Il programma Tartalife
Saranno i pescatori a salvare le nostre tartarughe di mare
Oltre 130 mila esemplari, protetti da
convenzioni internazionali, direttive comunitarie e leggi nazionali,
catturate involontariamente dai pescatori
A salvare le tartarughe ci penseranno i pescatori. Non più nemici, ma alleati di questi rettili marini in TartaLife:
la strategia salva tartarughe (tra i programmi Life+ della Ue) da 2
milioni di euro, che coinvolge fino al 2018 tutte le nostre città
affacciate sul mare. Il nuovo piano, coordinato dall’Istituto di scienze
marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Ancona (Cnr-Ismar),
tra i protagonisti vede anche il consorzio Unimar, che unisce i tre
organi centrali della pesca italiana: Agci Agrital, Federcoopesca e Lega
Pesca. E che, per diventare amici delle tartarughe, si faranno aiutare
da alcuni esperti della biodiversità marina. Tra cui, per esempio, la
Fondazione Cetacea, il Cts e Legambiente. «I pescatori», spiega Maurizio
Giganti, responsabile settore conservazione natura di Cts e portavoce
di TartaLife, «sono indispensabili per il futuro delle tartarughe».
La strage
Oltre 130 mila le tartarughe marine — la Caretta caretta,
già protetta da convenzioni internazionali, direttive comunitarie e
leggi nazionali — catturate involontariamente dai pescatori
professionisti nel 2013 nel Mediterraneo (dati TartaLife). Delle quali
70 mila per avere abboccato agli ami per la pesca al pescespada, oltre
40 mila intrappolate nelle reti a strascico e circa 23 mila in quelle da
posta. Con un bilancio totale di 40 mila esemplari deceduti. «Fuori dai
calcoli ufficiali», puntualizza il biologo, «ci sono migliaia di
piccole imbarcazioni da pesca che operano nei Paesi africani affacciati
sul Mediterraneo. Se li contassimo, si arriverebbe a una stima di 200
mila catture e a circa 70 mila decessi».
Pesca amica
Obiettivo
principale di Tartalife, aiutare i pescatori a salvare le tartarughe
catturate. Partendo, in primo luogo, dalle attrezzature. Come le reti a
strascico. «Per ridurre la cattura accidentale», spiega Giganti, «alcune
marinerie italiane sperimenteranno un dispositivo meccanico denominato
Ted (Turtle Exculder Device,
letteralmente «meccanismo di esclusione della tartaruga») già diffuso
in molti Paesi oltre oceano per la pesca dei gamberi». In pratica, una
griglia cucita all’interno della rete (prima del sacco terminale) con il
compito di sbarrare la strada alla tartaruga ma non al pesce. «Per
evitare interferenze con le reti da posta», prosegue Giganti,
«sperimenteremo invece lo Star (Sea Turtle Acoustic Repellent). Un
dispositivo elettroacustico da mettere sulla rete che si usa già per
tenere lontani i mammiferi marini dalle attività di pesca».
Attrezzature salva-tartarughe
Oltre all’intervento sulle attrezzature classiche da pesca, il progetto
prevede anche l’introduzione di nuovi strumenti mai sperimentati in
Italia. «Proveremo», afferma Giganti, «una nassa di nuova generazione,
già utilizzata con successo nel nord Europa per la pesca al merluzzo, ma
mai prima d’ora nel Mediterraneo». Senza contare, il lavoro che verrà
fatto anche sugli ami. In modo particolare nella zona adriatica e nel
canale di Sicilia: le più rischiose per le tartarughe. «In questi tratti
di mare», spiega il biologo, «per pescare il tonno e i pescespada si
usa il palangaro: una lenza lunghissima, farcita di ami. Che, per
evitare le catture accidentali, vogliamo sostituire con quelli
arrotondati».
Pescatore 2.0
Per
diffondere i sistemi proposti da Tartalife (ami circolari e Ted),anche
diversi corsi di aggiornamento per i pescatori e l’attivazione degli
sportelli di assistenza per quelli che vorranno sostituire i vecchi
attrezzi da pesca con altri più nuovi e selettivi. «Per farlo», spiega
Giganti, «si potrà usufruire degli incentivi che dovrebbero essere
previsti dal nuovo Feamp (Fondo europeo per le attività marittime e la
pesca)».
Pronto soccorso
Il
nuovo approccio dei pescatori non riguarda solo le attrezzature da
pesca, ma anche il pronto soccorso se per sbaglio viene pescata, insieme
al pesce, una tartaruga. «Se catturata accidentalmente», spiega il
biologo, «la tartaruga ha bisogno di rimanere un po’ di tempo sulla
barca per riprendersi». Una pratica che però si scontra con la normativa
italiana: il decreto ministeriale della marina mercantile del 1989, che
vieta il trasporto e la detenzione delle specie protette a bordo delle
imbarcazioni. E tra i motivi principali per cui le tartarughe, in
qualsiasi stato si trovino, vengono ributtate dai pescatori nel mare.
«Per dare soccorso alle tartarughe», spiega Giganti, «i pescatori
potranno richiedere la richiesta di ospitare a bordo l’animale. In modo
da evitare le sanzioni e salvargli la vita».
Sos Adriatico
Zona particolarmente infelice per le tartarughe, quella adriatica. In
cui soltanto l’anno scorso ne sono morte più di 200 non solo per le
catture accidentali, ma anche per altre cause ancora da chiarire. «Oltre
alla pesca», afferma il biologo, «stiamo valutando l’impatto delle
trivellazioni e del rigassificatore di Portovivo (al largo delle coste
della provincia di Rovigo)». Senza dimenticare quelle
climatico-ambientali. «Dalle necroscopie», rivela Giganti, «abbiamo
accertato che tutte le tartarughe morte avevano azzerata la flora
batterica». Dettaglio che potrebbe far luce sul motivo della moria.
«Questo», conclude il biologo, «potrebbe dipendere sia dagli
antibiotici, usati per abbattere le schiume organiche. Oppure, dal fatto
che quest’anno la temperatura delle acque adriatiche è scesa
rapidamente. Causando una reazione ipotermica nelle tartarughe, detta cold stunning turtle e che, oltre all’Italia, ha colpito anche in altre zone del Mediterraneo».
24 maggio 2014
www.corriere.it