giovedì 16 gennaio 2014

Documentando il massacro in Oceano del Sud

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Il volontario di Sea Shepherd Tim Watters, imbarcato a bordo della MV Steve Irwin, racconta le sensazioni provate nel localizzare la flotta baleniera giapponese e nello scoprire il terribile carico a bordo di una delle sue navi.

Il 5 Gennaio 2014 mi svegliai a bordo della MV Steve Irwin mentre stavamo navigando a tutta forza tra gli iceberg torreggianti, che non mi stancherò mai di ammirare. Eravamo in mare da poco più di due settimane e quella mattina, davanti a un caffè, ricordai a me stesso quanto fosse bella e selvaggia questa area, quanto fossimo fortunati ad essere qui, in questa zona del pianeta, e quanto frustrante fosse sapere che da qualche parte davanti a noi si trovavano gli arpioni degli assassini. Da diversi giorni ci stavamo avvicinando ad una zona dell’Oceano del Sud dove si sospettava ci fosse la flotta baleniera giapponese, illegalmente operante al suo interno, e il nostro programma di quel giorno era di inviare il nostro elicottero ad effettuare una serie di voli di ricognizione con l’intento di trovare la Nisshin Maru – la nave fattoria (nave sulla quale vengono macellate le balene, ndt) dei balenieri.

Come fotografo di bordo della MV Steve Irwin avrei volato con Gerry, il nostro pilota di elicottero, e con Joey, uno dei nostri video-operatori. Intorno alle 11:00 ci alzammo per il primo volo. Nel giro un’ora, osservando con attenzione una linea scura appena sotto l’orizzonte tra i ghiacci del pack, mi bloccai. Con la mia macchina fotografica feci uno scatto lungo, e, osservando il display, annunciai con aria eccitata a Gerry e Joey: “Vorrei informarmi che ho la Nisshin Maru nel mio campo visivo”.

Mentre ci avvicinavamo alla Nisshin Maru notai che stavolta c’era qualcosa di diverso. Ormai la nave mi era familiare avendola sorvolata svariate volte lo scorso anno durante la precedente Operazione Zero Tolerance, mentre inseguivamo l’intera flotta dei bracconieri nel Santuario dei Cetacei in Oceano del Sud. Cosa c’era di diverso quest’anno? Pensai che forse poteva essere una nuova struttura verso la poppa accanto allo scivolo, ma, osservando bene, vidi una serie di forme nere e grigie allungate proprio sopra lo scivolo. Mormorai: “Dannazione”, o qualcosa del genere, nel microfono di comunicazione dell’elicottero. Gerry a quel punto mi chiese cosa avessi visto ed io risposi: “Hanno delle balene”.

Cominciammo a volare in cerchio intorno alla poppa, da babordo a dritta e, mentre regolavo l’obiettivo, immagini del passato lampeggiavano nella mia testa. Quello che stavo vedendo in quel momento si intrecciava con le immagini che scorrevo, seduto davanti al mio computer, mentre venivo a conoscenza dell’uccisione di balene in Antartide. Quelle immagini che allora mi fecero infuriare e mi spinsero a prendere la decisione che mi avrebbe portato ad essere lì in quel momento, seduto in un elicottero, girando sopra l’ultima nave fattoria baleniera rimasta al mondo.

Sotto di me giacevano tre balenottere minori. Due di esse giacevano sul dorso, con le loro bianche pance esposte verso il cielo, pozze di sangue intorno a loro. La terza giaceva sullo stomaco, con la sua grande massa che spingeva verso il basso, il muso aggrottato, gli occhi chiusi. Avvicinandoci ulteriormente al retro della nave, notai che un grosso tubo era stato inserito a un lato della gola della terza balenottera, pompando acqua nel suo corpo, probabilmente per diluire il suo denso sangue in modo che, al momento della macellazione, le sue interiora fuoriuscissero facilmente dal corpo, agevolando così le successive operazioni di pulizia del ponte. Non avevo mai visto prima questa fase del “procedimento” e lo odiai in ogni sua parte. Là giaceva una splendida creatura, i suoi profili così perfettamente adatti allo scopo di nuotare per migliaia di miglia durante la sua vita, attraversando gli oceani del pianeta per alimentarsi. Accanto a lei, l’uomo, che le aveva appena imposto la sua orribile volontà, senza alcun consenso e senza alcuna considerazione per i suoi sentimenti e ragioni di vita. Nella morte, l’uomo aveva letteralmente abusato del suo corpo tagliandone le carni ed inserendo materiali da lui creati ed utilizzati solo per sua convenienza ed interesse.

Per quanto orribile fosse questa scena, peggiorò non appena girammo al lato di dritta, guardando verso la zona più aperta del ponte della nave. Qui è dove le balene vengono macellate e in questo luogo, sotto e intorno ai piedi di una ventina di uomini, giacevano i resti e il sangue di una balena recentemente fatta a pezzi. Era uno spettacolo che non avevo mai visto prima in immagini o filmati. Non potevo credere che questo massacro fosse sotto i miei occhi. Quel rosso erompeva dai ponti, scioccante e grottesco. Al centro del ponte c’era un contorto ammasso di carne. Tutto intorno in ogni direzione c’erano pezzi di carne rosso scuro, fasci di muscoli, una grande sezione di midollo spinale e anche l’inconfondibile forma della mandibola e della testa – una quarta Balenottera Miinore era appena stata massacrata qui. C’era così tanto da vedere, tanto da fotografare e, mentre riprendevo quella sezione contorta della balena nel mezzo del ponte, zoomando con l’obiettivo notai un gancio collegato ad un cavo che portava alla prua della Nisshin Maru. Mi dissi che doveva essere il punto in cui avevano attaccato il loro verricello per trascinare il corpo della balena morta dalla poppa della nave fino alla zona di macellazione. Questo ammasso, questo pasticcio, questa collezione non identificabile di muscoli, tessuti ed ossa, era tutto ciò che rimaneva di quel bellissimo e gigantesco mammifero che io ed il resto del mondo avevamo imparato ad amare nei nostri giorni su questo pianeta.

Sembrava che una battaglia avesse avuto luogo. Sapevo che la balena probabilmente era già morta prima di raggiungere questa parte della nave, ma dal centro del ponte si vedeva questa enorme pozza di sangue rappreso con strisce e spruzzi color rosso-nerastro che andavano in ogni direzione. Misi a fuoco l’equipaggio della Nisshin Maru che camminava attraverso questo sangue, sulle ossa della balena e che, dalla nostra altezza, sembrava muoversi come formiche sulla carcassa di un animale morto sul marciapiede. Ognuno di essi aveva in mano una grande lama, un coltello, un gancio, o talvolta tutte e tre le cose. Ogni individuo si muoveva da una sezione all’altra dei resti della balena, o per tagliare un pezzo di carne di dimensioni gestibili, o per conficcare un gancio nella carne prima di trascinarla via in un’altra zona della nave. Mi ricordai che, se avessi dovuto credere al governo del Giappone, allora questi sarebbero stati i suoi scienziati. Tutto ciò che vedevo in realtà erano macellai che selezionavano i loro tagli di carne, separando le sezioni principali della carne da quelle che essi ritenevano inutili e che venivano quindi trascinate a babordo della nave, su un nastro trasportatore, per essere ributtate nei mari selvaggi dell’Antartide, libere di volteggiare lontano dalle sanguinarie e assassine mani dell’uomo.
Continuammo a sorvolare quel macello, segnalando la posizione alla MV Steve Irwin, che a sua volta la riferì alla MV Sam Simon e alla MV Bob Barker. Sea Shepherd aveva accerchiato la flotta baleniera che non aveva vie d’uscita. Il loro gioco era finito, erano stati colti in flagrante e avevamo immortalato la loro vergogna – esponendo al mondo intero la realtà e la brutalità di questa tragedia in Antartico.

A corto di carburante, tornammo sulla MV Steve Irwin. Facemmo altri due voli quel giorno. Nel tempo che il secondo volo decollasse e raggiungesse la Nisshin Maru, poco più di un’ora dopo, tutte e tre le balene erano state distrutte e impacchettate, i ponti ripuliti.
Rivedendo le immagini, capii finalmente cosa vi fosse di diverso sulla Nisshin Maru quest’anno. Non era l’aggiunta di una nuova struttura e non era il fatto che avessero le balene a bordo. Quello che capii fu che l’anno scorso (e prima di allora), i ponti della Nisshin Maru erano di legno marrone scuro. Quest’anno erano di un colore giallo crema. Chiunque abbia voluto questo cambiamento deve poi aver realizzato che ciò ha reso il loro assassinio ancor più evidente agli occhi del mondo. I ponti così chiari fungevano da tela perfetta per esporre quello spettacolo cruento che è la caccia alle balene, creando un contrasto scioccante tra il bianco e il rosso, senza poter in nessun modo nascondere questo crimine.
Ora, pensando a quello che vidi quel giorno, mi piacerebbe sedermi con un rappresentante del governo del Giappone e chiedergli di spiegarmi se ciò a cui assistetti fosse scienza. Come mai in un breve lasso di tempo l’equipaggio della Nisshin Maru fu in grado di prendere quattro balene e tagliarne le carni in pezzi di dimensioni uniformi, conservati in contenitori di plastica, esattamente come i pezzi di carne di balena che ho visto in vendita nei mercati giapponesi? Come avrebbero potuto studiare le balene in quel brevissimo lasso di tempo e cosa sarebbe poi accaduto di quella carne? Dicono che non fosse destinata alla vendita commerciale, ma come posso crederlo? Se tutte le 1.035 balene che mirano a catturare dovessero essere tagliate e confezionate allo stesso modo, significa che la scienza richiede 1.035 campioni? Che cosa stanno cercando?

Naturalmente la risposta che noi tutti conosciamo è che quella non sia scienza. La domanda non si pone nemmeno. Tuttavia, mi piacerebbe ancora sedermi con tale rappresentante e mi piacerebbe che il mondo intero fosse lì, in modo che tutti insieme potremmo chiedergli: “Perché? Perché avete bisogno di fare questo? Perché pensate di avere il diritto di fare questo?”

Il mondo ha deciso nel 1986 che non ci fosse più posto per la caccia alle balene. Abbiamo imparato la lezione. Abbiamo deciso che eravamo al di sopra di questa pratica criminale e immorale che aveva distrutto le vite di tanti animali innocenti senza alcuna considerazione per il loro diritto di vivere e per il ruolo che hanno giocato nel grande groviglio della vita su questo pianeta. Eppure continua e chi può fermarlo se i governi di tutto il mondo non fanno nulla? Anche qui, a bordo della Steve Irwin ai confini del pianeta, sappiamo che queste immagini e il filmato che abbiamo girato il 5 Gennaio 2014 stanno toccando le coscienze di tutto il mondo. Sappiamo che state vedendo tutto quello che noi abbiamo visto quel giorno, che vi ha colpiti. Vi sentite arrabbiati, vi sentite tristi, pensate che quello che è successo quel giorno non debba accadere mai più. Sappiamo anche che i governi di tutto il mondo potranno vedere questo filmato e non dubito che anche loro, come singoli individui, proveranno gli stessi nostri sentimenti, ma la differenza tra noi e loro è che loro hanno il potere di dire “quel che è troppo è troppo” e applicare questo potere assicurandosi che il governo del Giappone rispetti il diritto internazionale.

Mi ricorderò sempre di quello che vidi quel giorno e che spero di non rivedere mai più. Tuttavia, so che questo succede, che ancora oggi la flotta baleniera giapponese continua ad uccidere illegalmente balene. Quindi, in un certo senso, sono contento del fatto che siamo riusciti ad immortalare quella scena in quel preciso istante, assicurandoci così che almeno queste quattro balene non siano morte invano. Abbiamo mostrato al mondo quello che sta succedendo qui in Antartide e faremo tutto il possibile per fare in modo che non una singola altra balena venga uccisa per mano loro, ma ora sta a voi giocare il vostro ruolo, è il vostro turno. Se anche voi volete vedere la fine di questo massacro, allora è vostra responsabilità capire quale sia il modo migliore per aiutare. O attraverso il sostegno materiale alle nostre navi in modo che altre balene non vengano uccise, o facendo pressioni al vostro governo mostrando la vostra rabbia per il fatto che non stiano facendo nulla per fermare il massacro, oppure condividendo le nostre immagini e i nostri filmati con i vostri amici e familiari – ogni piccolo gesto conta.

Quello che posso dirvi è che sta noi, persone che tengono al pianeta, fermare la caccia alle balene. Le balene hanno bisogno di noi ora più che mai e spero che la morte di queste balene possa ispirarvi abbastanza da aiutare i loro fratelli e sorelle che oggi nuotano liberamente con i loro piccoli nell’Oceano Antartico, ma che un domani potrebbero dover affrontare gli arpioni esplosivi della flotta baleniera.

Per approfondimenti:
www.seashepherd.org.au
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