Ma gli scienziati sono divisi se questi cnidari stanno effettivamente aumentando 
Troppe meduse fanno «ammalare» i mari
 
Divorano i batteri mangia-CO2 che evitano l'acidificazione dell'acqua e il rilascio di anidride carbonica in atmosfera
 
MILANO -  Mentre si lamenta la 
crescita della popolazione di meduse nei mari dell'intero pianeta, 
prende forma l'ipotesi di un loro ruolo attivo nell'acidificazione degli
 oceani. Secondo lo studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences da un team di ricerca del Virginia Institute of Marine Science,
 le meduse sarebbero infatti corresponsabili del rallentamento di un 
processo fondamentale: quello che vede i batteri marini digerire e 
trasformare i resti animali. 
BATTERI - I batteri marini 
deputati alla decomposizione gestiscono bene i vertebrati, da cui 
riescono ad assorbire carbonio, fosforo, azoto e altri elementi chimici.
 Al termine del loro lavoro, questi batteri reimmettono nella catena 
alimentare una serie di nutrienti preziosi per l'intero ciclo della vita
 acquatica. Con invertebrati come le meduse, le cose cambiano. La 
quantità di carbonio prodotta dai batteri per trasformare le carcasse 
degli invertebrati in biomassa è troppo alta per essere completamente 
assorbita: non gli rimane che restituirla sotto forma di anidride 
carbonica. Che finisce nell'atmosfera.
VELOCITÀ MAI VISTA - «Gli oceani», spiega Carol Turley, ricercatrice presso il laboratorio marino della Plymouth University, «sono riusciti sinora a tamponare l'effetto dei cambiamenti climatici, raccogliendo e rielaborando, nel corso degli ultimi duecento anni, il 25% dell'anidride carbonica prodotta dall'uomo. Se però la CO2 aumenta, aumenta anche l'acidità dell'acqua. Questo è quello che sta succedendo oggi, a una velocità mai vista in 600 milioni di anni». E non è finita.
VORACITÀ - Le meduse potrebbero 
contribuire al peggioramento del problema anche a causa della loro 
voracità. Questi animali divorano enormi quantità di plancton (privando 
in tal modo i pesci più piccoli del nutrimento necessario), ma non 
vengono a loro volta divorati con uguale rapidità: squali e tonni, loro 
abituali predatori, sono sempre di meno. Nel trasferimento di energia 
all'interno della catena alimentare si inserisce così un impaccio 
ulteriore. 
FALSI PRESUPPOSTI - Ma nel 
panorama scientifico globale c'è anche chi considera l'intero problema 
fondato su falsi presupposti. Secondo Carlos Duarte, scienziato presso 
il Consiglio superiore di ricerca scientifica spagnolo
 e tra i fondatori del Global Jellyfish Group, non esistono prove certe 
che dimostrino l'eccezionalità del numero attuale di meduse. La loro 
popolazione, afferma Duarte, nel corso dei decenni è effettivamente 
cresciuta in alcune regioni, mentre è diminuita o ha fluttuato in altre 
aree. Per comprendere la situazione, sostiene, è necessario «condividere
 i dati e fornire prove scientifiche, non speculazioni». Nelle speranze 
di Duarte, la creazione di un apposito database permetterà
 agli scienziati di capire se le meduse sono realmente cresciute di 
numero; se ciò è successo per effetto dell'uomo; oppure, se si tratta 
semplicemente di una maggiore attenzione alla loro presenza dovuta 
all'impatto di questi animali su settori economicamente strategici come 
pesca e turismo. 
29 febbraio 2012 
 (modifica il 1 marzo 2012)
www.corriere.it 
 
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