni di euro. Un tesoro minacciato dal batterio Psa che ha già colpito circa 2 mila ettari, principalmente in provincia di Latina e, in misura minore, in quelle di Roma e Viterbo. Un'epidemia pericolosa che ha messo a rischio soprattutto le coltivazioni di una varietà di kiwi, quella a polpa gialla (cv. Hort 16A): nel 2011, soltanto in provincia di Latina, è stato infettato l'80% delle piante di varietà Gold, su un'area di circa 400 ettari, e i danni sono arrivati oltre i 60 milioni di euro. 
 
PROBLEMA MONDIALE - La prima segnalazione del batterio risale agli anni '80 in Asia. In questi anni la pandemia si è estesa anche in Portogallo, Spagna, Francia, Svizzera, Turchia, Australia, Nuova Zelanda e Cile, provocando danni davvero ingenti all'agricoltura. Su questo problema i ricercatori di Fitobatteriologia del Dafne dell'Università della Tuscia da anni si stanno concentrando con buoni risultati: «Abbiamo sviluppato diverse linee di ricerca, ma alla fine ci siamo focalizzati su strategie di difesa biologiche. Abbiamo studiato un altro batterio (un ceppo di Bacillus amyloliquefaciens) in grado di competere naturalmente e quindi in grado di proteggere soprattutto le fasi della fioritura delle piante di actinidia dagli attacchi del batterio agente del cancro del kiwi» dica Balestra. 
Piante di kiwi malate vicino a Cisterna di Latina
SCELTA BIO - Una strategia ecocompatibile, insomma. Ben più sicura delle "miscele miracolose" non meglio definite (né controllate) che continuamente vengono proposte ai produttori di kiwi e più sana degli antibiotici sperimentati in Nuova Zelanda (vietati in agricoltura in tutta l’Unione Europea). «Possono essere anche controproducenti perchè c'è un elevato rischio di trasferire la resistenza agli antibiotici ai batteri presenti nei frutteti, patogeni e non» dice Balestra. La sperimentazione nel Lazio, portata avanti con la piena collaborazione dei produttori, è durata oltre due anni si è sviluppato prima in laboratorio e poi in pieno campo coinvolgendo anche gli studenti dell'università. «Prima abbiamo studiato l’antagonista naturale in laboratorio dove si è dimostrato efficace a inibire il batterio killer Psa. Poi abbiamo testato il nostro preparato (chiamato Amylo X) in pieno campo e, partendo dalla fioritura, abbiamo avuto delle ottime risposte in termini di riduzione delle malattia» dice Balestra che non nasconde la soddisfazione. «Si tratta del primo agrofarmaco registrato in Europa. Lavoriamo per aiutare l’intera filiera e siamo convinti che, con le pratiche giuste e trattamenti fitosanitari mirati, nel breve periodo si possa convivere con questo "cancro" e, infine, a neutralizzarlo».  

Carlotta De Leo 

 9 aprile 2012

venerdì 6 aprile 2012

Poco sonno, poco testosterone
Dormire poco riduce drasticamente i livelli di testosterone dei giovani maschi.

(05/04/2012) - Eve Van Cauter, PhD, docente di medicina e responsabile dello studio, ha trovato che gli uomini che hanno dormito meno di 5 ore a notte, per una settimana, hanno mostrato livelli significativamente più bassi di testosterone nel sangue rispetto a quando avevano dormito per tutta la notte.

Bassi livelli di testosterone comportano una serie di conseguenze negative nei giovani maschi, non solo in funzione della sessualità e della riproduzione.
Il testosterone è essenziale per costruire e rafforzare la massa muscolare e per la densità delle ossa. Saltare il sonno riduce i livelli del giovane maschio a quelli avuti all'età di 10 o 15 anni.

Secondo la professoressa Van Cauter bassi livelli di testosterone sono associati con minori benessere ed energia, e questo può succedere come conseguenza della perdita di sonno.
Con il proseguire della ricerca si è anche visto che il dormire troppo poco o male viene sempre più riconosciuto come disruttore endocrino.

I dieci giovani che hanno partecipato allo studio sono stati scelti nel campus della University of Chicago attraverso rigorose selezioni e test sullo stato di salute generale, del sistema endocrino e attraverso valutazioni di tipo psichiatrico, valutando anche eventuali problemi di sonno. Di età media di 24 anni i giovani erano snelli ed in buona salute.

Per la ricerca, pubblicata sul Journal of the American Medical Association (JAMA), i ragazzi hanno passato tre notti nel laboratorio dormendo fino a 10 ore ed altre 8 notti dormendo meno di 5 ore.
Il loro sangue è stato analizzato ogni 15-30 minuti per 24 ore durante l'ultimo giorno della 3 giorni da 10 ore e durante l'ultimo giorno della fase da 5 ore di sonno.

Gli effetti sul testosterone sono stati evidenti già dopo una settimana di poche ore di sonno: le 5 ore avevano fatto scendere i livelli del 10-15%. I livelli più bassi sono stati rilevati nel pomeriggio del periodo in cui hanno dormito poco, tra le 02:00 del pomeriggio e le 10:00 di sera.
I ragazzi hanno riferito anche informazioni sull'umore e sulla carica energetica ed hanno riferito un calo nella sensazione di benessere coincidente con il calo di testosterone. Umore ed energie calavano ogni giorno di più durante la fase in cui dormivano poco.
I livelli di testosterone calano già naturalmente con l'avanzare dell'età nell'ordine dell'1-2% ogni anno.


Per saperne di più

(MDN)

lunedì 2 aprile 2012

La Coca Cola è un'efficace detergente

01 aprile 2012

LA COCA-COLA È LA BIBITA GASSATA PIÙ BEVUTA AL MONDO

Le sue vendite non registrano cali, nonostante la bevanda sia spesso sotto accusa di essere nociva per la salute a causa dei dolcificanti in essa contenuti e dell’elevata presenza di acido fosforico, ritenuto colpevole, se assunto in notevoli quantità, della demineralizzazione delle ossa, anche e soprattutto nei bambini.
Il marchio Coca Cola è inoltre ormai da decenni al centro di azioni di boicottaggio per la violazione dei diritti umani degli operai delle proprie fabbriche situate in Colombia. Vi è quindi più di un motivo per rinunciare a bere ed acquistare Coca Cola o per provare almeno a diminuirne il consumo.
Se ne avete ancora delle scorte in dispensa, ma avete deciso di porre un freno alla vostra dipendenza dalla bevanda, provate a sfruttarla per mettere in pratica alcuni dei suoi possibili impieghi alternativi. 

I DIECI METODI

1. La Coca Cola agisce efficacemente nel combattere le macchie di grasso sui tessuti e può essere applicata su di esse per pretrattarle prima di procedere al normale lavaggio.
2. Non molto tempo fa, la bevanda è stata impiegata, accompagnata dalle note caramelle alla menta, come carburante per alimentare un’automobile.
3. Provate a rimuovere i depositi di calcare dal fondo del vostro bollitore versandovi un bicchiere di Coca Cola e lasciando agire la bevanda per alcune ore. Il medesimo effetto può essere ottenuto con l’aceto. Ogni traccia scomparirà come per magia.
4. Rimettete a nuovo il fondo bruciato di pentole e padelle versando all’interno di esse della Coca Cola e portando la bevanda ad ebollizione. In seguito sarà più facile rimuovere le tracce rimaste sul fondo, con l’aiuto di una spazzola per le pulizie.
5. Un bicchiere di Coca Cola può essere aggiunto al bucato se avete bisogno di un additivo che vi aiuti a rimuovere i cattivi odori.
6. La Coca Cola avanzata, che ormai ha perso le proprie bollicine, è un rimedio efficace per la pulizia di pentole e di altri oggetti in rame, comprese le monete.
7. Nella pulizia dei sanitari vi potrà essere utile per la rimozione delle incrostazioni.
8. Può essere inoltre impiegata da chi possiede un’automobile per eliminare le tracce di corrosione causate dalle perdite della batteria e per facilitare la pulizia del parabrezza.
9. Utilizzatela, inumidendo un panno di cotone, per ridare splendore ai vostri gioielli ed all’argenteria.
10. Provate a rimuovere le impiegata da chi possiede un’automobile per eliminare le tracce di corrosione causate eventualmente presenti sul paraurti della vostra auto inumidendole con della Coca Cola e strofinandole subito dopo con un foglio d’alluminio.

Visti gli usi che se ne possono fare, ancora convinti di volerla ingerire nel vostro stomaco?
Autrice: Marta Albè / Fonte: greenme.it

domenica 1 aprile 2012

I topolini: Ecco come conquistano le femmine


Cari lettori e appassionati di animali, in questo articolo curioso vi sveliamo una nuova scoperta scientifica che ha davvero dell’incredibile. Certo, fa sorridere: come da titolo, ci occuperemo dell’amore tra topolini e precisamente della tecnica con cui il maschio conquista la femmina! Altro che corteggiamento: questi piccoli roditori non ne hanno bisogno!
Gli occhi saranno pure lo specchio dell’anima per noi essere umani, ma si sa, ci si innamora anche degli occhi della persona che ci sta accanto!
Poca ironia, ma per i topolini accade più o meno la stessa cosa! Infatti, i maschi fanno innamorare le femmine grazie alle loro lacrime. E’ stata soprannominata la “molecola dell’amore”, ma in realtà è il feromone che stimola l’eccitazione sessuale e al quale si deve, quindi l’accoppiamento.
In termini scientifici è stato tutto pubblicato dal professore dell’Università di Tokyo, Kazushige Touhara in una rivista simile a Focus di livello internazionale (la rivista è Nature).
Il feromone in questione è la molecola ESP1 che viene captata dal recettore delle femmine V2Rp5. Quest’ultimo si trova sul naso delle femmine: lo stimolo passa così al cervello e la femmina si “eccita” ed è pronta per l’accoppiamento.