mercoledì 25 gennaio 2012

Quasi una veglia funebre allo zoo di Monaco

In lutto per Lola, il dolore che unisce gli elefanti

A turno la famiglia dei pachidermi tocca il corpo della cucciola morta a tre mesi

Questa è una storia antica ma è pure una storia moderna. È antica come il mondo (si fa per dire) perché racconta d'un naturale amore materno, ma è moderna perché ogni evento ha avuto luogo entro la civiltà più avanzata. Protagoniste l'elefantessa indiana Panang, una mamma di 22 anni, e sua figlia Lola, nata tre mesi fa nello zoo di Monaco di Baviera. E fin qui, volendo, tra loro tutto naturale: lo svilupparsi cioè di quell'amore che sempre lega una madre a sua figlia. Ma poi, drammaticamente, subentra prepotente la modernità. Perché i guardiani, che adorano Lola, si accorgono che l'elefantina deperisce, non cresce bene, e difatti le viene diagnosticata una grave patologia cardiaca. Lola viene dunque, necessariamente, operata - è la prima della sua specie - ma l'intervento purtroppo finisce male e l'elefantina muore.
L'elefantina Lola  in una foto del novembre scorso (Ansa)Per mamma Panang però Lola è solo come se fosse scomparsa, se si fosse persa. Non riesce a trovarla e così non si dà pace, soffre le pene dell'inferno. La direzione dello zoo decide pertanto di restituire alla madre il corpicino di Lola, sperando così che con ciò si renda conto dell'accaduto e almeno possa soffrire in pace, consapevolmente. Il che in effetti avviene, perché gli elefanti sono assai intelligenti e sanno sviluppare la consapevolezza della morte. Ma sono anche assai sociali ed empatici, e Lola era adorata, oltre che dai guardiani e dai visitatori, anche da tutto il gruppo di elefanti dello zoo. Ed è così che s'è potuto assistere all'avverarsi d'una sorta di rito funebre animale, dove ogni elefante, a turno, toccava Lola con la proboscide.

Poi tutti insieme gli elefanti si sono stretti intorno a Panang. Anche gli elefanti di uno zoo, così, per una volta hanno potuto mettere in atto il loro funebre rituale naturale.
Occorre dire che molto si sa sulla consapevolezza della morte negli elefanti, ma soprattutto di quelli africani, che appartengono a un'altra specie rispetto agli asiatici. Trattandosi però di specie evolutivamente assai vicine, è verosimile ritenere che non cambi molto per quanto concerne questi comportamenti legati alla morte di uno di loro. Ricordo, a titolo informativo, che i cugini africani manifestano sempre uno strano interesse per i resti, in particolare per le ossa, dei loro morti, mettendo in atto comportamenti esplorativi e rituali di vario tipo. Quanto alle madri, mostrano chiari segni di sofferenza dinanzi alla morte del loro piccolo.

Riporto, a titolo esemplificativo, il breve rendiconto offerto da Joyce Poole, una specialista dell'etologia degli elefanti dell'Amboseli Elephant Project: «Il mattino dopo Cyntia Moss e io andammo a piedi dall'accampamento fino al limitare del palmeto, da dove potevamo osservare Tonie che ancora vegliava il cadavere del suo piccolo. Intorno a lei si aggiravano quindici avvoltoi e uno sciacallo; lei caricava ed essi si disperdevano per qualche secondo, ma solo per ritornare. Essa si mise fra loro e il corpicino e, fronteggiandoli, toccava dolcemente con la zampa posteriore il corpo senza vita. Osservando la sua veglia funebre, per la prima volta ebbi l'impressione fortissima che gli elefanti conoscevano il lutto. Non potrò mai dimenticare l'espressione del viso, degli occhi, della bocca, il portamento delle orecchie, della testa, del corpo. Ogni parte esprimeva dolore». Tratto da Ritorno in Africa , Mondadori 1997.

Danilo Mainardi

25 gennaio 2012
www.corriere.it

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