Musica e dieta per accoppiamento panda
Edimburgo, fallito primo tentativo in 2012 per ansia prestazione
La prima volta, nel 2012, non e' andata in porto per ansia da
prestazione del maschio Yang. Si passa quindi ad una nuova strategia:
musica, dieta e relax per far accoppiare gli unici due panda nel Regno
Unito, Yang Guan e Tian Tian, da cui potrebbe nascere il primo esemplare
della specie nel Paese. Allo zoo di Edimburgo ci stanno provando da un
anno e non si danno per vinti, riponendo le speranze anche nella musica,
che dovrebbe dar loro l'umore giusto per accoppiarsi.
24 febbraio 2013
ANSA
domenica 24 febbraio 2013
sabato 23 febbraio 2013
SONO 45 I DELFINI MORTI DA GENNAIO IN ITALIA
Ancora una vittima a Civitavecchia.
22 febbraio 2013 - La 'malattia dei delfini' continua a uccidere e salgono così a 45 - contando la piccola morta nel porto di Civitavecchia - i casi di 'stenella coeruleoalba' trovati morti sulle spiagge del Tirreno dai primi di gennaio, contro una media di quattro casi l'anno. Lo spiega il ministero dell'Ambiente ricordando che altre due carcasse di 'stenella striata' sono state scoperte ieri sulle spiagge del Lazio, a Terracina e Sperlonga.
La giovanissima delfina morta ieri mentre nuotava nella darsena da pescherecci del porto di Civitavecchia è stata al centro di "una coinvolgente operazione di soccorso cui hanno assistito decine di persone e, al largo, anche il branco di stenelle cui apparteneva".
Secondo il ministero dell'Ambiente le prime indicazioni fanno pensare che gli animali siano vittime di infezioni batteriche, ma solamente analisi accurate potranno stabilire con certezza il motivo della strage dei delfini. La causa più probabile potrebbe essere di natura infettiva (in numerose carcasse è stata rinvenuta traccia di un batterio, photobacterium damselae, che può portare a sindrome emolitica e lesioni ulcerative). Per questo motivo nelle prossime settimane i ricercatori approfondiranno l'eventuale presenza di virus e l'eventuale fioritura di alghe anomale.
La cucciola di delfina, circa un anno d'età - spiega il ministero - aveva appena finito lo svezzamento; forse era la figlia di una delle delfine morte in questi giorni, rimasta così senza madre. L'animale è stato notato alla prima luce dell'alba da un biologo marino; si aggirava sofferente e indebolito nella darsena pescherecci di Civitavecchia. E' intervenuta la Guardia costiera-Capitaneria di porto, con un battello, aiutata da Finanza, pompieri e dai vigili urbani di Civitavecchia che hanno trattenuto la folla di curiosi. Erano molti i delfini che, al largo, hanno assistito al tentativo di salvataggio. L'obiettivo del recupero era restituire l'animale al suo branco.
"La morte anche di un solo delfino, se non avvenuta per cause naturali, rappresenta una perdita intollerabile" ha commentato il presidente di Marevivo, Rosalba Giugni ricordando che "la conservazione della biodiversità è basilare per la vita sul Pianeta".
(ANSA)
Ancora una vittima a Civitavecchia.
22 febbraio 2013 - La 'malattia dei delfini' continua a uccidere e salgono così a 45 - contando la piccola morta nel porto di Civitavecchia - i casi di 'stenella coeruleoalba' trovati morti sulle spiagge del Tirreno dai primi di gennaio, contro una media di quattro casi l'anno. Lo spiega il ministero dell'Ambiente ricordando che altre due carcasse di 'stenella striata' sono state scoperte ieri sulle spiagge del Lazio, a Terracina e Sperlonga.
La giovanissima delfina morta ieri mentre nuotava nella darsena da pescherecci del porto di Civitavecchia è stata al centro di "una coinvolgente operazione di soccorso cui hanno assistito decine di persone e, al largo, anche il branco di stenelle cui apparteneva".
Secondo il ministero dell'Ambiente le prime indicazioni fanno pensare che gli animali siano vittime di infezioni batteriche, ma solamente analisi accurate potranno stabilire con certezza il motivo della strage dei delfini. La causa più probabile potrebbe essere di natura infettiva (in numerose carcasse è stata rinvenuta traccia di un batterio, photobacterium damselae, che può portare a sindrome emolitica e lesioni ulcerative). Per questo motivo nelle prossime settimane i ricercatori approfondiranno l'eventuale presenza di virus e l'eventuale fioritura di alghe anomale.
La cucciola di delfina, circa un anno d'età - spiega il ministero - aveva appena finito lo svezzamento; forse era la figlia di una delle delfine morte in questi giorni, rimasta così senza madre. L'animale è stato notato alla prima luce dell'alba da un biologo marino; si aggirava sofferente e indebolito nella darsena pescherecci di Civitavecchia. E' intervenuta la Guardia costiera-Capitaneria di porto, con un battello, aiutata da Finanza, pompieri e dai vigili urbani di Civitavecchia che hanno trattenuto la folla di curiosi. Erano molti i delfini che, al largo, hanno assistito al tentativo di salvataggio. L'obiettivo del recupero era restituire l'animale al suo branco.
"La morte anche di un solo delfino, se non avvenuta per cause naturali, rappresenta una perdita intollerabile" ha commentato il presidente di Marevivo, Rosalba Giugni ricordando che "la conservazione della biodiversità è basilare per la vita sul Pianeta".
(ANSA)
venerdì 22 febbraio 2013
RICERCA: SCOPERTI I "GRANDI VIAGGI" DEGLI SQUALI PINNA BIANCA
Percorrono fino a 2000 chilometri.
22 feb 13 - Squali pinna bianca, grandi viaggiatori degli oceani. Una nuova ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Plos One, ha messo in evidenza come questi grandi predatori dei mari percorrano fino a 2.000 chilometri durante le loro 'gite' fuori dalle isole Bahamas, dove possono essere solitamente osservati. I risultati dell'analisi, svolta attraverso un monitoraggio via satellite degli squali lunga 245 giorni, hanno rivelato come questi pesci attraversino abitualmente i confini internazionali, correndo così più rischi per la propria sopravvivenza.
"Anche se questi squali sono relativamente al sicuro dalla pesca nelle acque delle Bahamas, il nostro studio dimostra che il loro raggio di azione li porta oltre i confini dei diversi paesi e in alto mare, dove ancora si incontrano attrezzi da pesca fissati per altre specie", ha spiegato l'autore dello studio Demian Chapman, biologo marino della Stony Brook University di New York.
In particolare, è stato scoperto che mentre tre degli squali 'sotto osservazione' sono rimasti nell'area vicino alle Bahamas, altri cinque hanno viaggiato molto al di fuori della giurisdizione dell'arcipelago, arrivando fino alle Bermuda. Un risultato questo che suggerisce, secondo i ricercatori, la necessità di un maggiore "sforzo globale" per la conservazione della specie.
"Se vogliamo continuare a vedere questi animali nei nostri oceani, le nazioni dovranno lavorare insieme per proteggere questa specie", ha commentato Chapman.
(ANSA)
Percorrono fino a 2000 chilometri.
22 feb 13 - Squali pinna bianca, grandi viaggiatori degli oceani. Una nuova ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Plos One, ha messo in evidenza come questi grandi predatori dei mari percorrano fino a 2.000 chilometri durante le loro 'gite' fuori dalle isole Bahamas, dove possono essere solitamente osservati. I risultati dell'analisi, svolta attraverso un monitoraggio via satellite degli squali lunga 245 giorni, hanno rivelato come questi pesci attraversino abitualmente i confini internazionali, correndo così più rischi per la propria sopravvivenza.
"Anche se questi squali sono relativamente al sicuro dalla pesca nelle acque delle Bahamas, il nostro studio dimostra che il loro raggio di azione li porta oltre i confini dei diversi paesi e in alto mare, dove ancora si incontrano attrezzi da pesca fissati per altre specie", ha spiegato l'autore dello studio Demian Chapman, biologo marino della Stony Brook University di New York.
In particolare, è stato scoperto che mentre tre degli squali 'sotto osservazione' sono rimasti nell'area vicino alle Bahamas, altri cinque hanno viaggiato molto al di fuori della giurisdizione dell'arcipelago, arrivando fino alle Bermuda. Un risultato questo che suggerisce, secondo i ricercatori, la necessità di un maggiore "sforzo globale" per la conservazione della specie.
"Se vogliamo continuare a vedere questi animali nei nostri oceani, le nazioni dovranno lavorare insieme per proteggere questa specie", ha commentato Chapman.
(ANSA)
Lo scarabeo stercorario si orienta con la Via Lattea
Il coleottero dai discutibili gusti alimentari
sarebbe l'unico animale finora scoperto in grado di "navigare" guardando
le stelle
di Christine Dell'Amore
Uno scarabeo stercorario spinge la sua palla di sterco in Sudafrica. Fotografia per gentile concessione Eric Warrant
Dalla notte dei tempi, l'uomo si sposta seguendo le stelle... ma gli scarabei stercorari? Un recente studio mostra che questi coleotteri si orientano seguendo la Via Lattea, un comportamento osservato per la prima volta nell'intero regno animale.
Questi insetti prendono come punto di riferimento per i loro spostamenti la brillante striscia luminosa generata dalla nostra galassia, e si spostano lungo la linea corrispondente, come dimostra un esperimento condotto di recente in Sudafrica.
“Orientarsi in questo modo è davvero un'impresa, ed è sorprendente che riesca a farlo un animale così piccolo", dice il biologo dell'università svedese di Lund Eric Warrant, uno dei firmatari della ricerca.
Spostarsi seguendo una linea retta è essenziale per gli scarabei stercorari, che vivono in un mondo in cui la competizione per gli escrementi è feroce. I maschi di questi coleotteri, dopo aver individuato un mucchio di escrementi freschi, formano pazientemente delle palle di sterco e, rotolandole, le spingono il più lontano possibile dal mucchio affollato da altri scarabei, spesso portando con sé una femmina. La coppia seppellisce la palla di sterco, che in seguito diventerà
la fonte di nutrimento della loro prole.
Ma non sempre le cose vanno così lisce. Attorno al mucchio di escrementi spesso sono appostati altri scarabei pronti a "scippare" una palla di sterco appena fatta.
Ed è questa la ragione per cui gli scarabei hanno necessità di trovare la via che consenta loro di allontanarsi il più in fretta possibile dal mucchio.
“Se rotolano tornando verso la pila di sterco, è finita", dice Warrant. Se altri scarabei riescono a rubare una palla già fatta, il malcapitato deve ricominciare da capo un'operazione che per questi coleotteri richiede un importante investimento di energie.
Occhi al cielo
Gli studiosi già sapevano che gli scarabei stercorari riuscivano ad allontanarsi lungo un linea retta rilevando uno schema simmetrico di luce polarizzata che appare attorno al sole. Noi non possiamo vederlo ma gli insetti si, grazie a speciali fotorecettori di cui sono dotati i loro occhi.
Non era chiaro invece quali segnali fossero in grado di utilizzare di notte; quindi Warrant e i suoi colleghi si sono recati in Sudafrica per osservare il comportamento notturno dello scarabeo stercorario Scarabaeus satyrus attorno a mucchi di escrementi piazzati appositamente dai ricercatori.
Le prime osservazioni sono state sorprendenti: S. satyrus sembrava in grado di far rotolare una palla di sterco in linea retta anche durante notti senza luna, "il che ci ha messo in difficoltà: non sapevamo che spiegazione darci”, dice Warrant. "Poi ci è venuto in mente che potessero utilizzare le stelle: e così era".
Tanto di cappello
Per verificare la loro ipotesi, gli studiosi hanno messo i coleotteri sopra una specie di tavola recintata, e hanno osservato come gli insetti reagissero in diverse situazioni del cielo. Hanno ricevuto così la conferma che anche durante notti chiare e senza luna, riuscivano a spostare le sfere di sterco lunga una linea retta.
Per dimostrare che usavano come riferimento la Via Lattea, i ricercatori hanno portato la tavola al Planetarium di Johannesburg, scoprendo che gli scarabei riuscivano a orientarsi perfettamente sia con un cielo pieno di stelle che solo con la Via Lattea.
Infine, a ulteriore conferma delle loro osservazioni, hanno posto sulla testa dei coleotteri impiegati nello studio una sorta di "visiera" di cartone che impediva loro la visuale del cielo: gli scarabei continuavano a girare attorno senza meta, riferisce lo studio, pubblicato sulla rivista Current Biology.
Gira la balla
Warrant è convinto che anche altre specie di scarabei stercorari di altre parti del mondo siano in grado di orientare i loro spostamenti grazie alla Via Lattea, benché la galassia sia più visibile nell'emisfero meridionale. Non solo: secondo lo studioso, "è probabile che anche altri insetti abbiano questa capacità, come ad esempio i lepidotteri migratori”.
Quando a lavorare con gli scarabei stercorari, "è stato facilissimo", aggiunge Warrant: "puoi fargli fare ciò che vuoi e loro non smettono mai di fare rotolare la loro palla”.
http://www.nationalgeographic.it
giovedì 21 febbraio 2013
PRIMA VOLTA, DOCUMENTATA NASCITA DI UN ARMADILLO GIGANTE
Lo riporta la Bbc.
Documentata per la prima volta in Brasile la nascita di uno dei piu' rari animali del Sud America, l'armadillo gigante. Gli animali a rischio estinzione sono stati osservati grazie all'installazione nelle tane solitarie di macchine fotografiche automatiche. Dalle immagini, riporta la Bbc, si evincono chiaramente le fasi dell'accoppiamento tra un esemplare maschio e una femmina di armadillo gigante. Nei mesi successivi le fotografie hanno testimoniato, passo dopo passo, la nascita di un cucciolo, trasferitosi con la mamma in un'altra tana subito dopo essere stato messo al mondo. La documentazione e' parte del Pantanal Giant Armadillo Project, un progetto di conservazione coordinato, tra gli altri, dalla Royal Zoological Society of Scotland e da una ong brasiliana, l'IPE Institute for Ecological Research.
L'armadillo gigante (Priodontes maximus) e' la piu' grande delle specie di armadillo esistente, puo' arrivare a pesare oltre cinquanta chilogrammi. Il mammifero si nutre di formiche e termiti e nonostante si trovi in gran parte del Sud America le informazioni sulle sue abitudini e comportamenti sono piuttosto esigue dato che tende a vivere nascosto e si incrocia raramente. L'armadillo gigante e' attualmente classificato come vulnerabile nella lista rossa dell'Unione internazionale per la Conservazione della Natura. Il progetto e' il primo studio ecologico a lungo termine sugli armadilli giganti nella zona umida brasiliana di Pantanal.
21 feb 13
(AGI)
Lo riporta la Bbc.
Documentata per la prima volta in Brasile la nascita di uno dei piu' rari animali del Sud America, l'armadillo gigante. Gli animali a rischio estinzione sono stati osservati grazie all'installazione nelle tane solitarie di macchine fotografiche automatiche. Dalle immagini, riporta la Bbc, si evincono chiaramente le fasi dell'accoppiamento tra un esemplare maschio e una femmina di armadillo gigante. Nei mesi successivi le fotografie hanno testimoniato, passo dopo passo, la nascita di un cucciolo, trasferitosi con la mamma in un'altra tana subito dopo essere stato messo al mondo. La documentazione e' parte del Pantanal Giant Armadillo Project, un progetto di conservazione coordinato, tra gli altri, dalla Royal Zoological Society of Scotland e da una ong brasiliana, l'IPE Institute for Ecological Research.
L'armadillo gigante (Priodontes maximus) e' la piu' grande delle specie di armadillo esistente, puo' arrivare a pesare oltre cinquanta chilogrammi. Il mammifero si nutre di formiche e termiti e nonostante si trovi in gran parte del Sud America le informazioni sulle sue abitudini e comportamenti sono piuttosto esigue dato che tende a vivere nascosto e si incrocia raramente. L'armadillo gigante e' attualmente classificato come vulnerabile nella lista rossa dell'Unione internazionale per la Conservazione della Natura. Il progetto e' il primo studio ecologico a lungo termine sugli armadilli giganti nella zona umida brasiliana di Pantanal.
21 feb 13
(AGI)
Avvistamenti di balenottera nel Mar di Sardegna anche in inverno
Durante la campagna invernale di monitoraggio cetacei da traghetto, nella regione marina del Mediterraneo Occidentale, sono statti avvistati numerosi esemplari di balenottera nel Mar di Sardegna, la parte di mare compresa tra l'isola italiana della Sardegna e l'arcipelago spagnolo delle Baleari. Gli avvistamenti avvengono lungo il transetto marino transfrontaliero che da Civitavecchia arriva a Barcellona attraversando così le acque giurisdizionali di tre paesi Italia, Francia e Spagna. La ricerca è inserita all’interno di un network internazionale che monitora i cetacei utilizzando navi e traghetti di linea come piattaforme di osservazione.
“L’utilizzo di grandi navi per il monitoraggio dei cetacei”, spiega la ricercatrice Stefania Carcassi dell’Accademia del Leviatano “permette di poter monitorare aree di mare alto difficilmente raggiungibili con i normali mezzi di ricerca durante tutto l’anno e non solo in estate, stagione nella quale si limitano gran parte delle osservazioni marine”. Sempre nel mar di Sardegna, infatti, sono stati avvistati capodogli, globicefali, zifi e grampi oltre che comuni tursiopi e stenelle.
Nello specifico la campagna di monitoraggio invernale del Mediterraneo Occidentale è resa possibile grazie alle navi della Grimaldi lines. Il transetto marino, attraversa aree di mare con diversa morfologia e batimetria, passa anche per le Bocche di Bonifacio permettendo così di monitorare anche questo tratto di mare dove, per la sua vulnerabilità legata al trasporto marittimo, è stata istituita la prima PSSA del Mediterraneo. Proprio allo sbocco delle Bocche di Bonifacio nel Mar di Sardegna (monitorate in estate anche lungo la rotta S. Teresa di Gallura - Bonifacio) all’altezza dell’Isola dell’Asinara sono avvenuti in numerosissimi avvistamenti di balenottere.
“I traghetti sono ottime piattaforme per gli avvistamenti in mare di cetacei, tartarughe, uccelli marini e macro rifiuti marini”, ci dice Anna Ruvolo che insieme ad altre ricercatrici dell’università di Pisa hanno monitorato per quattro anni consecutivi il tratto di mare tra Livorno e Bastia nel Santuario di Pelagos. “In particolare”, aggiunge la dott.ssa Ruvolo “stiamo adattando un protocollo per monitorare il marine litter da traghetto, come già avviene in altri contesti internazionali. Il marine macro litter, infatti, oltre ad avere un impatto negativo sul turismo è anche molto pericoloso sia per plastiche che vengono ingerite sia per le reti fantasma che si aggrovigliano a volte intorno a cetacei e tartarughe”.
Al network di ricerca, coordinato da ISPRA, operante in particolare nell'area del Santuario Pelagos, partecipano diversi enti di ricerca italiani e francesi oltre che due diverse compagnie di traghetti la Grimaldi Lines e la Corsica-Sardinia Ferries.
Accademia del Leviatano
Ente per lo studio e conservazione dei Mammiferi Marini.
blog: http://lericerchedelleviatano.blogspot.com/
webpage: http://www.accademiadelleviatano.org/
Durante la campagna invernale di monitoraggio cetacei da traghetto, nella regione marina del Mediterraneo Occidentale, sono statti avvistati numerosi esemplari di balenottera nel Mar di Sardegna, la parte di mare compresa tra l'isola italiana della Sardegna e l'arcipelago spagnolo delle Baleari. Gli avvistamenti avvengono lungo il transetto marino transfrontaliero che da Civitavecchia arriva a Barcellona attraversando così le acque giurisdizionali di tre paesi Italia, Francia e Spagna. La ricerca è inserita all’interno di un network internazionale che monitora i cetacei utilizzando navi e traghetti di linea come piattaforme di osservazione.
“L’utilizzo di grandi navi per il monitoraggio dei cetacei”, spiega la ricercatrice Stefania Carcassi dell’Accademia del Leviatano “permette di poter monitorare aree di mare alto difficilmente raggiungibili con i normali mezzi di ricerca durante tutto l’anno e non solo in estate, stagione nella quale si limitano gran parte delle osservazioni marine”. Sempre nel mar di Sardegna, infatti, sono stati avvistati capodogli, globicefali, zifi e grampi oltre che comuni tursiopi e stenelle.
Nello specifico la campagna di monitoraggio invernale del Mediterraneo Occidentale è resa possibile grazie alle navi della Grimaldi lines. Il transetto marino, attraversa aree di mare con diversa morfologia e batimetria, passa anche per le Bocche di Bonifacio permettendo così di monitorare anche questo tratto di mare dove, per la sua vulnerabilità legata al trasporto marittimo, è stata istituita la prima PSSA del Mediterraneo. Proprio allo sbocco delle Bocche di Bonifacio nel Mar di Sardegna (monitorate in estate anche lungo la rotta S. Teresa di Gallura - Bonifacio) all’altezza dell’Isola dell’Asinara sono avvenuti in numerosissimi avvistamenti di balenottere.
“I traghetti sono ottime piattaforme per gli avvistamenti in mare di cetacei, tartarughe, uccelli marini e macro rifiuti marini”, ci dice Anna Ruvolo che insieme ad altre ricercatrici dell’università di Pisa hanno monitorato per quattro anni consecutivi il tratto di mare tra Livorno e Bastia nel Santuario di Pelagos. “In particolare”, aggiunge la dott.ssa Ruvolo “stiamo adattando un protocollo per monitorare il marine litter da traghetto, come già avviene in altri contesti internazionali. Il marine macro litter, infatti, oltre ad avere un impatto negativo sul turismo è anche molto pericoloso sia per plastiche che vengono ingerite sia per le reti fantasma che si aggrovigliano a volte intorno a cetacei e tartarughe”.
Al network di ricerca, coordinato da ISPRA, operante in particolare nell'area del Santuario Pelagos, partecipano diversi enti di ricerca italiani e francesi oltre che due diverse compagnie di traghetti la Grimaldi Lines e la Corsica-Sardinia Ferries.
Accademia del Leviatano
Ente per lo studio e conservazione dei Mammiferi Marini.
blog: http://lericerchedelleviatano.blogspot.com/
webpage: http://www.accademiadelleviatano.org/
martedì 19 febbraio 2013
Flotta baleniere Giappone uccide in acque australiane
Sydney, 19 febbraio 2013 - Gli attivisti del gruppo ecologista radicale Sea Shepherd denunciano che la flotta baleniera giapponese ha ucciso venerdì scorso una balena dal rostro (minke) di grandi dimensioni in acque territoriali australiane al largo dell'Antartide, presso la base di ricerca Davis. Foto dell'incidente sono state diffuse sul sito web del gruppo, che con una flotta di quattro navi attrezzate con droni ed elicotteri e con a bordo oltre 120 manifestanti-marinai, ostacola come in ogni estate australe la caccia 'scientifica' dei giapponesi in acque antartiche.
Il fondatore del gruppo e comandante della flotta di protesta, Paul Watson, ha detto che quando gli attivisti hanno cercato di bloccare il trasferimento della carcassa arpionata da una nave all'altra, i balenieri adirati hanno cercato di speronare la loro nave. "Erano nettamente dentro la zona economica esclusiva dell'Australia, che è designata come santuario nazionale delle balene", ha aggiunto.
Secondo il ministro dell'Ambiente Tony Burke "il punto cruciale non è in quale parte d'oceano avvenga l'uccisione: la posizione dell'Australia è che è comunque illegale. Per questo abbiamo citato in giudizio il Giappone presso la Corte internazionale di giustizia". "Sarebbe insostenibile seguire la strada di argomentare che in parte dell'oceano è accettabile uccidere balene e non in altre parti".
(ANSA)
Sydney, 19 febbraio 2013 - Gli attivisti del gruppo ecologista radicale Sea Shepherd denunciano che la flotta baleniera giapponese ha ucciso venerdì scorso una balena dal rostro (minke) di grandi dimensioni in acque territoriali australiane al largo dell'Antartide, presso la base di ricerca Davis. Foto dell'incidente sono state diffuse sul sito web del gruppo, che con una flotta di quattro navi attrezzate con droni ed elicotteri e con a bordo oltre 120 manifestanti-marinai, ostacola come in ogni estate australe la caccia 'scientifica' dei giapponesi in acque antartiche.
Il fondatore del gruppo e comandante della flotta di protesta, Paul Watson, ha detto che quando gli attivisti hanno cercato di bloccare il trasferimento della carcassa arpionata da una nave all'altra, i balenieri adirati hanno cercato di speronare la loro nave. "Erano nettamente dentro la zona economica esclusiva dell'Australia, che è designata come santuario nazionale delle balene", ha aggiunto.
Secondo il ministro dell'Ambiente Tony Burke "il punto cruciale non è in quale parte d'oceano avvenga l'uccisione: la posizione dell'Australia è che è comunque illegale. Per questo abbiamo citato in giudizio il Giappone presso la Corte internazionale di giustizia". "Sarebbe insostenibile seguire la strada di argomentare che in parte dell'oceano è accettabile uccidere balene e non in altre parti".
(ANSA)
Abbassare 'volume' oceani per salvare balene
Scienziati al lavoro per ridurre rumore navi in Nord Atlantico
ROMA - E' necessario abbassare il 'volume' degli oceani per salvare le balene. Per questo, gli scienziati stanno lavorando al modo per ridurre il rumore prodotto dalle navi commerciali nel nord Atlantico, che rende difficile la comunicazione e la ricerca del cibo ai grandi cetacei. L'allarme arriva da uno studio presentato in occasione della riunione annuale dell'American Association for the Advancement of Science (AAAS), che rileva come il 'frastuono' negli oceani si e' raddoppiato ogni decennio negli ultimi 30 anni.
Gli effetti sulle balene sono devastanti: secondo quanto riporta la BBC, il rumore riduce la capacita' dei cetacei di comunicare tra loro influendo conseguentemente su attivita' importanti come l'accoppiamento e la ricerca di cibo. ''E 'come se si cercasse di parlare ad una festa: tutto ad un tratto diventa difficile sentire ed ascoltare gli altri perche' c'e' un forte rumore di fondo'', ha spiegato Mark Baumgartner del Woods Hole Oceanographic Institution statunitense. Dalle analisi e' emerso inoltre come ogni anno il traffico marittimo della zona porti alla morte, per scontro diretto con le navi, di almeno due balene sulle 500 totali che i ricercatori pensano siano presenti allo stato selvatico. Per questo motivo i ricercatori del National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), in collaborazione con le autorita' portuali di Boston, sono riusciti a fare modificare alcune rotte commerciali.
ANSA
Scienziati al lavoro per ridurre rumore navi in Nord Atlantico
ROMA - E' necessario abbassare il 'volume' degli oceani per salvare le balene. Per questo, gli scienziati stanno lavorando al modo per ridurre il rumore prodotto dalle navi commerciali nel nord Atlantico, che rende difficile la comunicazione e la ricerca del cibo ai grandi cetacei. L'allarme arriva da uno studio presentato in occasione della riunione annuale dell'American Association for the Advancement of Science (AAAS), che rileva come il 'frastuono' negli oceani si e' raddoppiato ogni decennio negli ultimi 30 anni.
Gli effetti sulle balene sono devastanti: secondo quanto riporta la BBC, il rumore riduce la capacita' dei cetacei di comunicare tra loro influendo conseguentemente su attivita' importanti come l'accoppiamento e la ricerca di cibo. ''E 'come se si cercasse di parlare ad una festa: tutto ad un tratto diventa difficile sentire ed ascoltare gli altri perche' c'e' un forte rumore di fondo'', ha spiegato Mark Baumgartner del Woods Hole Oceanographic Institution statunitense. Dalle analisi e' emerso inoltre come ogni anno il traffico marittimo della zona porti alla morte, per scontro diretto con le navi, di almeno due balene sulle 500 totali che i ricercatori pensano siano presenti allo stato selvatico. Per questo motivo i ricercatori del National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), in collaborazione con le autorita' portuali di Boston, sono riusciti a fare modificare alcune rotte commerciali.
ANSA
sabato 16 febbraio 2013
ORSO MARSICANO, PARCO CONTRO RIPRODUZIONE IN CATTIVITA'
Parte un appello per sottoporre l'orso marsicano, di cui restano circa 40 esemplari, a un programma di captive breeding.
15 feb 13 - Una definizione di specie ombrello è: "specie che occupa un grande areale e la cui protezione garantisce quella di altre specie che ne condividono l'habitat". Insomma, proteggi uno per salvarne cento.
Questa definizione si adatta magistralmente al più grande carnivoro presente in Europa, l'orso bruno, presente addirittura con due sottospecie in Italia: l'orso bruno europeo (Ursus arctos arctos), sulle Alpi del Nord-Est in un'area compresa tra il Trentino la Carinzia e la Slovenia e l'orso marsicano (Ursus arctos marsicanus) in Centro Italia, in Abruzzo, Lazio e Molise. La popolazione del nord-est, grazie ad un sapiente programma di reintroduzione a opera del Parco dell'Adamello-Brenta, è oggi in ripresa e mostra un marcato aumento demografico, al punto di sollevare qualche perplessità tra i residenti della zona; la popolazione dell'Italia centrale invece è in stasi, con un numero di individui stimato intorno alla quarantina di individui che non varia da alcune decadi.
Nel tentativo di scuotere questo status quo, all'inizio di gennaio 2013 Corradino Guacci, presidente della Società di Storia della Fauna "Giuseppe Altobello", ha lanciato un appello in rete per spingere le autorità del Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM) ad iniziare un programma di "captive breeding", ossia riproduzione in cattività: "Riteniamo siano maturi i tempi per valutare e porre concretamente in essere un progetto di allevamento, in condizioni controllate, dell'orso marsicano", recita il comunicato della Società. "Avvalendosi anche della rete internazionale dei giardini zoologici, e delle specifiche competenze lì esistenti, si potrà costituire uno stock genetico utile sia per favorire la diffusione della specie che per interventi di reintroduzione nel caso si verificasse un crollo attuale della popolazione".
Il captive breeding è un intervento molto diffuso negli zoo di tutto il mondo per salvare specie sull'orlo dell'estinzione: basti ricordare il salvataggio di specie quali l'orice del deserto o il cavallo di Przewalski, solo per citare due tra i grandi mammiferi salvati in questo modo e attualmente in ripresa nel loro ambiente naturale, dopo interventi di risanamento sull'habitat e sulla popolazione per garantire che gli animali non vengano più cacciati. "Con tutti gli orsi che sono passati in questi anni per il giardino zoologico del Parco a Pescasseroli, perché non si è provato a farli riprodurre?", si chiede Guacci. "Mi risulta che la riproduzione degli orsi in cattività non presenta alcun tipo di problema. Ma, ripeto, sono domande che rivolgo agli esperti e dai quali mi piacerebbe avere delle risposte".
La risposta degli esperti, ovvero delle autorità del PNALM, arriva qualche giorno dopo tramite un comunicato stampa, ed è negativa: "L'Ente Parco, prendendo atto dello spirito positivo che anima l'iniziativa e ringraziando la Società Altobello per l'attenzione che dimostra per l'orso marsicano e i suoi problemi, ritiene per ora non praticabile quanto proposto, per ragioni di carattere logistico e per ragioni etiche e di conservazione".
"Se è vero, come è vero", riporta ancora il comunicato, "che l'esigua popolazione di orso marsicano, di 40-50 esemplari, è la stessa degli anni Ottanta del secolo scorso, ciò significa che comunque per un certo numero di anni è stata assicurata la vita ad almeno un numero minimo di esemplari, grazie all'opera, seppure parziale, del Parco Nazionale. Non si comprende pertanto per quale motivo si debba o si possa ritenere ormai praticamente perduta la battaglia per l'orso marsicano. È evidente comunque che qualcosa non va, se il rischio di estinzione resta immutato e il numero di individui non aumenta, anzi si teme possa diminuire. Si tratta, forse, di ricorrere alla adozione di adeguati e a volte più decisi provvedimenti di conservazione, che non sempre è facile individuare e soprattutto fare accettare agli umani destinatari".
Infine, conclude il comunicato, "meglio lasciare il maschio e la femmina liberi di accoppiarsi e riprodursi nelle foreste del Parco, considerato che a oggi la popolazione ha femmine fertili", e ancora: "Prima di pensare a riproduzioni in cattività, qualora ve ne fosse bisogno, è opportuno e necessario operare con il massimo impegno per eliminare gli attuali problemi dell'orso marsicano [...] Andrebbero ad esempio considerate il maggior il controllo delle riserve integrali [sic], evitandone qualsiasi tipo di utilizzo economico per assicurare quiete e tranquillità all'orso e il miglioramento dell'accesso alle risorse alimentari anche sperimentando o tornando a sperimentare qualche intervento di allevamento e coltivazione tradizionali. Sarebbe poi necessario regolamentare in modo più deciso il pascolo del bestiame domestico per favorire l'antico allevamento ovino e scoraggiare il pascolo brado".
Dato che non era chiaro come mai il Parco non abbia già messo in atto queste semplici misure negli ultimi 30 anni, visto che si trattava della salvaguardia della loro specie ombrello, abbiamo rivolto qualche domanda direttamente alle autorità del PNALM.
Dopo un lungo periodo di riflessione, Dario Febbo, direttore del parco, ha così illuminato la natura del problema: "Attualmente i fondi per la protezione dell'orso sono quelli provenienti dal bilancio dell'Ente Parco e quelli derivanti dall'attuazione del progetto Life-Arctos finanziato dall'Unione Europea. [I fattori demografici limitanti sono] una piccola popolazione [...] vivente in un ambito naturale limitato [...], un ridotto numero di femmine riproduttrici e una bassa variabilità genetica con problematiche legati all'imbreeding, [...] lunghe cure parentali, [...] alta mortalità dei cuccioli nel primo anno di vita, superiore al 50%, [...] elevata mortalità dovuta a cause antropiche, [...] problematiche sanitarie legate alla compresenza di animali domestici. Il progetto Life-Arctos in atto sta intervenendo per rimuovere i fattori derivanti da cause antropiche [...]; i fattori su cui non si può intervenire, almeno direttamente, sono quelli legati alla biologia propria del plantigrado. I progetti relativi sono quelli contenuti nel progetto Life-Arctos dell'Unione Europea, mentre altre azioni, come per es. la sorveglianza sono attuati con fondi dell'Ente Parco. Il Parco non ritiene che per ora sia necessario un programma di captive-breeding per l'orso bruno marsicano, sia perché questo presenta degli aspetti tecnici di difficile soluzione, se non insormontabili (infatti non ci risulta che ad oggi sia stato mai attuato per il genere Ursus), ma, soprattutto, perché prima di questo è necessario rimuovere tutti i fattori limitanti che condizionano la crescita della popolazione. [...] Il Patom è al momento l'unico Piano di Gestione a lungo termine e a larga scala e il progetto ARCTOS garantirà la realizzazione di molte delle azioni previste dal Piano".
Ci si chiede: come mai è possibile il captive breeding del panda, specie che notoriamente ha serie difficoltà a riprodursi, ma non quello dell'orso bruno? È il caso di aspettare di avere un ambiente naturale perfetto prima di cominciare a considerare strade alternative? Siamo sicuri che il PNALM stia facendo il massimo per assicurare la sopravvivenza della sua specie ombrello?
Lisa Signorile - nationalgeographic.it
Parte un appello per sottoporre l'orso marsicano, di cui restano circa 40 esemplari, a un programma di captive breeding.
15 feb 13 - Una definizione di specie ombrello è: "specie che occupa un grande areale e la cui protezione garantisce quella di altre specie che ne condividono l'habitat". Insomma, proteggi uno per salvarne cento.
Questa definizione si adatta magistralmente al più grande carnivoro presente in Europa, l'orso bruno, presente addirittura con due sottospecie in Italia: l'orso bruno europeo (Ursus arctos arctos), sulle Alpi del Nord-Est in un'area compresa tra il Trentino la Carinzia e la Slovenia e l'orso marsicano (Ursus arctos marsicanus) in Centro Italia, in Abruzzo, Lazio e Molise. La popolazione del nord-est, grazie ad un sapiente programma di reintroduzione a opera del Parco dell'Adamello-Brenta, è oggi in ripresa e mostra un marcato aumento demografico, al punto di sollevare qualche perplessità tra i residenti della zona; la popolazione dell'Italia centrale invece è in stasi, con un numero di individui stimato intorno alla quarantina di individui che non varia da alcune decadi.
Nel tentativo di scuotere questo status quo, all'inizio di gennaio 2013 Corradino Guacci, presidente della Società di Storia della Fauna "Giuseppe Altobello", ha lanciato un appello in rete per spingere le autorità del Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise (PNALM) ad iniziare un programma di "captive breeding", ossia riproduzione in cattività: "Riteniamo siano maturi i tempi per valutare e porre concretamente in essere un progetto di allevamento, in condizioni controllate, dell'orso marsicano", recita il comunicato della Società. "Avvalendosi anche della rete internazionale dei giardini zoologici, e delle specifiche competenze lì esistenti, si potrà costituire uno stock genetico utile sia per favorire la diffusione della specie che per interventi di reintroduzione nel caso si verificasse un crollo attuale della popolazione".
Il captive breeding è un intervento molto diffuso negli zoo di tutto il mondo per salvare specie sull'orlo dell'estinzione: basti ricordare il salvataggio di specie quali l'orice del deserto o il cavallo di Przewalski, solo per citare due tra i grandi mammiferi salvati in questo modo e attualmente in ripresa nel loro ambiente naturale, dopo interventi di risanamento sull'habitat e sulla popolazione per garantire che gli animali non vengano più cacciati. "Con tutti gli orsi che sono passati in questi anni per il giardino zoologico del Parco a Pescasseroli, perché non si è provato a farli riprodurre?", si chiede Guacci. "Mi risulta che la riproduzione degli orsi in cattività non presenta alcun tipo di problema. Ma, ripeto, sono domande che rivolgo agli esperti e dai quali mi piacerebbe avere delle risposte".
La risposta degli esperti, ovvero delle autorità del PNALM, arriva qualche giorno dopo tramite un comunicato stampa, ed è negativa: "L'Ente Parco, prendendo atto dello spirito positivo che anima l'iniziativa e ringraziando la Società Altobello per l'attenzione che dimostra per l'orso marsicano e i suoi problemi, ritiene per ora non praticabile quanto proposto, per ragioni di carattere logistico e per ragioni etiche e di conservazione".
"Se è vero, come è vero", riporta ancora il comunicato, "che l'esigua popolazione di orso marsicano, di 40-50 esemplari, è la stessa degli anni Ottanta del secolo scorso, ciò significa che comunque per un certo numero di anni è stata assicurata la vita ad almeno un numero minimo di esemplari, grazie all'opera, seppure parziale, del Parco Nazionale. Non si comprende pertanto per quale motivo si debba o si possa ritenere ormai praticamente perduta la battaglia per l'orso marsicano. È evidente comunque che qualcosa non va, se il rischio di estinzione resta immutato e il numero di individui non aumenta, anzi si teme possa diminuire. Si tratta, forse, di ricorrere alla adozione di adeguati e a volte più decisi provvedimenti di conservazione, che non sempre è facile individuare e soprattutto fare accettare agli umani destinatari".
Infine, conclude il comunicato, "meglio lasciare il maschio e la femmina liberi di accoppiarsi e riprodursi nelle foreste del Parco, considerato che a oggi la popolazione ha femmine fertili", e ancora: "Prima di pensare a riproduzioni in cattività, qualora ve ne fosse bisogno, è opportuno e necessario operare con il massimo impegno per eliminare gli attuali problemi dell'orso marsicano [...] Andrebbero ad esempio considerate il maggior il controllo delle riserve integrali [sic], evitandone qualsiasi tipo di utilizzo economico per assicurare quiete e tranquillità all'orso e il miglioramento dell'accesso alle risorse alimentari anche sperimentando o tornando a sperimentare qualche intervento di allevamento e coltivazione tradizionali. Sarebbe poi necessario regolamentare in modo più deciso il pascolo del bestiame domestico per favorire l'antico allevamento ovino e scoraggiare il pascolo brado".
Dato che non era chiaro come mai il Parco non abbia già messo in atto queste semplici misure negli ultimi 30 anni, visto che si trattava della salvaguardia della loro specie ombrello, abbiamo rivolto qualche domanda direttamente alle autorità del PNALM.
Dopo un lungo periodo di riflessione, Dario Febbo, direttore del parco, ha così illuminato la natura del problema: "Attualmente i fondi per la protezione dell'orso sono quelli provenienti dal bilancio dell'Ente Parco e quelli derivanti dall'attuazione del progetto Life-Arctos finanziato dall'Unione Europea. [I fattori demografici limitanti sono] una piccola popolazione [...] vivente in un ambito naturale limitato [...], un ridotto numero di femmine riproduttrici e una bassa variabilità genetica con problematiche legati all'imbreeding, [...] lunghe cure parentali, [...] alta mortalità dei cuccioli nel primo anno di vita, superiore al 50%, [...] elevata mortalità dovuta a cause antropiche, [...] problematiche sanitarie legate alla compresenza di animali domestici. Il progetto Life-Arctos in atto sta intervenendo per rimuovere i fattori derivanti da cause antropiche [...]; i fattori su cui non si può intervenire, almeno direttamente, sono quelli legati alla biologia propria del plantigrado. I progetti relativi sono quelli contenuti nel progetto Life-Arctos dell'Unione Europea, mentre altre azioni, come per es. la sorveglianza sono attuati con fondi dell'Ente Parco. Il Parco non ritiene che per ora sia necessario un programma di captive-breeding per l'orso bruno marsicano, sia perché questo presenta degli aspetti tecnici di difficile soluzione, se non insormontabili (infatti non ci risulta che ad oggi sia stato mai attuato per il genere Ursus), ma, soprattutto, perché prima di questo è necessario rimuovere tutti i fattori limitanti che condizionano la crescita della popolazione. [...] Il Patom è al momento l'unico Piano di Gestione a lungo termine e a larga scala e il progetto ARCTOS garantirà la realizzazione di molte delle azioni previste dal Piano".
Ci si chiede: come mai è possibile il captive breeding del panda, specie che notoriamente ha serie difficoltà a riprodursi, ma non quello dell'orso bruno? È il caso di aspettare di avere un ambiente naturale perfetto prima di cominciare a considerare strade alternative? Siamo sicuri che il PNALM stia facendo il massimo per assicurare la sopravvivenza della sua specie ombrello?
Lisa Signorile - nationalgeographic.it
venerdì 15 febbraio 2013
PESCI NEONATI, PRESIDENTE SICILIA SFIDA UE
Il presidente della Regione autorizza la pesca del «novellame», il pesce azzurro appena nato. La rabbia degli ambientalisti.
15 febbraio 2013 - «La morti del nunnatu è fritto a purpetta». Il consiglio del ristoratore al commissario Montalbano non lascia dubbi: il modo migliore per mangiare il «novellame», il pesce azzurro appena nato, è farne polpette fritte. Per questo Andrea Camilleri un anno fa si era visto recapitare una lettera da Bruxelles che lo invitava a togliere subito dai libri le «barbare» ricette con incitavano all’uso dei piccole sardine o acciughe. Quelli che in Liguria chiamano «gianchetti», in Campania «cecinielli» e in Sicilia, appunto, «nunnatu». Un anno dopo è la giunta di Rosario Crocetta a sfidare Bruxelles. L’assessore siciliano alle Risorse agricole e alimentari Dario Cartabellotta ha infatti autorizzato per un anno «la pesca professionale del novellame di sardina e del rossetto». Esattamente come era avvenuto in passato, violando le raccomandazioni dell’Unione europea che vedono in questa pratica una delle cause dello spopolamento del Mediterraneo. E della crisi di tutto il comparto.
«SCELTA SCELLERATA» - Gli ambientalisti, ovviamente, si sono indignati. «La deroga è una scelta scellerata ed arbitraria e rappresenta una minaccia per il mare, le sue risorse e il futuro della pesca e dei pescatori» sostengono assieme Legambiente, GreenLife, Marevivo, Wwf e Greenpeace. «Per ogni chilo di novellame si perdono fino a 2 quintali di pesce adulto: un vero e proprio scempio di risorse che non solo danneggia il mare, ma che minaccia la sopravvivenza della pesca stessa». A nulla sono valse le precisazioni contenute nello stesso decreto dell’assessore: si potrà uscire in mare solo dall’alba al tramonto, e non più di 40 giorni in totale (l’anno scorso erano sessanta); viene bandito un ampio tratto di mare (praticamente tutta la costa sud da Mazara a Capo Passero) e in più saranno fatti prelievi per avviare una seria ricerca scientifica sulle risorse disponibili.
«INGOIARE UNO STERMINIO» - L’assessore ha chiarito: tutto ciò viene fatto per aiutare i piccoli pescatori «alla luce del conclamato stato di crisi del settore» e per salvaguardare «la tradizionalità, la storicità e la specificità territoriale della pesca speciale del novellame da consumo». Nessuno, d’altra parte, si nasconde che quelle «purpette», per quanto buonissime, non siano proprio eco-compatibili. Nemmeno lo scrittore Camilleri: «Le polpettine, schiacciate, croccanti, erano costellate di centinaia di puntini neri: gli occhietti dei minuscoli pesciolini appena nati. Montalbano se li mangiò sacralmente, pur sapendo che stava ingoiando qualcosa di simile a una strage, uno sterminio. Per autopunirsi, non volle mangiare nient’altro».
Riccardo Bruno
rbruno@corriere.it
Il presidente della Regione autorizza la pesca del «novellame», il pesce azzurro appena nato. La rabbia degli ambientalisti.
15 febbraio 2013 - «La morti del nunnatu è fritto a purpetta». Il consiglio del ristoratore al commissario Montalbano non lascia dubbi: il modo migliore per mangiare il «novellame», il pesce azzurro appena nato, è farne polpette fritte. Per questo Andrea Camilleri un anno fa si era visto recapitare una lettera da Bruxelles che lo invitava a togliere subito dai libri le «barbare» ricette con incitavano all’uso dei piccole sardine o acciughe. Quelli che in Liguria chiamano «gianchetti», in Campania «cecinielli» e in Sicilia, appunto, «nunnatu». Un anno dopo è la giunta di Rosario Crocetta a sfidare Bruxelles. L’assessore siciliano alle Risorse agricole e alimentari Dario Cartabellotta ha infatti autorizzato per un anno «la pesca professionale del novellame di sardina e del rossetto». Esattamente come era avvenuto in passato, violando le raccomandazioni dell’Unione europea che vedono in questa pratica una delle cause dello spopolamento del Mediterraneo. E della crisi di tutto il comparto.
«SCELTA SCELLERATA» - Gli ambientalisti, ovviamente, si sono indignati. «La deroga è una scelta scellerata ed arbitraria e rappresenta una minaccia per il mare, le sue risorse e il futuro della pesca e dei pescatori» sostengono assieme Legambiente, GreenLife, Marevivo, Wwf e Greenpeace. «Per ogni chilo di novellame si perdono fino a 2 quintali di pesce adulto: un vero e proprio scempio di risorse che non solo danneggia il mare, ma che minaccia la sopravvivenza della pesca stessa». A nulla sono valse le precisazioni contenute nello stesso decreto dell’assessore: si potrà uscire in mare solo dall’alba al tramonto, e non più di 40 giorni in totale (l’anno scorso erano sessanta); viene bandito un ampio tratto di mare (praticamente tutta la costa sud da Mazara a Capo Passero) e in più saranno fatti prelievi per avviare una seria ricerca scientifica sulle risorse disponibili.
«INGOIARE UNO STERMINIO» - L’assessore ha chiarito: tutto ciò viene fatto per aiutare i piccoli pescatori «alla luce del conclamato stato di crisi del settore» e per salvaguardare «la tradizionalità, la storicità e la specificità territoriale della pesca speciale del novellame da consumo». Nessuno, d’altra parte, si nasconde che quelle «purpette», per quanto buonissime, non siano proprio eco-compatibili. Nemmeno lo scrittore Camilleri: «Le polpettine, schiacciate, croccanti, erano costellate di centinaia di puntini neri: gli occhietti dei minuscoli pesciolini appena nati. Montalbano se li mangiò sacralmente, pur sapendo che stava ingoiando qualcosa di simile a una strage, uno sterminio. Per autopunirsi, non volle mangiare nient’altro».
Riccardo Bruno
rbruno@corriere.it
Un albero per ogni neonato, da domani in vigore la legge
Città più verdi. Previsto da norme del '92, da domani obbligatorio
15 febbraio 2013 - Le città italiane stanno per diventare più verdi grazie alla legge che entra in vigore domani e che obbliga i Comuni sopra i 15mila abitanti a piantare un albero per ogni bambino registrato all'anagrafe o adottato. La normativa, che punta a incentivare gli spazi verdi urbani, esiste in realtà da oltre vent'anni. L'obbligo di piantare un albero per ogni neonato era stato introdotto in Italia con la legge Cossiga-Andreotti n.113 del 29 gennaio 1992.
Per "assicurarne l'effettivo rispetto", tuttavia, la legge n.10 del 14 gennaio 2013, che entrerà in vigore domani, introduce modifiche alla precedente disposizione. L'obbligo non si applicherà più a tutti i comuni, ma solo quelli con una popolazione superiore ai 15mila abitanti, e non interesserà solo le nascite, ma anche i bambini adottati. Un altro cambiamento riguarda i tempi: la piantumazione dovrà avvenire entro sei mesi, e non più dodici, dalla nascita o dall'adozione. Nonostante il basso tasso di natalità italiano, la legge dovrebbe riuscire a contrastare, almeno in parte, la perdita di zone verdi nel Paese, che secondo l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) è di otto metri quadrati al secondo. A vigilare sul rispetto della normativa sarà il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico istituito presso il ministero dell'Ambiente, mentre i Comuni dovranno comunicare informazioni sul tipo di albero scelto per ogni bimbo e il luogo in cui è stato piantato, provvedendo anche a un censimento annuale di tutte le piantumazioni. Sempre per tutelare il verde pubblico, la legge che entrerà in vigore domani introduce norme a tutela degli alberi monumentali e ridefinisce la Giornata nazionale dell'albero, celebrata il 21 novembre, che punta a "perseguire, attraverso la valorizzazione dell'ambiente e del patrimonio arboreo e boschivo, l'attuazione del protocollo di Kyoto", e prevede attività formative in tutte le scuole.
ANSA
Città più verdi. Previsto da norme del '92, da domani obbligatorio
15 febbraio 2013 - Le città italiane stanno per diventare più verdi grazie alla legge che entra in vigore domani e che obbliga i Comuni sopra i 15mila abitanti a piantare un albero per ogni bambino registrato all'anagrafe o adottato. La normativa, che punta a incentivare gli spazi verdi urbani, esiste in realtà da oltre vent'anni. L'obbligo di piantare un albero per ogni neonato era stato introdotto in Italia con la legge Cossiga-Andreotti n.113 del 29 gennaio 1992.
Per "assicurarne l'effettivo rispetto", tuttavia, la legge n.10 del 14 gennaio 2013, che entrerà in vigore domani, introduce modifiche alla precedente disposizione. L'obbligo non si applicherà più a tutti i comuni, ma solo quelli con una popolazione superiore ai 15mila abitanti, e non interesserà solo le nascite, ma anche i bambini adottati. Un altro cambiamento riguarda i tempi: la piantumazione dovrà avvenire entro sei mesi, e non più dodici, dalla nascita o dall'adozione. Nonostante il basso tasso di natalità italiano, la legge dovrebbe riuscire a contrastare, almeno in parte, la perdita di zone verdi nel Paese, che secondo l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) è di otto metri quadrati al secondo. A vigilare sul rispetto della normativa sarà il Comitato per lo sviluppo del verde pubblico istituito presso il ministero dell'Ambiente, mentre i Comuni dovranno comunicare informazioni sul tipo di albero scelto per ogni bimbo e il luogo in cui è stato piantato, provvedendo anche a un censimento annuale di tutte le piantumazioni. Sempre per tutelare il verde pubblico, la legge che entrerà in vigore domani introduce norme a tutela degli alberi monumentali e ridefinisce la Giornata nazionale dell'albero, celebrata il 21 novembre, che punta a "perseguire, attraverso la valorizzazione dell'ambiente e del patrimonio arboreo e boschivo, l'attuazione del protocollo di Kyoto", e prevede attività formative in tutte le scuole.
ANSA
sabato 9 febbraio 2013
La guerra in mare per salvare le balene
I «pirati verdi» dell’associazione «Sea Shepherd» contro i pescatori giapponesi, bloccano i rifornimenti alle baleniere
WASHINGTON, 9 febbraio 2013 - È di nuovo battaglia a sud dell’Australia tra la flottiglia degli eco-guerrieri e i balenieri giapponesi. Dopo una serie di pattugliamenti, il 29 gennaio, i «pirati verdi» dell’associazione Sea Shepherd hanno localizzato il loro nemici, i pescatori venuti dal Giappone. Una mossa seguita un’operazione a sorpresa. Due navi hanno intercettato l’unità che doveva rifornire di carburante la baleniera nipponica Nisshin Maru. Con una serie di manovre, la Sam Simon e la Steve Irwin sono riuscite a impedire l’aggancio, costringendo la petroliera a tenersi lontana. Un’azione che potrebbe avere serie conseguenze sulla campagna di caccia in quanto la baleniera può restare a secco.
LE NAVI - Una terza nave della Sea Shepherd - la Bob Baker - sta invece inseguendo la Nisshin Maru. Una «filatura» condotta con l’aiuto di droni ed elicotteri a disposizione degli eco-guerrieri. I vertici della Sea Shepherd non hanno nascosto la loro soddisfazione per i risultati ottenuti fino ad oggi: «Abbiamo inferto un duro colpo ai pescatori giapponesi». A loro giudizio i cacciatori avranno problemi, anche se lo scontro è forse solo all’inizio. E altre navi sono impegnate nella sfida. I nipponici ne hanno inviate quattro, altrettanto ha fatto la Sea Shepherd che, quest’anno, ha acquisito un nuovo battello, la Sam Simon.
I PRECEDENTI - In passato i due schieramentisi sono affrontati in modo feroce con idranti, lanci di granate stordenti e «puzzolenti», manovre aggressive. Nel 2010 una baleniera ha speronato l’Ady Gil, un velocissimo catamarano impiegato dagli eco-guerrieri.
Guido Olimpio
www.corriere.it
I «pirati verdi» dell’associazione «Sea Shepherd» contro i pescatori giapponesi, bloccano i rifornimenti alle baleniere
WASHINGTON, 9 febbraio 2013 - È di nuovo battaglia a sud dell’Australia tra la flottiglia degli eco-guerrieri e i balenieri giapponesi. Dopo una serie di pattugliamenti, il 29 gennaio, i «pirati verdi» dell’associazione Sea Shepherd hanno localizzato il loro nemici, i pescatori venuti dal Giappone. Una mossa seguita un’operazione a sorpresa. Due navi hanno intercettato l’unità che doveva rifornire di carburante la baleniera nipponica Nisshin Maru. Con una serie di manovre, la Sam Simon e la Steve Irwin sono riuscite a impedire l’aggancio, costringendo la petroliera a tenersi lontana. Un’azione che potrebbe avere serie conseguenze sulla campagna di caccia in quanto la baleniera può restare a secco.
LE NAVI - Una terza nave della Sea Shepherd - la Bob Baker - sta invece inseguendo la Nisshin Maru. Una «filatura» condotta con l’aiuto di droni ed elicotteri a disposizione degli eco-guerrieri. I vertici della Sea Shepherd non hanno nascosto la loro soddisfazione per i risultati ottenuti fino ad oggi: «Abbiamo inferto un duro colpo ai pescatori giapponesi». A loro giudizio i cacciatori avranno problemi, anche se lo scontro è forse solo all’inizio. E altre navi sono impegnate nella sfida. I nipponici ne hanno inviate quattro, altrettanto ha fatto la Sea Shepherd che, quest’anno, ha acquisito un nuovo battello, la Sam Simon.
I PRECEDENTI - In passato i due schieramentisi sono affrontati in modo feroce con idranti, lanci di granate stordenti e «puzzolenti», manovre aggressive. Nel 2010 una baleniera ha speronato l’Ady Gil, un velocissimo catamarano impiegato dagli eco-guerrieri.
Guido Olimpio
www.corriere.it
venerdì 8 febbraio 2013
Albatros 62enne depone uova e cova piccolo
New York, 8 febbraio 2013 - Wisdom ha almeno 62 anni ed è di nuovo mamma: non è l'ultimo caso di fecondazione assistita estrema ma un miracolo nel mondo degli animali. In una remota isola del Pacifico una femmina di albatros considerata uno degli uccelli di età più avanzata che si conoscano al mondo, ha sfornato un uovo e covato un uccellino.
Madre e bebé stanno bene, hanno annunciato al settimo cielo gli scienziati del Midway Atoll National Wildlife Refuge. Uccelli della specie di Wisdom, un albatros di Laysan, muoiono di solito a metà della sua età, hanno detto gli esperti che da anni la seguono. Il piccolo è il 36esimo accertato della 'matusalemme dell'arià che dal 2006 ha covato almeno cinque uova e nel 2011 è sopravvissuta a uno tsunami che ha devastato la fauna aviaria del Pacifico. A conferma della straordinaria energia di mamma albatros, gli scienziati delle Midway, l'atollo che fu teatro di una famosa battaglia aeronavale durante la seconda guerra mondiale, hanno scoperto che ha volato cinque milioni di chilometri da quando è stata identificata e 'taggata' per la prima volta nell'atollo delle Hawaii nel 1956 a una età stimata allora di cinque anni: una distanza pari a circa 5 volte il viaggio dalla Terra alla Luna, ha indicato il Servizio Geologico Federale commentando entusiasticamente la nascita.
"Siamo senza parole: un uccello di 62 anni che continua a deporre uova", ha detto Bruce Peterjohn, direttore del Bird Banding Laboratory del centro del Servizio geologico a Laurel nel Maryland, secondo cui il fatto che Wisdom sia in grado di riprodursi a una età così avanzata può aiutare gli scienziati a capire di più sulla specie degli albatros ma anche sullo stato di salute degli oceani che costituiscono il loro habitat.
"E' una ispirazione per noi e un simbolo di speranza per la sua specie", ha commentato Doug Stalleril soprintendente delll'oasi faunistica del Papahanaumokuakea Marine National Monument, che include le Midway.
Diciannove su 21 specie di albatros sono considerate in via di estinzione e il loro destino è strettamente collegato con le attività dell'uomo: in particolare con la pesca a strascico che intrappola gli uccelli marini nelle reti mentre si posano sull'acqua in cerca di cibo.
Alessandra Baldini
(ANSA)
New York, 8 febbraio 2013 - Wisdom ha almeno 62 anni ed è di nuovo mamma: non è l'ultimo caso di fecondazione assistita estrema ma un miracolo nel mondo degli animali. In una remota isola del Pacifico una femmina di albatros considerata uno degli uccelli di età più avanzata che si conoscano al mondo, ha sfornato un uovo e covato un uccellino.
Madre e bebé stanno bene, hanno annunciato al settimo cielo gli scienziati del Midway Atoll National Wildlife Refuge. Uccelli della specie di Wisdom, un albatros di Laysan, muoiono di solito a metà della sua età, hanno detto gli esperti che da anni la seguono. Il piccolo è il 36esimo accertato della 'matusalemme dell'arià che dal 2006 ha covato almeno cinque uova e nel 2011 è sopravvissuta a uno tsunami che ha devastato la fauna aviaria del Pacifico. A conferma della straordinaria energia di mamma albatros, gli scienziati delle Midway, l'atollo che fu teatro di una famosa battaglia aeronavale durante la seconda guerra mondiale, hanno scoperto che ha volato cinque milioni di chilometri da quando è stata identificata e 'taggata' per la prima volta nell'atollo delle Hawaii nel 1956 a una età stimata allora di cinque anni: una distanza pari a circa 5 volte il viaggio dalla Terra alla Luna, ha indicato il Servizio Geologico Federale commentando entusiasticamente la nascita.
"Siamo senza parole: un uccello di 62 anni che continua a deporre uova", ha detto Bruce Peterjohn, direttore del Bird Banding Laboratory del centro del Servizio geologico a Laurel nel Maryland, secondo cui il fatto che Wisdom sia in grado di riprodursi a una età così avanzata può aiutare gli scienziati a capire di più sulla specie degli albatros ma anche sullo stato di salute degli oceani che costituiscono il loro habitat.
"E' una ispirazione per noi e un simbolo di speranza per la sua specie", ha commentato Doug Stalleril soprintendente delll'oasi faunistica del Papahanaumokuakea Marine National Monument, che include le Midway.
Diciannove su 21 specie di albatros sono considerate in via di estinzione e il loro destino è strettamente collegato con le attività dell'uomo: in particolare con la pesca a strascico che intrappola gli uccelli marini nelle reti mentre si posano sull'acqua in cerca di cibo.
Alessandra Baldini
(ANSA)
giovedì 7 febbraio 2013
EUROPARLAMENTO CHIEDE STOP A PESCA INTENSIVA
Approvate due Relazioni
7 feb 13 - Il Parlamento europeo approva due relazioni sulla politica comune della pesca che vogliono proteggere gli stock ittici nei mari europei imponendo limiti al pescato, prevedendo riserve proibite alla pesca e combattendo i rigetti in mare. Zanoni: “Combattiamo gli interessi delle grandi lobby dei mari per preservare l'ecosistema marino e i suoi pesci”
“Quello di oggi sulla riforma della politica comune della pesca è un voto storico. Il nostro obiettivo è la sostenibilità del settore, la fine dello scarico in mare dei pesci mori indesiderati e la stesura di piani a lungo termine basati su solidi dati scientifici”. E' il commento di Andrea Zanoni, eurodeputato IdV e membro della commissione ENVI Ambiente al Parlamento europeo, all'approvazione di due relazioni sulla riforma della pesca comune europea. "La politica fallimentare degli ultimi 40 anni di pesca eccessiva ha minacciato la biodiversità dei nostri mari e reso i nostri pescatori disoccupati o dipendenti da sussidi. E' arrivata l'ora di cambiare registro”.
Il Parlamento europeo ha approvato oggi a Strasburgo (favorevoli 502, contrari 137 e astenuti 27) la relazione dell'eurodeputata socialista tedesca Ulrike Rodust sulla “politica comune della pesca” che mira alla conservazione degli stock ittici ponendo dei limiti alla pesca intensiva degli ultimi anni. I dati della Commissione europea suggeriscono che più dell'80% degli stock ittici del Mediterraneo e il 47% di quelli dell'Atlantico sono soggetti a pesca intensiva. Approvata anche la relazione dell'eurodeputato irlandese liberal democratico Pat the Cope Gallagher sulla “conservazione delle risorse della pesca”.
“Entro il 2015 la pesca eccessiva dovrà essere convertita in una pesca ecologicamente sostenibile – attacca Zanoni - Ben vengano piani di gestione pluriennali e la possibilità di istituire una rete di riserve in cui sia vietata la pesca per ripopolare i nostri mari. E poi i sussidi europei dovranno essere condizionati al rispetto delle nuove regole e la pesca costiera e selettiva godrà di un sostegno particolare”.
La relazione Rodust prevede che dal 2015 agli Stati membri sarà impedito di stabilire quote di pescato troppo elevate e perciò non sostenibili. I pescatori dovranno rispettare il "rendimento massimo stabilito" ovvero non si potrà catturare più di un certo numero di esemplari di una certa specie di quanti se ne possano riprodurre in un anno. La relazione Gallagher, invece, prevede l'adozione di specifiche misure volte a stabilire il tipo di attrezzi utilizzati, la maglia delle reti, il rispetto delle quote di cattura autorizzate e i tempi durante i quali la pesca è permessa.
“Nell'Adriatico e nel Mediterraneo si pescano sempre di più pesci di piccole e piccolissime dimensioni – spiega Zanoni – Nei mari della Sicilia non passa giorno che non vengano pescati tonni del peso di mezzo chilo e pesci spada lunghi appena 40 centimetri. Questo vuol dire che stiamo pescando, stiamo uccidendo i bambini dei pesci”.
E poi “guerra aperta la fenomeno del rigetto in mare – continua l'eurodeputato – Oggi il rigetto in mare comporta in Europa lo spreco di 1,7 milioni di tonnellate di pesci inutilmente pescati e uccisi. Con il voto di oggi chiediamo che venga rafforzato l'obbligo di sbarco per tutto il pescato e i relativi controlli sui pescherecci”.
“L'unico futuro per la pesca europea è realizzare una pesca ecologicamente sostenibile”, conclude l'eurodeputato.
Approvate due Relazioni
7 feb 13 - Il Parlamento europeo approva due relazioni sulla politica comune della pesca che vogliono proteggere gli stock ittici nei mari europei imponendo limiti al pescato, prevedendo riserve proibite alla pesca e combattendo i rigetti in mare. Zanoni: “Combattiamo gli interessi delle grandi lobby dei mari per preservare l'ecosistema marino e i suoi pesci”
“Quello di oggi sulla riforma della politica comune della pesca è un voto storico. Il nostro obiettivo è la sostenibilità del settore, la fine dello scarico in mare dei pesci mori indesiderati e la stesura di piani a lungo termine basati su solidi dati scientifici”. E' il commento di Andrea Zanoni, eurodeputato IdV e membro della commissione ENVI Ambiente al Parlamento europeo, all'approvazione di due relazioni sulla riforma della pesca comune europea. "La politica fallimentare degli ultimi 40 anni di pesca eccessiva ha minacciato la biodiversità dei nostri mari e reso i nostri pescatori disoccupati o dipendenti da sussidi. E' arrivata l'ora di cambiare registro”.
Il Parlamento europeo ha approvato oggi a Strasburgo (favorevoli 502, contrari 137 e astenuti 27) la relazione dell'eurodeputata socialista tedesca Ulrike Rodust sulla “politica comune della pesca” che mira alla conservazione degli stock ittici ponendo dei limiti alla pesca intensiva degli ultimi anni. I dati della Commissione europea suggeriscono che più dell'80% degli stock ittici del Mediterraneo e il 47% di quelli dell'Atlantico sono soggetti a pesca intensiva. Approvata anche la relazione dell'eurodeputato irlandese liberal democratico Pat the Cope Gallagher sulla “conservazione delle risorse della pesca”.
“Entro il 2015 la pesca eccessiva dovrà essere convertita in una pesca ecologicamente sostenibile – attacca Zanoni - Ben vengano piani di gestione pluriennali e la possibilità di istituire una rete di riserve in cui sia vietata la pesca per ripopolare i nostri mari. E poi i sussidi europei dovranno essere condizionati al rispetto delle nuove regole e la pesca costiera e selettiva godrà di un sostegno particolare”.
La relazione Rodust prevede che dal 2015 agli Stati membri sarà impedito di stabilire quote di pescato troppo elevate e perciò non sostenibili. I pescatori dovranno rispettare il "rendimento massimo stabilito" ovvero non si potrà catturare più di un certo numero di esemplari di una certa specie di quanti se ne possano riprodurre in un anno. La relazione Gallagher, invece, prevede l'adozione di specifiche misure volte a stabilire il tipo di attrezzi utilizzati, la maglia delle reti, il rispetto delle quote di cattura autorizzate e i tempi durante i quali la pesca è permessa.
“Nell'Adriatico e nel Mediterraneo si pescano sempre di più pesci di piccole e piccolissime dimensioni – spiega Zanoni – Nei mari della Sicilia non passa giorno che non vengano pescati tonni del peso di mezzo chilo e pesci spada lunghi appena 40 centimetri. Questo vuol dire che stiamo pescando, stiamo uccidendo i bambini dei pesci”.
E poi “guerra aperta la fenomeno del rigetto in mare – continua l'eurodeputato – Oggi il rigetto in mare comporta in Europa lo spreco di 1,7 milioni di tonnellate di pesci inutilmente pescati e uccisi. Con il voto di oggi chiediamo che venga rafforzato l'obbligo di sbarco per tutto il pescato e i relativi controlli sui pescherecci”.
“L'unico futuro per la pesca europea è realizzare una pesca ecologicamente sostenibile”, conclude l'eurodeputato.
CARTA D'IDENTITÁ DEI DELFINI”!
7 FEB. 2013 - L’INNOVATIVO PROGRAMMA D.O.C: un gestionale tutto italiano per creare le carte d’identità dei delfini
La ricerca scientifica e la salvaguardia degli animali selvatici, per mare e per terra, è da sempre ricca di forti emozioni, grandi soddisfazioni, ma anche di molti imprevisti.
I ricercatori del Centro Ricerca Cetacei si confrontano da anni con la vita dei mammiferi marini che popolano il Mediterraneo, in particolare quelli che vivono attorno all’Arcipelago Toscano, di cui fa parte anche il Santuario dei Cetacei, la più grande area marina protetta del Mediterraneo.
Questa zona ha un’importanza cruciale in quanto, nei mesi estivi, si può assistere al fenomeno dell’ ”up welling”, cioè alla risalita dal fondale di acque più fredde e profonde che portano in superficie una grandissima quantità di nutrienti, i quali, favorendo la proliferazione di plancton, attirano in questa zona un gran numero di cetacei di varie specie.
Il Centro Ricerca Cetacei, che ha sede sull’isola d’Elba, si è posto l’obiettivo di censire il maggior numeri di individui, in particolare delfini e balene, che nuotano nelle acque del Mediterraneo, utilizzando metodi non invasivi per non causare stress o disturbi di alcun tipo agli animali.
L’identificazione e il riconoscimento di un particolare individuo in specie animali che passano la maggior parte della loro vita nelle profondità marine è molto complicata.
La tecnica di cui si avvalgono i ricercatori del Centro è denominata “fotoidentificazione”: è un metodo che richiede esperienza, prontezza di riflessi e mano ferma; questa tecnica prevede l’uso di segni detti marker, naturalmente presenti sul corpo di molte specie di cetacei.
Con l’ausilio di macchine fotografiche digitali ad alta definizione dotate di potenti zoom, i ricercatori scattano fotografie ai delfini avvistati durante la navigazione: la parte più idonea da osservare per il riconoscimento individuale (che corrisponde a quella che più spesso emerge dall’acqua quando l’animale sale in superficie per respirare) è il profilo della pinna dorsale.
Spesso gli individui presentano una pinna dalle caratteristiche (forma, dimensione, margine) uniche: si annotano scrupolosamente graffi, depigmentazioni particolari, tacche differenti per posizione e numero, creando un vero e proprio “identikit” dell’animale.
Un individuo ben riconoscibile è uno che presenta non una singola caratteristica, ma un insieme di segni che risultano essere complessivamente distintivi e univoci per gli individui (Würsig & Jefferson, 1990).
Il Centro Ricerca Cetacei dal 2011 utilizza un software gestionale del tutto innovativo, elaborato in collaborazione con il Crisafi Web Studio, denominato D.O.C. (Database Online dei Cetacei); esso è stato sviluppato con tecnologia web e database relazionale.
Il progetto nasce dalla necessità di rendere possibile il confronto delle informazioni da parte di tutti gli studiosi di cetacei di tutti i mari italiani e del Mediterraneo e l’integrazione in tempo reale delle stesse.
Tutti i dati raccolti sul campo vengono inseriti all’interno del database; i ricercatori non devono installare alcun programma all’interno del proprio pc, dato che il sistema è accessibile in modalità cloud da qualsiasi postazione abbia un collegamento internet o intranet.
Il programma ha semplificato, ma soprattutto reso più preciso, il lavoro dei ricercatori: le migliori foto scattate durante la navigazione vengono inserite all’interno del database, andando a creare un vero e proprio archivio online.
Per ogni individuo noto viene creata una “carta d’identità”: all’interno, oltre alla “foto segnaletica” della pinna dorsale (lato destro e lato sinistro), si possono trovare informazioni fondamentali per una futuro riconoscimento, come numero e tipologia di marker naturali presenti sul corpo dell’animale, ma anche la specie di appartenenza, il sesso e il presunto anno di nascita.
Ogni avvistamento viene documentato dal ricercatore con delle fotografie digitali, le quali vengono poi inserite nel D.O.C. assieme ai dati identificativi dell’individuo avvistato (caratteristiche distintive della pinna) e all’ora e alle coordinate georeferenziate dell’avvistamento.
Qualora vi siano corrispondenze fra l’individuo avvistato ed altri presenti nel database il sistema le segnala all’operatore, permettendo così di verificare nella documentazione fotografica se si possa trattare o meno dello stesso soggetto. Questi dati sono di fondamentale importanza per avere un quadro più esaustivo delle complesse interazioni sociali tra i vari gruppi di individui e lo studio delle popolazioni che vivono in quella zona di Mediterraneo.
Il sistema automatizzato ha vari campi di utilizzo nello studio e salvaguardia delle popolazioni marine, permettendo attraverso l’analisi degli spostamenti e delle abitudini dei singoli individui, la comprensione delle dinamiche dei gruppi di cetacei e delle intere popolazioni stanziali, determinando anche quelli che sono i fattori di rischio ambientale che più influenzano la vita degli animali, allo scopo di fornire informazioni utili ad interventi di tutela e protezione mirati, come l’individuazione delle aree nelle quali è più utile istituire aree protette.
Grazie a questo strumento autofinanziato dal Centro Ricerca Cetacei con il sostegno di sponsor privati (ad esempio “Yourboatnaming” di Cobelli), sono stati realizzati programmi di divulgazione e sensibilizzazione sul rispetto dell’ecosistema marino.
Il sistema D.O.C. contiene anche un archivio relativo agli spiaggiamenti di numerose specie di cetacei. Da questi dati è possibile reperire numerose informazioni riguardanti la biologia, l’ecologia, le problematiche relative alle patologie delle specie che vivono nel Mediterraneo, e indirettamente conoscere quindi il livello di contaminazione delle acque e di conseguenza avere una visione più precisa della salute dei nostri mari.
L’obiettivo del D.O.C. è quello di creare una mappatura completa della presenza e della distribuzione dei cetacei nel Mediterraneo, con particolare dettaglio per le coste della penisola italiana che sono state suddivise in aree e subaree, consentendo un’ analisi più precisa degli eventi e delle dinamiche inerenti a un particolare braccio di mare.
I dati raccolti grazie al sistema D.O.C. sono utilizzabili anche in combinazione con idrofoni subacquei per studi di bioacustica, monitorando così i suoni emessi dai cetacei che forniscono preziose informazioni sulla comunicazione intra e interspecifica e l’interazione tra le specie.
Infine, grazie alla possibilità di utilizzare il D.O.C. in modalità cloud, ricercatori che operano in diverse parti del Mediterraneo possono condividere i dati aggiornandoli in tempo reale su una piattaforma web based, rendendo la collaborazione e la condivisione delle informazioni un valido strumento per una conoscenza più approfondita dell’ecosistema marino.
I ricercatori del Centro Ricerca Cetacei danno la possibilità agli studenti universitari di poter prendere parte in prima persona all’attività di ricerca e alle attività sul campo partecipando agli stages formativi che si svolgono a bordo di Altair, la barca a vela del Centro.
Alle esperienze di ricerca possono partecipare anche i non addetti ai lavori attraverso le numerose esperienze organizzate dai ricercatori e finalizzate a far conoscere i delfini nel loro ambiente naturale.
Puoi seguire le attività del Centro sul sito www.centroricercacetacei.org e contattare direttamente i ricercatori all’indirizzo info@centroricercacetacei.org per avere tutte le informazioni e il programma completo delle attività. Buona Navigazione!
Clelia Lovato
7 FEB. 2013 - L’INNOVATIVO PROGRAMMA D.O.C: un gestionale tutto italiano per creare le carte d’identità dei delfini
La ricerca scientifica e la salvaguardia degli animali selvatici, per mare e per terra, è da sempre ricca di forti emozioni, grandi soddisfazioni, ma anche di molti imprevisti.
I ricercatori del Centro Ricerca Cetacei si confrontano da anni con la vita dei mammiferi marini che popolano il Mediterraneo, in particolare quelli che vivono attorno all’Arcipelago Toscano, di cui fa parte anche il Santuario dei Cetacei, la più grande area marina protetta del Mediterraneo.
Questa zona ha un’importanza cruciale in quanto, nei mesi estivi, si può assistere al fenomeno dell’ ”up welling”, cioè alla risalita dal fondale di acque più fredde e profonde che portano in superficie una grandissima quantità di nutrienti, i quali, favorendo la proliferazione di plancton, attirano in questa zona un gran numero di cetacei di varie specie.
Il Centro Ricerca Cetacei, che ha sede sull’isola d’Elba, si è posto l’obiettivo di censire il maggior numeri di individui, in particolare delfini e balene, che nuotano nelle acque del Mediterraneo, utilizzando metodi non invasivi per non causare stress o disturbi di alcun tipo agli animali.
L’identificazione e il riconoscimento di un particolare individuo in specie animali che passano la maggior parte della loro vita nelle profondità marine è molto complicata.
La tecnica di cui si avvalgono i ricercatori del Centro è denominata “fotoidentificazione”: è un metodo che richiede esperienza, prontezza di riflessi e mano ferma; questa tecnica prevede l’uso di segni detti marker, naturalmente presenti sul corpo di molte specie di cetacei.
Con l’ausilio di macchine fotografiche digitali ad alta definizione dotate di potenti zoom, i ricercatori scattano fotografie ai delfini avvistati durante la navigazione: la parte più idonea da osservare per il riconoscimento individuale (che corrisponde a quella che più spesso emerge dall’acqua quando l’animale sale in superficie per respirare) è il profilo della pinna dorsale.
Spesso gli individui presentano una pinna dalle caratteristiche (forma, dimensione, margine) uniche: si annotano scrupolosamente graffi, depigmentazioni particolari, tacche differenti per posizione e numero, creando un vero e proprio “identikit” dell’animale.
Un individuo ben riconoscibile è uno che presenta non una singola caratteristica, ma un insieme di segni che risultano essere complessivamente distintivi e univoci per gli individui (Würsig & Jefferson, 1990).
Il Centro Ricerca Cetacei dal 2011 utilizza un software gestionale del tutto innovativo, elaborato in collaborazione con il Crisafi Web Studio, denominato D.O.C. (Database Online dei Cetacei); esso è stato sviluppato con tecnologia web e database relazionale.
Il progetto nasce dalla necessità di rendere possibile il confronto delle informazioni da parte di tutti gli studiosi di cetacei di tutti i mari italiani e del Mediterraneo e l’integrazione in tempo reale delle stesse.
Tutti i dati raccolti sul campo vengono inseriti all’interno del database; i ricercatori non devono installare alcun programma all’interno del proprio pc, dato che il sistema è accessibile in modalità cloud da qualsiasi postazione abbia un collegamento internet o intranet.
Il programma ha semplificato, ma soprattutto reso più preciso, il lavoro dei ricercatori: le migliori foto scattate durante la navigazione vengono inserite all’interno del database, andando a creare un vero e proprio archivio online.
Per ogni individuo noto viene creata una “carta d’identità”: all’interno, oltre alla “foto segnaletica” della pinna dorsale (lato destro e lato sinistro), si possono trovare informazioni fondamentali per una futuro riconoscimento, come numero e tipologia di marker naturali presenti sul corpo dell’animale, ma anche la specie di appartenenza, il sesso e il presunto anno di nascita.
Ogni avvistamento viene documentato dal ricercatore con delle fotografie digitali, le quali vengono poi inserite nel D.O.C. assieme ai dati identificativi dell’individuo avvistato (caratteristiche distintive della pinna) e all’ora e alle coordinate georeferenziate dell’avvistamento.
Qualora vi siano corrispondenze fra l’individuo avvistato ed altri presenti nel database il sistema le segnala all’operatore, permettendo così di verificare nella documentazione fotografica se si possa trattare o meno dello stesso soggetto. Questi dati sono di fondamentale importanza per avere un quadro più esaustivo delle complesse interazioni sociali tra i vari gruppi di individui e lo studio delle popolazioni che vivono in quella zona di Mediterraneo.
Il sistema automatizzato ha vari campi di utilizzo nello studio e salvaguardia delle popolazioni marine, permettendo attraverso l’analisi degli spostamenti e delle abitudini dei singoli individui, la comprensione delle dinamiche dei gruppi di cetacei e delle intere popolazioni stanziali, determinando anche quelli che sono i fattori di rischio ambientale che più influenzano la vita degli animali, allo scopo di fornire informazioni utili ad interventi di tutela e protezione mirati, come l’individuazione delle aree nelle quali è più utile istituire aree protette.
Grazie a questo strumento autofinanziato dal Centro Ricerca Cetacei con il sostegno di sponsor privati (ad esempio “Yourboatnaming” di Cobelli), sono stati realizzati programmi di divulgazione e sensibilizzazione sul rispetto dell’ecosistema marino.
Il sistema D.O.C. contiene anche un archivio relativo agli spiaggiamenti di numerose specie di cetacei. Da questi dati è possibile reperire numerose informazioni riguardanti la biologia, l’ecologia, le problematiche relative alle patologie delle specie che vivono nel Mediterraneo, e indirettamente conoscere quindi il livello di contaminazione delle acque e di conseguenza avere una visione più precisa della salute dei nostri mari.
L’obiettivo del D.O.C. è quello di creare una mappatura completa della presenza e della distribuzione dei cetacei nel Mediterraneo, con particolare dettaglio per le coste della penisola italiana che sono state suddivise in aree e subaree, consentendo un’ analisi più precisa degli eventi e delle dinamiche inerenti a un particolare braccio di mare.
I dati raccolti grazie al sistema D.O.C. sono utilizzabili anche in combinazione con idrofoni subacquei per studi di bioacustica, monitorando così i suoni emessi dai cetacei che forniscono preziose informazioni sulla comunicazione intra e interspecifica e l’interazione tra le specie.
Infine, grazie alla possibilità di utilizzare il D.O.C. in modalità cloud, ricercatori che operano in diverse parti del Mediterraneo possono condividere i dati aggiornandoli in tempo reale su una piattaforma web based, rendendo la collaborazione e la condivisione delle informazioni un valido strumento per una conoscenza più approfondita dell’ecosistema marino.
I ricercatori del Centro Ricerca Cetacei danno la possibilità agli studenti universitari di poter prendere parte in prima persona all’attività di ricerca e alle attività sul campo partecipando agli stages formativi che si svolgono a bordo di Altair, la barca a vela del Centro.
Alle esperienze di ricerca possono partecipare anche i non addetti ai lavori attraverso le numerose esperienze organizzate dai ricercatori e finalizzate a far conoscere i delfini nel loro ambiente naturale.
Puoi seguire le attività del Centro sul sito www.centroricercacetacei.org e contattare direttamente i ricercatori all’indirizzo info@centroricercacetacei.org per avere tutte le informazioni e il programma completo delle attività. Buona Navigazione!
Clelia Lovato
martedì 5 febbraio 2013
BALENE: ATTIVISTI, GIAPPONE NON HA ANCORA SPARATO UN ARPIONE
Nell'Oceano Australe
5 feb 13 - La flotta baleniera giapponese non é riuscita ancora ad uccidere una sola balena, nell'annuale caccia 'scientifica' di ogni estate australe nei mari antartici, trasformatasi in un duello ad alta velocità con gli ecopirati di Sea Shepherd, che quest'anno usano tattiche sofisticate, con droni ed elicotteri.
"Stiamo inseguendo la flotta giapponese e non hanno ancora sparato un solo arpione", ha detto il comandante Paul Watson, fondatore del gruppo, parlando per telefono satellitare dall'ammiraglia Steve Irwin.
La campagna di quest'anno, la nona, soprannominata Operazione Tolleranza Zero, è la più grande finora, con quattro navi e oltre 120 manifestanti-marinai. Sea Shepherd dichiara di aver salvato le vite di 4.000 balene nelle ultime otto stagioni, con campagne di disturbo sempre più incisive. "Non tollereremo la morte di una sola balena", ha ribadito Watson.
La flotta giapponese copre attualmente un'area di centinaia di chilometri quadrati attorno all'isola australiana di Macquarie, 1.400 km a sudest della Tasmania. Una delle navi di Sea Shepherd, la Brigitte Bardot, ha intercettato la settimana scorsa la nave arpionatrice Yushun Maru tre, a nord rispetto ai banchi di krill di cui si nutrono le balene. "La latitudine in cui l'abbiamo trovata è lontana dal continente antartico e dato che le grandi concentrazioni di balene si trovano vicino alla costa, significa che non hanno ancora cominciato la caccia", aveva annunciato su Twitter il comandante Jean Yves Terlain.
La scorsa estate il Giappone, che sfrutta una scappatoia del Trattato baleniero internazionale, era stato costretto a interrompere prematuramente la caccia 'scientifica' a causa degli attacchi di Sea Shepherd, dopo aver catturato appena 172 balene, un quinto della quota prefissata.
(ANSA)
Nell'Oceano Australe
5 feb 13 - La flotta baleniera giapponese non é riuscita ancora ad uccidere una sola balena, nell'annuale caccia 'scientifica' di ogni estate australe nei mari antartici, trasformatasi in un duello ad alta velocità con gli ecopirati di Sea Shepherd, che quest'anno usano tattiche sofisticate, con droni ed elicotteri.
"Stiamo inseguendo la flotta giapponese e non hanno ancora sparato un solo arpione", ha detto il comandante Paul Watson, fondatore del gruppo, parlando per telefono satellitare dall'ammiraglia Steve Irwin.
La campagna di quest'anno, la nona, soprannominata Operazione Tolleranza Zero, è la più grande finora, con quattro navi e oltre 120 manifestanti-marinai. Sea Shepherd dichiara di aver salvato le vite di 4.000 balene nelle ultime otto stagioni, con campagne di disturbo sempre più incisive. "Non tollereremo la morte di una sola balena", ha ribadito Watson.
La flotta giapponese copre attualmente un'area di centinaia di chilometri quadrati attorno all'isola australiana di Macquarie, 1.400 km a sudest della Tasmania. Una delle navi di Sea Shepherd, la Brigitte Bardot, ha intercettato la settimana scorsa la nave arpionatrice Yushun Maru tre, a nord rispetto ai banchi di krill di cui si nutrono le balene. "La latitudine in cui l'abbiamo trovata è lontana dal continente antartico e dato che le grandi concentrazioni di balene si trovano vicino alla costa, significa che non hanno ancora cominciato la caccia", aveva annunciato su Twitter il comandante Jean Yves Terlain.
La scorsa estate il Giappone, che sfrutta una scappatoia del Trattato baleniero internazionale, era stato costretto a interrompere prematuramente la caccia 'scientifica' a causa degli attacchi di Sea Shepherd, dopo aver catturato appena 172 balene, un quinto della quota prefissata.
(ANSA)
domenica 3 febbraio 2013
Svelato il segreto dei gufi:
ecco perché hanno la testa rotante
Sono in grado di ruotare il capo di oltre 270 gradi senza avere problemi di circolazione: i loro vasi sanguigni alla base del capo riescono a dilatarsi creando 'riserve contrattili' di sangue e la rete vascolare facilita l'afflusso anche durante il complesso movimento
BOSTON - I gufi hanno meno segreti. Almeno adesso sappiamo perché questi animali, e in generale gli uccelli rapaci notturni (Strigiformi), come civette, barbagianni e allocchi, sono in grado di ruotare la propria testa in ogni direzione anche di oltre 270 gradi senza avere mai problemi di circolazione sanguigna. Nello studio della Johns Hopkins University School of Medicine - pubblicato su Science - gli scienziati hanno utilizzato per la prima volta Tac e angiografia per analizzare l'anatomia di decine di esemplari di uccelli notturni: negli umani, l'improvvisa rotazione della testa può provocare un allungamento dannoso dei vasi sanguigni e perfino dei coaguli che, una volta rotti, possono innescare embolie mortali e ictus.
Per i gufi ruotare la testa in questo modo è necessario per supplire al campo visivo ridotto e alla relativa immobilità degli occhi. Ed è un processo talmente affascinante che la sua descrizione grafica è stata premiata come una delle migliori illustrazioni scientifiche del 2012.
L'IMMAGINE
Per carpire il loro segreto, i ricercatori hanno iniettato del colorante nelle arterie di questi rapaci: i vasi sanguigni alla base della testa, appena al di sotto dell'osso della mascella, hanno mostrato di riuscire a dilatarsi sempre di più man mano che il colorante entrava e di creare anche come delle piccole 'pozze' in cui il liquido fluiva come entrando in una specie di riserva. Questa dinamica contrasta fortemente con le caratteristiche anatomiche umane in cui le arterie tendono a diventare sempre più piccole man mano che si diramano. Secondo gli scienziati sono queste riserve contrattili di sangue che permettono ai gufi di soddisfare il fabbisogno di sangue del cervello e dei grandi occhi mentre ruotano la testa. La rete di supporto vascolare, con le sue numerose interconnessioni, aiuta a ridurre al minimo l'interruzione del flusso sanguigno.
(03 febbraio 2013)
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