martedì 31 gennaio 2012

gli Albatros

Pescano meglio e fanno turni più corti per tornare ai nidi

Se il clima cambia, qualcuno è contento: gli albatros

L'aumento dell'intensità dei venti occidentali ha determinato un incremento del 10-20% del loro peso. Così volano meglio


Coppia di albatros delle Galapagos
MILANO - I cambiamenti climatici, additati spesso di mettere alle strette quella o quell’altra specie, sembrano invece dare una mano agli albatros urlatori, i grandi uccelli strettamente marini che vivono nell’emisfero australe e che per morfologia ed ecologia sono affini alle berte maggiori dette Diomedee, delle nostre isole Tremiti. «L’aumento d’intensità dei venti che spirano da ovest soprattutto nella fascia dell’oceano Indiano più vicina all’Antartide ha infatti determinato un incremento del 10-20 per cento del loro peso corporeo», spiega Nicola Saino, professore ordinario di ecologia al dipartimento di biologia dell’Università degli studi di Milano.
 
ZAVORRA - «Un chilo in più, in aggiunta ai loro 8-10 chili di peso, fa l’effetto di una zavorra: li rende più pesanti e capaci di contrastare meglio un vento più forte», aggiunge Saino. Quindi turni più corti al nido. Questi uccelli molto longevi e monogami, che riscelgono anno dopo anno lo stesso partner per riprodursi, hanno dunque migliorato la loro già enorme capacità di spostarsi. Potendo contare su di un’apertura alare di circa 3 metri e sul loro tipico volo radente sull’acqua, sono capaci di veleggiare per molte ore con il minimo sforzo. All’effetto delle loro possenti e lunghissime ali e all’«effetto suolo», che dipende dalla compressione dell’aria verso la superficie del mare e si traduce in un aumento di pressione che garantisce un’ulteriore spinta verso l’alto, si aggiunge ora anche il favorevole adeguamento del loro volo al cambiamento dei venti. «Questo nuovo comportamento consente anche di procacciarsi il cibo con più efficienza e di allevare la propria prole con maggiore successo», sottolinea Nicola Saino.

VOLI CORTI - I voli di foraggiamento sono diventati più corti e associati a un minor dispendio di energia: se nel 1970 duravano circa dodici giorni, nel 2008 coprivano già un lasso di tempo inferiore, dell’ordine di 9,7 giorni. I genitori possono pertanto allontanarsi dal nido meno frequentemente favorendo la sopravvivenza dei piccoli. Se nel 1970 nascevano pulcini vivi dal 66 per cento delle uova, già nel 2008 questa percentuale è salita al 77 %.

ORNITOLOGI - Lunga vita dunque a questi uccelli viaggiatori che contano grosse colonie riproduttive nell’arcipelago della Crozet, nel cosiddetto oltremare francese, a sud-est del capo di Buona speranza. Proprio qui gli ornitologi che appartengono al francese Centre d’Etude Biologiques de Chizé (Cnrs) e al tedesco Helmholtz Centre for Environmental Research hanno potuto monitorare dagli anni Sessanta a oggi l’effetto che i cambiamenti climatici hanno avuto su questa specie. «Ricerche come questa, svolte cioè con studi a lungo termine e sostenute da una politica di sovvenzioni continue per periodi di molti anni, andrebbero incentivate, soprattutto in Italia, dove l’incertezza e la discontinuità dei finanziamenti le rendono spesso impraticabili», ribadisce Saino. «Solo progetti che abbraccino un lungo lasso di tempo possono mettere in evidenza abitudini di vita mutate di una comunità di esseri viventi a fronte, ad esempio, dei cambiamenti climatici».

PROTEZIONE - I risultati ottenuti permettono anche di fare una proiezione futura di queste colonie che negli anni hanno subìto un declino provocato dai palamiti, strutture per la pesca ai tonni e ai pesci spada che hanno ucciso non pochi albatros richiamati dai pesci usati come esca. Se l’incremento attuale dei venti nella zona meridionale del polo Sud dà a questi uccelli innegabili vantaggi tra cui quello di andare a nutrirsi dove il mare è più pescoso, un ulteriore rafforzamento della loro intensità potrebbe incrinare irrimediabilmente il loro equilibrio. Venti più forti e con una decorso ancora più meridionale potrebbero infatti compromettere l’efficienza di volo dei grandi albatros urlatori.

Manuela Campanelli 

31 gennaio 2012
www.corriere.it

domenica 29 gennaio 2012

Ambientalisti uniti per fermare la riforma della legge sulle aree protette


La conservazione della natura «è il nostro unico interesse», le aree protette «non possono essere asservite agli interessi privati e locali, bisogna garantire le finalità di tutela proprie del governo dei parchi». Lo dicono - in un comunicato congiunto - il Fai, Italia Nostra, Lipu-BirdLife Italia, Mountain Wilderness e Wwf Italia in merito alle reazioni sul loro appello pubblicato nei giorni scorsi sui maggiori quotidiani nazionali contro la riforma della legge quadro sulle aree naturali protette (394 del '91).

E allora, spiega il cartello di associazioni, sono almeno 4 i motivi del no alla riforma in discussione alla Commissione ambiente del Senato:
Verrebbero rivisti gli equilibri tra coloro che rappresentano, negli enti di gestione, interessi nazionali generali e chi rappresenta interessi particolari e privati.
È quanto mai opportuno nel nostro Paese assicurare il rispetto di quella gerarchia di valori ribadita in più occasioni dalla Corte Costituzionale per la quale la tutela dell'ambiente dovrebbe prevalere sempre su qualunque interesse economico privato.

E' piena d'insidie - dicono le 5 associazioni del no - la distinzione artificiosa che si vorrebbe introdurre tra attività venatoria e controllo della fauna selvatica, pur con la supervisione dell'Ispra, l'Istituto di ricerca del ministero dell'Ambiente. Si prevede di fatto un diretto coinvolgimento dei cacciatori nella gestione della fauna all'interno delle aree naturali protette.

Manca, come indispensabile premessa ad ogni ipotesi di riforma della Legge attuale, una seria analisi dei problemi nella gestione dei parchi in relazione al ruolo centrale che dovrebbero svolgere per la tutela della natura.

In assenza di una seria valutazione sullo stato delle nostre aree naturali protette, le proposte di riforma della Legge entrano esclusivamente nel merito delle rappresentanze negli Enti di gestione, delle procedure di nomina di Presidenti e Direttori, di possibili meccanismi di finanziamento attraverso royalty che rischiano di determinare pesanti condizionamenti.

29 gennaio 2012


mercoledì 25 gennaio 2012

Quasi una veglia funebre allo zoo di Monaco

In lutto per Lola, il dolore che unisce gli elefanti

A turno la famiglia dei pachidermi tocca il corpo della cucciola morta a tre mesi

Questa è una storia antica ma è pure una storia moderna. È antica come il mondo (si fa per dire) perché racconta d'un naturale amore materno, ma è moderna perché ogni evento ha avuto luogo entro la civiltà più avanzata. Protagoniste l'elefantessa indiana Panang, una mamma di 22 anni, e sua figlia Lola, nata tre mesi fa nello zoo di Monaco di Baviera. E fin qui, volendo, tra loro tutto naturale: lo svilupparsi cioè di quell'amore che sempre lega una madre a sua figlia. Ma poi, drammaticamente, subentra prepotente la modernità. Perché i guardiani, che adorano Lola, si accorgono che l'elefantina deperisce, non cresce bene, e difatti le viene diagnosticata una grave patologia cardiaca. Lola viene dunque, necessariamente, operata - è la prima della sua specie - ma l'intervento purtroppo finisce male e l'elefantina muore.
L'elefantina Lola  in una foto del novembre scorso (Ansa)Per mamma Panang però Lola è solo come se fosse scomparsa, se si fosse persa. Non riesce a trovarla e così non si dà pace, soffre le pene dell'inferno. La direzione dello zoo decide pertanto di restituire alla madre il corpicino di Lola, sperando così che con ciò si renda conto dell'accaduto e almeno possa soffrire in pace, consapevolmente. Il che in effetti avviene, perché gli elefanti sono assai intelligenti e sanno sviluppare la consapevolezza della morte. Ma sono anche assai sociali ed empatici, e Lola era adorata, oltre che dai guardiani e dai visitatori, anche da tutto il gruppo di elefanti dello zoo. Ed è così che s'è potuto assistere all'avverarsi d'una sorta di rito funebre animale, dove ogni elefante, a turno, toccava Lola con la proboscide.

Poi tutti insieme gli elefanti si sono stretti intorno a Panang. Anche gli elefanti di uno zoo, così, per una volta hanno potuto mettere in atto il loro funebre rituale naturale.
Occorre dire che molto si sa sulla consapevolezza della morte negli elefanti, ma soprattutto di quelli africani, che appartengono a un'altra specie rispetto agli asiatici. Trattandosi però di specie evolutivamente assai vicine, è verosimile ritenere che non cambi molto per quanto concerne questi comportamenti legati alla morte di uno di loro. Ricordo, a titolo informativo, che i cugini africani manifestano sempre uno strano interesse per i resti, in particolare per le ossa, dei loro morti, mettendo in atto comportamenti esplorativi e rituali di vario tipo. Quanto alle madri, mostrano chiari segni di sofferenza dinanzi alla morte del loro piccolo.

Riporto, a titolo esemplificativo, il breve rendiconto offerto da Joyce Poole, una specialista dell'etologia degli elefanti dell'Amboseli Elephant Project: «Il mattino dopo Cyntia Moss e io andammo a piedi dall'accampamento fino al limitare del palmeto, da dove potevamo osservare Tonie che ancora vegliava il cadavere del suo piccolo. Intorno a lei si aggiravano quindici avvoltoi e uno sciacallo; lei caricava ed essi si disperdevano per qualche secondo, ma solo per ritornare. Essa si mise fra loro e il corpicino e, fronteggiandoli, toccava dolcemente con la zampa posteriore il corpo senza vita. Osservando la sua veglia funebre, per la prima volta ebbi l'impressione fortissima che gli elefanti conoscevano il lutto. Non potrò mai dimenticare l'espressione del viso, degli occhi, della bocca, il portamento delle orecchie, della testa, del corpo. Ogni parte esprimeva dolore». Tratto da Ritorno in Africa , Mondadori 1997.

Danilo Mainardi

25 gennaio 2012
www.corriere.it

martedì 24 gennaio 2012

Usa: decine di delfini arenati a Cape Cod
Ne sono gia' morti oltre cinquanta


24 gennaio 2012 - Strage di delfini a Cape Cod, sulla costa Nord-atlantica degli Stati Uniti, dove in poco piu' di dieci giorni se ne sono arenati oltre 80, di cui oltre una cinquantina sono morti: a causa delle acque poco profonde, dei cumuli di sabbia e dei mulinelli non sono piu' riusciti a tornare indietro. Le autorita' hanno confermato che dal 12 gennaio ad oggi 85 delfini si sono arenati, per cause ignote, in un'insenatura poco profonda di una riserva naturale a Cape Cod. Una trentina di essi sono ancora vivi, mentre si teme che una quindicina di altri si trovi bloccata in luoghi difficili da raggiungere. L'area tra Wellfleet e Eastham, dove si sono arenati i delfini, e' famosa anche per essere pericolosa per una specie a rischio di balene tipica dell'Atlantico settentrionale. Un portavoce dell'International Fund for Animal Welfare, AJ Cady, ha spiegato che di solito in un anno si registrano circa 120 casi di delfini che rimangono bloccati nelle acque basse, ma in questo caso il numero e' stato quasi raggiunto in pochi giorni. ''Ci sono diverse teorie per questo fenomeno - ha detto Cady - una di questa e' che i delfini si siano semplicemente persi. Di solito rimangono in gruppo e se uno di loro finisce nei guai tutti gli altri lo seguono, appunto perche' sono abituati a muoversi in gruppo''.

ANSA

lunedì 23 gennaio 2012

l figlio di Varenne corre per lo Stato

Lo stallone era stato sequestrato tre anni fa nell'ambito di una indagine per evasione fiscale. Si chiama Mustang Grif e ha fatto guadagnare all'Erario 150mila euro 


Mustang Grif (web)PADOVA - Sequestrato tre anni fa nell'ambito di una indagine per evasione fiscale, Mustang Grif, cavallo figlio del mitico Varenne, ogni volta che gareggia e vince, cosa che accade spesso, porta migliaia di euro nella casse dell'erario. Mustang Grif, infatti, dall'atto del sequestro, fa parte temporaneamente della scuderia della Guardia di finanza di Padova che lo fa correre a tutto vantaggio delle casse dello Stato alle quali ha portato già 150 mila euro. Mustang Grif è sotto sequestro nell'ambito di un'indagine che ha portato alla scoperta di due milioni di euro di evasione fiscale, oltre a un giro di riciclaggio internazionale la cui indagine si è conclusa nelle scorse settimane. Gli uomini delle fiamme gialle hanno contestato ad un presunto evasore padovano, attivo nell'ambito della logistica, l'omesso versamento di Iva e ritenute Irpef per 1,5 milioni di euro e di contributi previdenziali per oltre 2,2 milioni nonchè il riciclaggio internazionale, la bancarotta fraudolenta e l'impiego di beni di provenienza illecita. (Ansa)

23 gennaio 2012


www.corriere.it 

sabato 14 gennaio 2012

Da Beyoncè a Giuseppe Garibaldi
quando l'insetto ha un nome fantasioso
 
L'entomologo: «A volte è difficile dare un nome ad una specie: si possono usare aggettivi, a volte si possono fare scelte  arbitrarie e spesso si scelgono nomi scherzosi» 


Roma, 14 gennaio 2012 - Chiusi nei loro laboratori. Sempre al microscopio e a districarsi fra difficili termini scientifici e classici. Niente di tutto questo. Gli entomologi, coloro che di lavoro studiano gli insetti, sembrano proprio essere dei simpatici creativi.

Pochi giorni fa un tafano è stato chiamato Beyoncè perchè la rotondità del suo addome colorato e appariscente ha ricordato la cantante al giovane entomologo Bryan Lessard, del Centro australiano per la ricerca scientifica (Csiro). Trovare un nome per ogni nuova specie di insetti è un vero rompicapo: basti pensare che quelle finora note sono 1,2 milioni, sui circa due milioni di specie animali e vegetali.

«A volte è veramente difficile dare un nome ad una specie: si possono usare aggettivi, a volte si possono fare scelte completamente arbitrarie e spesso si scelgono nomi scherzosi», spiega all'Ansa l'entomologo Augusto Vigna Taglianti, dell'università di Roma La Sapienza. «Basti pensare - aggiunge - che per un solo ordine di insetti esistono oltre 400.000 specie: è chiaro che con i nomi può succedere qualsiasi cosa».

I personaggi dello spettacolo sono tra i più gettonati nella scelta dei nomi per gli insetti, in buona compagnia di personaggi della letteratura e della mitologia, fino a Bill Gates, Hitler e Babbo Natale, spiega Marzio Zapparoli, docente di Zoologia nell'università della Tuscia.

Esistono specie dedicate al dio della fertilità, Priapo, come l'imenottero Exetastes fornicator. C'è un lepidottero dedicato a Leonardo da Vinci ed una farfalla che suggerito la Lolita di Vladimir Nobokov. Sempre in ambito letterario, un ragno cavernicolo australiano dall'aspetto poco amichevole si è meritato il nome di Draculoides bramstokeri, chiaramente ispirato al romanzo «Dracula» di Bram Stoker.

Hanno suggerito i nomi degli insetti anche personaggi come Chaplin, Stanlio e Ollio o l'Indiana Jones interpretato da Harrison Ford, dice ancora Zapparoli. Anche il mondo del rock è di casa tra gli insetti, perfino di quelli estinti, come i trilobiti Aegrotocatellus jaggeri dedicati a Mick Jagger. Ci sono poi Avalanchurus lennoni, Avalanchurus starri, Struszia mccartneyi e Struszia harrisoni, chiaramente ispirate ai Beatles. Anche i Sex Pistols sono stati fonte di ispirazione per gli entomologi, così come i Grateful Dead per il dittero Dicrotendipes thanatogratus, traduzione latina del nome del gruppo country-rock americano. Il mondo della musica tocca anche l'Italia, con la farfalla Parnassius mnemosyne guccinii, dedicata al cantautore Francesco Guccini e scoperta, naturalmente, nell'Appennino tosco-emiliano. Nell'Aspromonte, infine, è stato scoperto il ragno Paracelotes garibaldii, ovviamente dedicato a Giuseppe Garibaldi.


www.lastampa.it

giovedì 12 gennaio 2012

Salvano un lupo con massaggio cardiaco 
L'animale era finito nelle gelide acque di un fiume
 
Bologna, 12 gennaio 2012 - Aveva gli arti posteriori semiparalizzati dal gelo e sembrava morto il giovane lupo salvato lunedì scorso a Camugnano, nel bolognese, dalla Polizia provinciale. L’animale era finito nelle acque gelide del Limentra e si trovava in stato di ipotermia, apparentemente privo di vita. 
I soccorritori l’hanno subito tirato fuori dall’acqua. Per salvargli la vita gli operatori, coordinati da un veterinario, gli hanno praticato una lunga serie di massaggi cardiaci e la respirazione artificiale. 
Gli agenti sono intervenuti insieme agli operatori del Centro recupero fauna selvatica di Sassomarconi, in località Mulino dei Sassi (Camugnano) grazie ad una segnalazione telefonica. Al termine dell’intervento di soccorso il lupo è stato portato nella sede dei soccorritori per ulteriori cure. 

www3.lastampa.it

mercoledì 11 gennaio 2012

Gange, i coccodrilli saranno censiti

Gange, i coccodrilli saranno censiti
La difficile impresa decisa dalle autorita' indiane


NEW DELHI, 11 gen. 2012 - Le autorita' indiane hanno deciso di contare i coccodrilli che infestano il delta del Gange, nello stato orientale del West Bengala. Un censimento sara' infatti condotto la prossima settimana, come riporta The Pioner, il quotidiano di Calcutta, precisando che ''si tratta del primo esercizio di questo genere''. ''Mentre esistono delle stime sul numero di tigri che vivono nelle foreste di mangrovie, nessuno sa quanti sono i coccodrilli'' ha detto un responsabile del servizio forestale che insieme a un team di 30 esperti e ecologisti coordinera' l'operazione che consiste nel setacciare in barca fiumi e paludi nei tre giorni dal 15 al 18 gennaio a ''caccia'' del pericoloso rettile. ''L'avvistamento e' possibile solo in questo periodo quando la temperatura dell'acqua scende al di sotto dei 20 gradi e i coccodrilli preferiscono uscire sulla terraferma per mettersi al sole'' spiega Pradeep Vyas, direttore della Sundarbans Biosphere Reserve. La regione del Sundarbans, celebrata del romanzo ''Il paese delle maree'' di Amitav Gosh e' patrimonio dell'Unesco essendo la piu' grande foresta di mangrovie al mondo. Ma ogni anno decine di persone, soprattutto pescatori di gamberetti, sono uccisi da tigri e coccodrilli che popolano l'immenso delta condiviso da India e Bangladesh.

ANSA

martedì 10 gennaio 2012

L'impero delle regine zombie

Un parassita delle vespe attacca le operaie e le trasforma in regine… zombie che fanno tutto tranne che governare. La strana scoperta di questo meccanismo perverso è stata fatta da alcuni ricercatori italiani. Mentre un entomologo americano ha trovato le api zombie: parassita diverso, zombie analogo.

 
La testa di un ape mellifera (a destra) e di una vespa comune (a sinistra).
La testa di un ape mellifera (a destra) e di una vespa comune (a sinistra).

Gli zombi non smettono di essere di moda, e non possiamo perdere l'occasione per ricordarlo, a modo nostro. Con una notizia cioè presa dal mondo della scienza, in particolare da quello degli animali sociali. L'impero del titolo è quello di alcune vespe che si comportano da “regine”, ma che fanno tutto all'infuori di governare il nido. Il sistema, estremamente intricato, è stato scoperto dopo anni di studio da un gruppo dell'università di Firenze, che si occupa di etologia degli insetti da molti anni (vedi citazione a fine pagina).

Vespe infette

Cosa accade, allora, a queste regine, e perché sono zombie? Quando le femmine delle vespe Polistes dominulus, le cosiddette vespe cartonaie, sono infettate (poi vedremo come) dal parassita Xenos vesparum smettono di fare quello che fanno tutte le operaie. Invece di badare al nido, dimenticano di essere insetti sociali e quindi anche la loro casta, escono e si dirigono verso un luogo particolare, una specie di ospizio estivo per operaie e regine.

Una vespa cartonaia e il suo parassita. Foto di Beani et Al.
Una vespa cartonaia e il suo parassita. Foto di Beani et Al.

Quello che il parassita modifica è il comportamento sociale di una specie; non l’aspetto, ma solo un particolare momento dell’etologia; che peraltro è il “momento” che caratterizza tutti gli insetti sociali, cioè la divisione in caste. 

I parassiti crescono
Nell’ospizio inizia l’accoppiamento: ma non delle false-regine con i maschi, dato che le prime sono castrate dal parassita e i secondi non ci sono, ma dei maschi e delle femmine dei parassiti. I maschi scendono dal loro veicolo e si dirigono verso le vespe sulle quali ci sono ancora le femmine. Lì procedono all’accoppiamento e poco dopo muoiono. Muoiono anche le vespe che avevano ospitato i maschi. Dopo che le femmine si sono accoppiate, devono andare a trovare altri insetti da parassitare. E lo fanno inducendo le vespe, sempre quelle da cui non si muovono, ad andare in un altro ospizio, questa volta invernale, dove trovano le regine (prive di parassiti).

La storia si complica
Qui le regine-regine e le regine zombie passano l’inverno, e quando arriva la primavera partono. Prima le regine vere, e vanno a costruire un nido, poi quelle zombie (dove nel frattempo si sono sviluppate le larve del parassita), che scelgono se andare in giro a spargere il loro carico di morte dove potrebbero arrivare altre operaie che foraggiano, oppure andare anch’esse verso i nidi. Ma non ci vanno per dare una mano, da operaie, come fanno le regine che fondano insieme la colonia, ma ancora per disperdere sul nido lo stadio larvale del parassita, il minuscolo triangolino, in grado di penetrare dentro le larve delle operaie per ricominciare il ciclo.

Arma letale: l'Apocephalus borealis sulle spalle di un'ape.

Come un film dell'orrore
Il ciclo del parassita potrebbe spiegare molte cose, dalla sindrome al comportamento da “zombie” delle singole api. Dopo che la piccola mosca ha deposto le uova sull'addome dell'ape, infatti, lo sviluppo delle larve all'interno dell'insetto le porta a comportarsi in maniera strana. Le operaie si allontanano dall'alveare e si aggregano attorno alle luce, svolazzando e senza nessun senso della direzione.
Le api parassitate non erano inoltre in grado di reggersi sulle zampe, barcollavano e cadevano in continuazione prima di morire; proprio come zombie.

Gli zombie naturali

Due esempi che dimostrano come l'evoluzione della coppia ospite-parassita possa portare a integrazioni strette dei cicli vitali delle due specie. E di come le passeggiate di zombie che vediamo nei film di Hollywood siano solo un pallido esempio di quello che accade in natura.

L'articolo originale della ricerca sulle vespe è: 
Beani, L., Dallai, R., Mercati, D., Cappa, F., Giusti, F., & Manfredini, F. (2011). When a parasite breaks all the rules of a colony: morphology and fate of wasps infected by a strepsipteran endoparasite, Animal Behaviour
DOI: 10.1016/j.anbehav.2011.09.012

lunedì 9 gennaio 2012

UN ALTRO GHEPPIO SALVATO A PAGANICO, ORA E' AL CRASE MAREMMA
Intervento della LAV


9 gen 12 - Alla vigilia della Befana la LAV Grosseto ha ricevuto ancora un rapace bisognoso di aiuto: una femmina di gheppio ritrovata da una donna lungo la statale per Siena, nei pressi di Paganico. La donna, che ha avvistato l'animale in difficoltà al bordo della strada, ha compiuto una lunga deviazione per poter tornare indietro e soccorrerlo. Il gheppio è stato poi consegnato alla LAV, che verificato lo stato catatonico della creatura e l'immediata necessità di intervento veterinario, non ha atteso di inviarla con il pullman Tiemme, ma ha immediatamente provveduto a recapitare la femmina di rapace al Crasm WWF di Semproniano, dove le è stato diagnosticato un trauma cranico (l'evidente sintomo è l'occhio chiuso visibile anche nella foto) probabilmente causato dallo scontro con un'auto e le sono state prestate cure che hanno garantito un rapido miglioramento. A Grosseto il numero LAV di riferimento per le segnalazioni di animali selvatici in difficoltà (senza limiti di specie e dimensioni) è il 328 5639980, attivo 24h festivi compresi. L'appello della LAV è di non esitare a segnalare animali in pericolo, anche nelle ore notturne. I volontari, a titolo interamente gratuito, si attiveranno al massimo delle proprie possibilità per il recupero e la consegna al Crasm.

da maremmanews.it

domenica 8 gennaio 2012

IL DISASTRO AMBIENTALE


Si è spezzata in due la nave incagliata sulla barriera corallina in Nuova Zelanda

Si teme una nuova fuoriuscita di carburante. Dalla data dell'incidente, il 5 ottobre, già sterminati 20mila uccelli marini


Il cargo nelle due istantanee del 5 ottobre 2011 e del 8 gennaio 2012MILANO - La nave cargo Rena incagliata al largo delle coste di Wellington, Nuova Zelanda, dallo scorso ottobre si è spezzata in due parti a causa delle forti mareggiate, lasciando cadere in mare container e rottami e alzando i timori di una nuova fuoriuscita di petrolio dopo il disastro delle scorse settimane, il peggiore mai verificatosi nel continente.

LA TEMPESTA - Le autorità hanno fatto sapere che la parte anteriore della nave resta nella sua posizione, mentre quella a poppa si è staccata e si «muove in modo significativo», spinta da onde alte sei metri. Il portavoce delle autorità marittime neozelandesi, Ross Henderson, ha annunciato che la tempesta continuerà per altri tre o quattro giorni. Rena, battente bandiera liberiana, è sulla scogliera di Astrolabe, preziosa riserva naturale, dal 5 ottobre: il carburante che ha invaso le spiagge ha già ucciso fino a 20mila uccelli marini.

LE INDAGINI - Il capitano e il primo ufficiale sono incriminati per aver gestito la nave in modo pericoloso o rischioso, per inquinamento ambientale e alterazione dei documenti navali dopo l'incidente.

8 gennaio 2012
www.corriere.it

sabato 7 gennaio 2012

L'impatto del cambiamento climatico sui cuccioli di foca


cucciolo di foca

Le foche della Groenlandia (Pagophilus groenlandicus) si sono evolute, nel corso dei secoli, adattandosi alle oscillazioni dei ghiacci artici, dallo spessore, più o meno elevato, alla superficie totale, più o meno estesa.
Un recente studio, pubblicato su PLoS ONE, ha analizzato l’impatto dei cambiamenti climatici sulla popolazione di foche che vive nel Golfo di St.Lawrence, in Canada.

I ricercatori della Duke University e dell’International Fund for Animal Welfare hanno incrociato i dati di tre diversi studi per studiare la relazione tra strati di ghiaccio sempre più sottili ed i tassi di mortalità tra i cuccioli di foca.
Dal 1979 ad oggi la riduzione dei ghiacci artici è stata del 6% ogni dieci anni. Nel 2011 si stima che fino all’80% dei cuccioli di foca sia morto a causa della mancanza di ghiaccio.

L’IFAW chiede pertanto al Governo canadese di farla finita con la caccia alle foche, dal momento che non è più una misura necessaria per il contenimento della popolazione. E nemmeno commerciale, tanto più che l’UE, e da quest’anno anche la Russia, hanno bandito il commercio di pellicce di foca.


Via | PLoS ONE
Foto | Flickr


www.ecoblog.it

venerdì 6 gennaio 2012

Se diventa normale mangiare i delfini

Dal 1970 al 2009 almeno 92 specie di cetacei sono state mangiate dagli umani

Un delfino o una balena o un qualsiasi cetaceo per cena: nei Paesi più poveri aumenta la prassi di consumare mammiferi marini


MILANO - Ci sono posti nel mondo dove è normale che il socievole delfino o la maestosa balena o un leone marino compaiano nel menu. E il dato ancor più inquietante è che ormai questo comportamento si sta normalizzando anche in nazioni dove non esiste questa tradizione e i Paesi dove si possono mangiare mammiferi marini sono sempre più numerosi.

PAESI POVERI - Succede infatti nei soliti stati noti (Giappone e zone artiche), ma accade anche in Paesi indigenti, dove non esiste alcuna usanza culturale in questo senso, ma dove non ci si può permettere il lusso degli ideali né della sensibilità ecologica. Addirittura secondo una ricerca canadese e americana negli ultimi decenni uccidere i mammiferi marini per trasformarli in cibo è diventato un comportamento in netto aumento in tutto il mondo. E i maggiori responsabili sono spesso i pescatori di zone tropicali che catturano gli animali con le reti in aree nelle quali non esiste alcun controllo sulla pesca di animali protetti.

LO STUDIO - Secondo lo studio, pubblicato sul giornale Biological Conservation, «è ormai chiaro che il consumo di mammiferi marini da parte dell’uomo è geograficamente diffuso, tassonomicamente differenziato e spesso dall’incerta sostenibilità». Lo hanno scritto Martin Robards, della Wildlife Conservation Society dell’Alaska, e Randall Reeves, della canadese Okapi Wildlife Associates, autori della ricerca e palesemente allarmati per il fenomeno che mette in serio pericolo queste specie: «Dal 1990 una miriade di persone che vivono in almeno 114 Paesi hanno mangiato la carne di una o più delle 87 specie di mammiferi marini esistenti». Negli ultimi trenta anni in particolare il numero delle nazioni nelle quali è stato registrato il consumo a fini alimentari di questi animali è passato da 107 a 125 e a subire il maggiore incremento nel prelievo sono stati i piccoli cetacei, come i delfini e le focene. «La nostra ricerca evidenzia che a partire dagli anni Settanta si è verificata un’escalation nella cattura dei piccoli cetacei – scrivono ancora i due scienziati – catturati accidentalmente durante le normali attività di pesca. Dove invece il consumo è collegato alla povertà e al bisogno di cibo abbiamo le prove dell’uccisione deliberata di animali catturati sia incidentalmente che volontariamente, con attrezzi da pesca».

IL SEI PER CENTO - I mammiferi marini rappresentano il 6 per cento delle 1.400 specie che, dal mare, ogni giorno finiscono sulle nostre tavole. Il trend inesorabilmente crescente suggerisce che sia il tempo di agire, prima che una o più popolazioni vengano sterminate e cancellate dalla faccia della Terra. Tra i maggiori consumatori di delfini, balene, foche, leoni di mare e persino trichechi vi sono gli stati dell’Africa occidentale, il Perù, il Brasile, la Colombia, Trinidad e Tobago, il Madagascar, lo Sri Lanka, l’India, le Filippine e Burma.
Emanuela Di Pasqua

6 gennaio 2012
www.corriere.it

giovedì 5 gennaio 2012

La BB danneggiata


 
L’intercettore di Sea Shepherd seriamente danneggiato da un’onda devastante


La Steve Irwin risponde alla richiesta di aiuto lanciata dalla Brigitte Bardot.

Una devastante onda ha provocato danni allo scafo e ha seriamente compromesso una delle due traverse di accoppiamento tra lo scafo centrale e gli scafi laterali dell’intercettore veloce di Sea Shepherd, la Brigitte Bardot, mentre era all’inseguimento della flotta baleniera giapponese durante una terribile tempesta.

Il Capitano Paul Watson, a bordo della nave ammiraglia di Sea Shepherd, la Steve Irwin, riferisce che stanno affrontando un mare in tempesta per raggiungere la posizione della Brigitte Bardot che si troverebbe a circa 240 miglia a sudest. Si calcola ci vorranno circa 20 ore per raggiungere l’imbarcazione danneggiata.

La Brigitte Bardot si trova a 51° 42′ Sud e 99° 21′ Est, o a 1.500 miglia Sudovest di Fremantle, Australia Occidentale.

Il Capitano della Brigitte Bardot, il sudafricano Jonathan Miles Renecle, stava inseguendo la nave fattoria giapponese Nisshin Maru quando un’onda di sei metri si è infranta sulla parte sinistra dell’imbarcazione, danneggiandone lo scafo. La crepa, a causa delle continue e pressanti onde che si infrangono sullo scafo, sta continuando ad allargarsi.

Il Capitano Renecle è fiducioso sul fatto che la nave riesca a galleggiare fino all’arrivo della Steve Irwin. L’equipaggio della Brigitte Bardot è composto da dieci persone: tre inglesi, tre americani, un australiano, un canadese, un belga e un sudafricano.

L’altra nave di Sea Shepherd, la Bob Barker continuerà l’inseguimento della flotta baleniera. La Steve Irwin assisterà la Brigitte Bardot, innanzitutto per assicurarsi che l’equipaggio sia sano e salvo e poi per scortare l’imbarcazione fino a Fremantle per le riparazioni.

“È un brutto colpo, ma questi sono mari difficili mari ostili e noi siamo sempre preparati ad affrontare situazioni come queste”, dice il Capitano Paul Watson dalla Steve Irwin. “Attualmente la sicurezza del mio equipaggio a bordo della Brigitte Bardot è la sola nostra priorità e poi vedremo cosa si potrà fare per salvare la nave”.

“Tutto ciò è deludente ma questi sono mari ostili e siamo sempre stati preparati per situazioni come questa”, ha dichiarato il Capitano Paul Watson dalla Steve Irwin, “Attualmente la nostra priorità è la sicurezza del mio equipaggio a bordo della Brigitte Bardot e abbiamo intenzione di raggiungerlo e di fare ciò che possiamo per salvare la nostra nave”.


News di Sea Shepherd

(Foto di Photomage su Flickr)

domenica 1 gennaio 2012

Vivisezione, incontro a Mestre

di Macri Puricelli 
vivisezione_13.jpg  Marco Mamone Capria insegna matematica all'Università di Perugia. Ma è noto non solo per aver collaborato  all'inchiesta di Report, Uomini e topi (qui sotto il video di quella puntata), ma anche per aver raccolto l'eredità morale del padre dell'antivivisezionismo scientifico, Hans Ruesch.


Era il 1976 quando nel libro Imperatrice nuda Ruesch lanciò un radicale atto di accusa alle basi scientifiche della vivisezione. La conclusione cui arrivò è che non esiste alcun motivo valido - al di là di spinte carrierieristiche o di profitto delle case farmaceutiche - per sperimentare su animali.

Imperatrice nuda fu un testo decisivo. Di svolta. Sia a livello scientifico che politico.E diede nuove armi al movimento animalista. Andò peggio a Ruesch che venne boicottato in mille modi.

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Mamone - che rilancia le motivazioni dello studioso, cura anche i suoi ultimi libri, La medicina smascherata e La figlia dell'imperatrice ed è presidente della Fondazione Hans Ruesch per una Medicina Senza Vivisezione - è ospite sabato 17 dicembre alle 20.30 dell'associazione Veganzi di Mestre.

Tema dell'incontro, "La vivisezione: una bancarotta scientifica ed etica".Appuntamento al Centro Culturale Città Aperta in via Col Moschin 20, angolo via Felisati,a Mestre.


Per informazioni: veganzi@libero.it