sabato 31 agosto 2013

Le balene si abbronzano e si scottano come noi
Uno studio inglese afferma che l’esposizione al sole dei cetacei può scurire la pelle, ma anche causare lesioni
Le balene si abbronzano. Questi cetacei, infatti, hanno mostrato una reazione della pelle al sole, che aumenta il suo pigmento in risposta alla luce. Lo studio, pubblicato su “Scientific Reports”, pubblicazione del gruppo “Nature”, è opera degli scienziati della Newcastle University.

Alcune specie di balene, hanno spiegato gli studiosi, diventano più scure con l’esposizione ai raggi Uv, incorrendo in danni al Dna della loro pelle, esattamente come gli esseri umani, che si accumulano nel corso del tempo man mano che le cellule della pelle invecchiano. In particolare, il team ha esaminato campioni provenienti da balene blu e capodogli. Le balene blu, che di solito hanno una pigmentazione molto pallida, mostravano durante la migrazione un cambiamento del pigmento compatibile con danni al Dna mitocondriale, dovuto all’esposizione ai raggi Uv. I capodogli, invece, hanno un meccanismo protettivo diverso, che innesca una risposta allo stress per proteggere i propri geni. Le balene più scure, invece, sono più resistenti ai danni del sole e hanno meno lesioni dovute a scottature.

30 agosto 2013
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venerdì 30 agosto 2013

Russia, in Yakuzia si spara agli orsi affamati dopo le inondazioni

Tutti i frutti di bosco nelle valli sono stati distrutti, gli orsi non hanno nulla da mangiare
 
30 agosto 2013 - La regione della Yakuzia, nell’estremo oriente russo, ha deciso di consentire l’abbattimento degli orsi affamati e aggressivi, diventati un grosso pericolo per la popolazione dopo che le inondazioni nell’area hanno distrutto la loro principale fonte di sostentamento, i frutti di bosco. “Ci sono stati sei casi di attacchi di orsi alle abitazioni” in una sola cittadina, Srednekolymsk, sul fiume Kolyma, ha detto il capo del dipartimento regionale per la caccia Nikolai Smetanin. “Entrano e svuotano i frigoriferi” ha detto all’AFP. “Un orso è salito sulla barca di una famiglia che stava raccogliendo frutti di bosco. Altri saccheggiano i cimiteri”. Gli orsi della regioni sono soliti trascorrere il mesi estivi ingozzandosi di bacche selvatiche, mirtilli, mirtilli rossi e cranberries, ma le inondazioni delle scorse settimana hanno distrutto gran parte del raccolto. “Tutti i frutti di bosco nelle valli sono stati distrutti, gli orsi non hanno nulla da mangiare” ha detto Smetanin. “E’ una catastrofe deprimente”.  
Gli abitanti hanno chiesto alle autorità di fare qualcosa, e queste hanno deciso di consentire l’abbattimento degli orsi aggressivi. “La gente dovrà chiamare i cacciatori” in situazioni pericolose, ha spiegato.  

Gli attacchi degli orsi agli uomini sono molto rari, ma gli abitanti delle regioni dell’estremo oriente russo, popolate dagli orsi, guardano con occhio attento i raccolti di bacche selvatiche ogni anno, sapendo che la scarsità di frutti rende gli animali affamati e più inclini ad attaccare i centri abitati.  
La Yakuzia, un’enorme regione scarsamente popolata nel nordest russo, coperta di foreste e tundra, fornisce una gran quantità di pelli al settore della pellicceria, ma gli abitanti di norma non cacciano orsi. “Rispettiamo l’orso, lo trattiamo come un altro cacciatore. Non ci sarà uno sterminio di orsi” ha detto Smetanin.  

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martedì 27 agosto 2013

Nate ventuno Carette, turisti mobilitati

Schiusa nella notte, evento sul litorale di Strongoli Marina

Nate ventuno Carette, turisti mobilitati
STRONGOLI (CROTONE) - Ventuno tartarughe marine della specie 'caretta caretta' sono nate nella notte sulla spiaggia di Strongoli Marina. Ad accorgersi della schiusa un gruppo di turisti presenti nella località del crotonese che ha notato i piccoli dirigersi verso la strada attratti dalla luci dell'abitato. 
Avvisate le autorità comunali di Strongoli, grazie all'opera di alcuni volontari, si è provveduto a recuperare le piccole tartarughe e riportarle nel nido che è stato presidiato.

27 agosto 2013

ANSA

sabato 24 agosto 2013

Fukushima: le autorità parlano di catastrofe planetaria

24 agosto 2013

Clicca per ingrandireIl mondo si è distratto ma farebbe bene a preoccuparsi per quanto sta accadendo in Giappone nell'area della centrale nucleare di Fukushima. Inizialmente, le autorità giapponesi avevano classificato la gravità della recente perdita di materiale radioattivo al livello 1, il più basso, su una scala di 7 livelli.
Ma alla fine l'autorità nucleare ha dovuto ammettere la pericolosità dell'accaduto. L'agenzia di stampa Kyodo ha reso noto che una pozza di acqua contaminata rinvenuta nel sito sta emettendo 100 millisievert di radiazioni all'ora.
Intervistato dall'agenzia Reuters, Masayuki Ono, il general manager della Tepco, la società proprietaria del sito, ha ammesso che “100 millisievert l'ora sono il limite di esposizione accumulata nell'arco di cinque anni dai dipendenti che lavorano per la centrale; dunque, si può dire che abbiamo rinvenuto livelli di radiazione abbastanza forti da colpire un individuo con una dose di radiazione di cinque anni in un'ora”.
Il problema e che l'acqua radioattiva presente nel terreno di Fukushima si sta ormai riversandonel mare, e fino a 40.000 miliardi di becquerel (unità di misura del Sistema internazionale dell'attività di un radionuclide, con 1 Bq che corrisponde ad 1 disintegrazione al secondo) si stanno riversando nell'Oceano Pacifico.
La stessa Tepco ha dovuto ammettere che tra i 20.000 e i 40.000 miliardi di becquerel di trizio (isotopo radioattivo) si sono riversati nell'oceano.
Alle devastanti e inquietanti devastazioni ecologiche si sommano anche quelle economiche, particolarmente dolorose per un Giappone che solo adesso sembrava riprendersi dalla crisi e dalla stagnazione che lo avevo colpito nel 1997.
Sui mercati infatti si è diffuso il panico e alla Borsa di Tokyo i guadagni accumulati sino a quel momento sono evaporati completamente segnando il tracollo improvviso di 250 punti dell'indice azionario Nikkei 225 in seguito alle notizie sulle fuoriuscite radioattive da Fukushima.

Fonte: contropiano.org

giovedì 22 agosto 2013

Fukushima, il mare è troppo radioattivo: rinviata la riapertura della pesca

Tepco: «Dal maggio 2011 finiti in mare 30 trilioni di becquerel di stronzio e di cesio radioattivi»

pesce radioattivo simpson
[22 agosto 2013] I test per il riavvio della pesca, inizialmente previsti per il 5 settembre da parte di una cooperativa di pescatori della città di Iwaki, nella prefettura di Fukushima, sono stati rinviati a causa del nuovo sversamento di acqua radioattiva avvenuto nella centrale nucleare di Fukushima Daiichi.  Secondo i media locali giapponesi la cooperativa ha volontariamente sospeso le sue attività dopo la catastrofe nucleare del 2011.

Il capo della cooperativa, Masakazu Yabuki, oggi ha spiegato: «Noi pensiamo che la decisione di rinviare l’operazione sia logica, dato che intendiamo parlare dei problemi causati dalla fuga quotidiana nell’oceano delle acque contaminate. Pensiamo di condurre i test quando la situazione migliorerà».

I pescatori dell’area di Fukushima contano di riuscire a vendere il loro pescato dopo un controllo che  garantisca l’assenza di contaminazione radioattiva e confermi la sicurezza alimentare dei pesci, ma la cooperativa non ha ancora fissato la nuova data per effettuare i primi test di pesca, visto che quanto catturato nell’oceano Pacifico davanti a Fukushima Daiichi non avrebbe nessun mercato in Giappone.

Intanto cresce l’irritazione di Cina, Corea del Sud e Taiwan per il continuo sversamento di sostanze radioattive in mare che mette a rischio gli stock di pesci utilizzati anche da loro.
Le notizie che vengono dalla Tokyo electric power company (Tepco) non sono certo rassicuranti. L’ex gestore ed ora liquidatore di Fukushima Daiichi ha ammesso che 30 trilioni di becquerel di stronzio e di cesio radioattivi sono finiti in mare dal maggio 2011. Anche se in molti dicono che la cifra in realtà sarebbe molto più alta, i numeri della Tepco sono decine di volte superiori ai limiti di pericolosità, nonostante l’utility abbia escluso dal conteggio i primi 2 mesi del disastro nucleare, quando le emissioni erano ancora più radioattive.

Le nuove stime sono incluse in un nuovo rapporto della Tepco sul continuo sversamento di acque sotterranee contaminate in mare. L’utiliy dice che «Fino a 10 trilioni di becquerel di stronzio ed a  20 trilioni di becquerel di cesio si sono riversate in mare dal maggio 2011», una cifra è enormemente al di là del limite di emissioni annuali previsto dalla Tepco: 220 miliardi di becquerel in circostanze normali. L’azienda dice che il calcolo è stato basato sui livelli di radioattività rilevati all’interno della baia dell’impianto e sul presupposto che sono in corso altre fughe di acqua radioattiva. Ma il network radiotelevisivo giapponese Nhk avverte che «La cifra è destinata a crescere dal momento che la Tepco non è riuscita a fermare completamente il flusso di acque sotterranee contaminate in mare». La stessa utility ammette che «E’ difficile determinare l’esatta quantità di fuoriuscita di cesio e stronzio perché sono facilmente assorbiti nel terreno», quindi farà valutare  ulteriormente la situazione da parte di esperti.

Intanto a Fukushima Daiichi sono al lavoro gli ispettori per controllare la presenza di perdite nei circa 350 serbatoi di stoccaggio dell’acqua altamente radioattiva pompata dai sotterranei e dalle trincee degli edifici dei reattori esplosi. Vogliono capire se il serbatoio lesionato che ha scaricato in mare più di 300 tonnellate di acqua altamente radioattiva sia l’unico, perché temono che acqua contaminata continui a filtrare in mare attraverso un sistema di drenaggio.
Ieri i “liquidatori” hanno finito di trasferire le restanti 700 tonnellate di acqua contaminata in un altro serbatoio ed ora stanno esaminando il serbatoio lesionato per identificare l’origine della perdita. ma un’indagine completa potrà iniziare solo la prossima settimana, a causa dell’alto livello di radiazioni all’interno del serbatoio.

Per questo i liquidatori della Tepco hanno rivolto la loro attenzione a circa 350 serbatoi dello stesso tipo, realizzati in lastre di acciaio imbullonate insieme, invece che saldate. In realtà lo staff della Tepco sta effettuando ispezioni visive e misurare i livelli di radiazione intorno ai serbatoi e dice che i controlli dovrebbero terminare entro domani.

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Una vittoria del buon senso nella legge di conversione del decreto svuota carceri 
Incendi un bosco? Ti aspetta il carcere: finalmente torna la galera per i piromani
Un grande successo per la campagna di Diritto all’ambiente, rilanciata da greenreport.it

piromane
E’ stato ripristinato il carcere per i criminali incendiari che bruciano i nostri boschi. La legge di conversione del “decreto svuota carceri” dopo la campagna lanciata da “Diritto all’ambiente” e condivisa da tante associazioni ambientaliste e di categoria, rilanciata da tanti organi di stampa e fatta propria anche da molti parlamentari, ci ripensa e prevede nuovamente l’espiazione della pena detentiva in carcere per chi viene condannato per il reato di incendio boschivo.

Ma vediamo nei dettagli che cosa è successo.
“Diritto all’ambiente” andando a “scavare” tra le pieghe del decreto-legge svuota carceri (D.L. 1° luglio 2013, n. 78) scopre una novità incredibile: è stato eliminato il carcere per i criminali incendiari.  Il 10 luglio 2013 pubblichiamo su queste pagine un articolo di denuncia di questo fatto sconcertante. Vale la pena riportare il testo di tale articolo pregresso per inquadrare nei dettagli la silente ma rilevantissima operazione di modifica apportata sul Codice di Procedura penale che – di fatto – toglieva ogni effetto deterrente e repressivo al reato di incendio boschivo atteso che i criminali incendiari avevano a quel punto la certezza che anche in caso di condanna (alla pena della reclusione per tale gravissimo delitto) non avrebbero scontato in sede di esecuzione della sentenza un solo giorno in carcere ma sarebbero stati affidati ai servizi sociali o -  al massimo – posti agli arresti domiciliari…
Un fatto che noi abbiamo ritenuto – appunto -  sconcertante sotto il profilo della politica di contrasto a tali devastanti crimini ambientali.  Ed abbiamo denunciato questa silenziosa modifica con l’articolo che si riporta in nota.[1]
La nostra presa di posizione viene ripresa e condivisa da un vasto arco di forze sociali, ambientaliste e di categoria oltre che da organi di stampa on line e su carta.
“Greenreport” (autorevole e diffuso quotidiano on line) riporta subito l’informazione con ampio spazio nei titoli di testa. Prendono subito dopo posizione il SAPAF (Sindacato Autonomo Polizia Ambientale Forestale), il WWF Italia, Legambiente, la LAV, L’Associazione Italiana Agenti e Ufficiali di Polizia Provinciale (che hanno tutti anche redatto e diffuso approfonditi e coraggiosi comunicati sul problema, riportati sul nostro sito), e tanti altri organismi. Il movimento di opinione di reazione negativa a tale provvedimento normativo si estende fino a coinvolgere diversi parlamentari di diversa collocazione politica che si impegnano per contrastare tale aspetto del decreto-legge in sede di conversione in legge.
E così poi è stato. In sede di conversione in legge di tale decreto-legge, già nella prima fase di esame vi è stata la decisione condivisa di ripristinare il carcere per gli incendiari. Il testo è infatti subito oggetto di modifica condivisa,  attese anche le emergenti prese di posizione sul punto a livello sociale e sulla stampa.
Ed infatti dopo l’approvazione definitiva della legge di conversione (legge 9 agosto 2013, n. 94, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° luglio 2013, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena – GU Serie Generale n.193 del 19/8/2013) il provvedimento in questione è stato di fatto cancellato e viene ripristinato il carcere per gli incendiari.
Una volta tanto, nel campo ambientale una vittoria del buon senso sulle assurdità di evoluzioni normative.
Tecnicamente, il ripristino della espiazione di pena detentiva in carcere per i criminali incendiari è stato raggiunto in sede di conversione in legge del decreto in questione con una operazione di cesellamento giuridico dei testi di legge che a prima vista non è di facile ed evidente lettura. Vanno infatti letti attentamente il testo della legge di conversione ma anche il testo ufficiale coordinato atteso che in pratica si tratta di una modifica sulla modifica…
Infatti, si è di nuovo operata una modifica del testo del comma 9 lett. a) dell’art. 656 del Codice di Procedura Penale che ha sostituito integralmente la pregressa modifica operata in via originaria dal decreto-legge. Dunque, di fatto, è stata radicalmente rimossa la pregressa modifica e sostituita con quella dettata adesso dalla legge di conversione.  E questa seconda e definitiva modifica del comma 9 lett. a) dell’art. 656 del Codice di Procedura Penale fa salvo adesso il reato di cui all’art. 423/bis del Codice Penale tra i reati per i quali non è possibile accordare le espiazioni di pene diverse dal carcere. Di fatto, per il reato di incendio boschivo in tale punto del Codice di Procedura Penale siamo tornati alla situazione antecedente al contestato decreto-legge originario. Mentre sono attive le altre modifiche che non riguardano comunque i responsabili di incendi boschivi. Per chiarezza, e per evitare equivoci di lettura, si riporta il seguente riassunto schematico.
Comma 9 lett.a) dell’art. 656 del Codice di Procedura Penale pre-decreto legge svuota carceri:
9. La sospensione dell’esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta:
a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, nonche’ di cui agli articoli 423-bis, 624, quando ricorrono due o piu’ circostanze tra quelle indicate dall’articolo 625, 624-bis del codice penale, e per i delitti in cui ricorre l’aggravante di cui all’articolo 61, primo comma, numero 11-bis), del medesimo codice, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell’articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni:
(…) 
Come si vede,  il reato di incendio boschivo era tra quelli per i quali non era possibile concedere ai responsabili condannati alla pena della reclusione con sentenza definitiva l’espiazione della pena al di fuori del carcere.
Comma 9 lett. a) dell’art. 656 del Codice di Procedura Penale dopo il decreto legge svuota carceri:
9. La sospensione dell’esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta:
a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonché di cui agli articoli 572, secondo comma, e 612-bis, terzo comma, del codice penale:

(…) 
Appare evidente che era totalmente scomparso il reato di cui all’art. 423/bis del Codice Penale da tale testo e dunque era stato totalmente eliminato il carcere per gli incendiari in sede di esecuzione della pena.
Successivamente interviene la legge 9 agosto 2013, n. 94 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° luglio 2013, n. 78, la quale azzera tutto questa modifica e su questo aspetti specifico prevede (nel testo coordinato ufficiale pubblicato nella GU Serie Generale n.193 del 19/8/2013): 

“3) al comma 9, sono apportate le seguenti modificazioni:
(( a) nella lettera a), le parole da: “624″ fino a:  “dall’articolo 625″ sono sostituite dalle seguenti: “572,  secondo  comma,  612-bis, terzo comma” e le parole da: “e per i delitti” fino a: “del  medesimo codice,” sono soppresse; )) 
Consegue che si rinnova totalmente la modifica sul testo dell’art. 656 del Codice di Procedura penale e dunque la versione definitiva di tale modifica (oggi vigente) è la seguente: 

Comma 9 lett. a) dell’art. 656 del Codice di Procedura Penale dopo la modifica definitiva apportata dalla  legge 9 agosto 2013, n. 94 di conversione con modificazioni, del decreto-legge 1° luglio 2013, n. 78: 
9. La sospensione dell’esecuzione di cui al comma 5 non può essere disposta:
a) nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, nonche’ di cui agli articoli 423-bis, , 572, secondo  comma, 612-bis, terzo comma, 624-bis del codice penale, fatta eccezione per coloro che si trovano agli arresti domiciliari disposti ai sensi dell’articolo 89 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni;

(…)
Come si vede,  il reato di incendio boschivo torna oggi tra quelli per i quali non è possibile concedere ai responsabili condannati alla pena della reclusione con sentenza definitiva l’espiazione della pena al di fuori del carcere.
Ci sembra che questa modifica definitiva sia ragionevole e sensata e conseguente al forte movimento di opinione che si è creato dopo la incredibile cancellazione della pena detentiva in sede di espiazione operata dal decreto-legge originario per i criminali incendiari che oggi – di nuovo – non possono più contare su nessuna benevolenza giudiziaria nei loro riguardi. Una benevolenza procedurale incredibile, oggi azzerata, ma in ordine alla quale resta comunque sempre da chiedersi come (e da chi e per quale motivo) sia stata promossa, atteso che era diretta a beneficio di chi ogni estate devasta il nostro patrimonio boschivo…

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A cura di Maurizio Santoloci, Diritto all’ambiente

mercoledì 21 agosto 2013

Aree protette e biodiversità
Militari contro mammiferi marini: l’Us Navy respinge la richiesta di tutela dai sonar


[21 agosto 2013]

sonar cetacei
La marina militare americana ha detto che intende ignorare le raccomandazioni della California Coastal Commission (Ccc) di attenuare gli effetti nocivi sui mammiferi marini dei sonar utilizzati dalla Us Navy durante le esercitazioni.

In una lettera datata 31 luglio 2013, la Marina Usa risponde all’obiezione della Ccc scrivendo semplicemente che l’esercitazione ed i test previsti al largo della Southern California saranno tenuti ugualmente anche se violano la legge sulla costa della California.

I piani dell’Us Navy prevedono, a partire da gennaio 2014, un forte aumento delle esercitazioni sonar e di detonazioni subacquee al largo della California meridionale, la marina dice che la cosa è oggetto di trattativa, ma nella lettera inviata alla Ccc si rifiuta di rispettare una delle misure di mitigazione raccomandate dello Stato, come ad esempio evitare le esercitazioni  nell’importante habitat di foraggiamento della balenottera azzurra in via di estinzione.

Eppure la richiesta della California viene dopo che nuovi studi, realizzati anche dalla Nato, dimostrano che le attività nel mare della California stanno danneggiando mammiferi marini, come le balenottere azzurre e gli zifi, molto di più di quanto si credeva in precedenza.

A partire dal prossimo gennaio, la Us Navy prevede di aumentare drasticamente il sonar training e le esplosioni subacquee al largo della California meridionale nel corso dei prossimi 5 anni. La stessa Marina Militare stima che questo comporterà l’uccisione di almeno 130 mammiferi marini e ne renderà sordi  definitivamente circa 1.600 (condannandoli praticamente a morte), alterando in maniera significativa l’alimentazione, il parto ed  altri comportamenti vitali dei cetacei. Rispetto alle sue precedenti esercitazioni nella regione, queste cifre rappresentano un aumento del 1.300%.

Ogni anno, la Navy dovrebbe realizzare più di 10.000 ore di test con high-intensity military sonar, gli stessi che hanno ucciso e lesionato cetacei in tutto il mondo. Inoltre, la Marina Usa vorrebbe far esplodere più di 50.000 ordigni subacquei al largo della costa della California meridionale. Centinaia di queste bombe sono in grado di affondare una nave da guerra.

Per alcune specie, come le magnifiche balene grigie che migrano su e giù per la costa californiana, l’impatto si annuncia tremendo e sull’intera popolazione, ma i mammiferi marini più vulnerabili sono gli zifi, considerati estremamente sensibili ai sonar, con lesioni e morti documentati dagli stessi studi Nato. Un recente studio  del governo Usa ha rivelato che le popolazioni di zifi negli ultimi 20 anni sono fortemente diminuite in California e suggerisce che l’areale riproduttivo della balenottera azzurra si sta sempre più riducendo, rendendo difficile l’allevamento dei cuccioli.

Secondo Michael Jasny, direttore del progetto mammiferi marini del Natural Resources Defense Council, «Il piano della Marina di aumentare notevolmente il suo sonar training  e le detonazioni subacquee al largo della costa della Southern California non deve andare a scapito della vita marina dello Stato. La sua proposta ignora palesemente la nuova scienza che dimostra che gli attuali livelli di esercitazioni potrebbero già essere devastanti per le popolazioni di zifi della California ed impedire alle balenottere azzurre in via di estinzione di  recuperare dalla quasi estinzione. La Coastal Commission ha proposto misure ragionevoli che tengano conto della necessità di flessibilità della Marina Militare, offrendo una maggiore protezione alle specie vulnerabili. Il rifiuto della Navy di adottare queste misure mette in pericolo la vita marina della California».


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Fukushima: incidente di livello 3, fuoriusciti migliaia di trilioni di becquerel di sostanze radioattive
Nra: «Più di 350 serbatoi come quello lesionato: si deve presumere che qualcosa di simile si verifichi negli altri»


radioactive
La Nuclear Regulation Authority  (Nra)  ha annunciato che potrebbe aumentare di 2 punti il livello Ines di gravità delle ultime perdite di acqua contaminata dalla centrale nucleare di Fukushima.

Greenreport.it è stato tra i primi giornali italiani a dare notizia dello sversamento di acqua altamente radioattiva dai serbatoi di stoccaggio costruiti  su una collina accanto al reattore numero 4. L’Nra aveva  provvisoriamente classificato il problema  a livello 1 della scala Ines degli incidenti nucleari,  ma ora l’autorità nucleare giapponese, di fronte alle ammissioni e ai dati della stessa Tokyo electric power company (Tepco), che oggi parlava apertamente di incidente di livello 3, sta valutando se portare ufficialmente lo sversamento di più di 300 tonnellate di acqua contaminata scoperto ieri  al livello di incidente grave, con  forte rischio per l’ambiente e la salute umana.

Nel documento pubblicato oggi sul sito dell’Nra si legge: «A giudicare dalla quantità e la densità della radiazione nell’acqua contaminata che è stata presa [...] una valutazione di livello 3 è appropriata». La riclassificazione al rialzo per la fuoriuscita di acqua a Fukushima Daiichi è ormai cosa certa, ma la Nra intende chiedere il parere dell’Agenzia internazionale dell’International atomic energy agency  prima di procedere.

D’altronde quell’acqua, uscita da serbatoi che avrebbero dovuto garantire la sicurezza,  dovrebbe contenere migliaia di trilioni di  becquerel di sostanze radioattive. Lo sversamento radioattivo sarebbe quindi paragonabile all’incendio che nel  1997 colpì l’impianto di ritrattamento  di Tokai, nella prefettura di Ibaraki, causando la fuoriuscita di materiale radioattivo e la contaminazione di 37 persone.  Tanto per capire quanto fosse sicuro il “supersicuro” nucleare giapponese, sempre a Tokai, nel 1999  c’è stato un incidente di livello 4.

La Tepco è in pieno caos e anche il governo filonucleare di centro-destra è nei guai per la contaminazione dell’Oceano Pacifico che era riuscito a tenere seminascosta fino alle recenti elezioni. Oggi la Tepco ha detto che invierà il suo vicepresidente Zengo Aizawa, che dirige la divisione nucleare, nella prefettura di Fukushima per prendere il comando diretto delle attività di smantellamento della centrale.

È abbastanza singolare che questa mossa venga presentata come un chiarimento della catena di comando  (evidentemente saltata da tempo) e per facilitare la condivisione di informazioni tra lo staff della Tepco. Oggi, durante una conferenza stampa,  Aizawa è scusato perché la Tepco «continua a causare così tanti problemi e preoccupazione quasi 2 anni e mezzo dopo la incidente alla centrale. Affronterò le perdite d’acqua come una questione della massima priorità».

Intanto il capo della Nra, Shunichi Tanaka, ha chiesto una verifica immediata di tutti i serbatoi d’acqua della centrale di Fukushima Daiichi e ha rivelato che nell’impianto nucleare  ci sono  circa 350 altri serbatoi identici a quello che ha perso 300 tonnellate di acqua altamente radioattiva, aggiungendo: «Se si verifica una perdita in un serbatoio, si deve presumere che qualcosa di simile si verifichi negli altri. Tepco, il governo e l’Nra devono tutti fare del loro meglio per evitare che la situazione dell’impianto peggiori. Ho  incaricato gli ispettori dell’Nra sul posto di migliorare il monitoraggio di possibili perdite d’acqua».

Tanaka ha dovuto però riconoscere che i suoi uomini a Fukushima Daiichi a volte hanno effettuato i controlli solo visivi nei giorni di pioggia, quindi «sarebbe stato difficile scoprire le perdite dai giunti dei serbatoi».

Dall’Italia sulla vicenda interviene anche Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della Camera: «Le notizie che arrivano da Fukushima confermano la saggezza degli italiani che con il loro voto al referendum del 2011 hanno fermato la follia del ritorno al nucleare, una scelta vecchia, sbagliata, antieconomica e insicura. Il nucleare è un pessimo affare e se Enel fosse oggi impegnata nella costruzione di nuove centrali atomiche nel Paese, correrebbe il rischio di essere una ‘bad company’. Mentre il risparmio energetico, l’efficienza, le fonti rinnovabili, l’innovazione e la ricerca sono la via maestra da percorrere per rendere il nostro paese più competitivo anche sul fronte energetico».




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martedì 20 agosto 2013

Brasile, trovati 62 pinguini morti sulla spiaggia
Per gli esperti la causa potrebbe essere la fatica. Fra loro anche due testuggini


20 agosto 2013 - Almeno 62 pinguini sono stati trovati morti sulla spiaggia di Buzios, nello stato brasiliano di Rio de Janeiro. Secondo gli esperti, i pinguini sarebbero morti per la fatica dopo aver nuotato per oltre 3 mila chilometri nell’Oceano. 

Sulla stessa spiaggia sono state trovate anche due testuggini morte dopo essere rimaste impigliate nelle reti da pesca, nonostante la zona faccia parte di una riserva marina e la pesca sia vietata. 


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Malattia e guarigione sono legate al proprio modo di pensare

20 agosto 2013

Enzo SoresiEnzo Soresi, tisiologo, anatomopatologo, oncologo, già primario di pneumologia al Niguarda di Milano. Nel libro "Il cervello anarchico" racconta casi di persone uccise dallo stress o salvate dallo choc carismatico della fede
Dopo una vita passata a dissezionare cadaveri, a curare tumori polmonari, a combattere tubercolosi, bronchiti croniche, asme, danni da fumo, il professor Enzo Soresi, 70 anni, tisiologo, anatomopatologo e oncologo, primario emerito di pneumologia al Niguarda di Milano, ha finalmente individuato con certezza l’epicentro di tutte le malattie: il cervello. Negli ultimi dieci anni, cioè da quando ha lasciato l’ospedale per dedicarsi alla libera professione e tuffarsi con l’entusiasmo del neofita negli studi di neurobiologia, ha maturato la convinzione che sia proprio qui, nell’encefalo, l’interruttore in grado di accendere e spegnere le patologie non solo psichiche ma anche fisiche.

C’era già arrivato per intuizione il filosofo ateniese Antifonte, avversario di Socrate, nel V secolo avanti Cristo: «In tutti gli uomini è la mente che dirige il corpo verso la salute o verso la malattia, come verso tutto il resto». Soresi c’è arrivato dopo aver visto gente ammalarsi o guarire con la sola forza del pensiero. Primo caso: «Ho in cura una signora di Milano il cui marito, integerrimo commercialista, la sera andava a bucare le gomme delle auto. Per il dispiacere s’è ammalata di tubercolosi. 

Io lo chiamo danno biologico primario». Secondo caso: «Un agricoltore sessantenne con melanoma metastatico incontrò Madre Teresa di Calcutta, ricevette in dono un’immaginetta sacra e guarì. Io lo chiamo shock carismatico». Il professore ha dato una spiegazione scientifica al miracolo: «Il melanoma è un tumore che viene identificato dagli anticorpi dell’organismo, tant’è vero che si sta studiando da 30 anni un vaccino specifico. Non riusciamo a controllarlo solo perché l’antigene tumorale è talmente aggressivo da paralizzare il sistema immunitario. Nel caso del contadino ha funzionato una combinazione di fattori: aspettativa fideistica, strutture cerebrali arcaiche, Madre Teresa, consegna del santino. Risultato: il suo organismo ha sprigionato fiumi di interferoni e interleuchine che hanno attivato gli anticorpi e fatto fuori il cancro».
Come Soresi illustra nel libro Il cervello anarchico (Utet), già ristampato quattro volte, la nostra salute dipende da un network formato da sistema endocrino, sistema immunitario e sistema nervoso centrale. «Il secondo ci difende e ci organizza la vita. Di più: ci tollera. L’organo-mito è il linfocita, un particolare tipo di globulo bianco che risponde agli attacchi dei virus creando anticorpi. Abbiamo 40 miliardi di linfociti. Quando si attivano, producono ormoni cerebrali. Questa si chiama Pnei, psiconeuroendocrinoimmunologia, una nuova grande scienza, trascurata dalla medicina perché nessuno è in grado di quantificare quanti neurotrasmettitori vengano liberati da un’emozione.
Io e lei siamo due esperimenti biologici che datano 4 miliardi di anni. Io sono più riuscito di lei. Perciò nego la vecchiaia. Non c’è limite alla plasticità cerebrale, non c’è limite alla neurogenesi. Esiste un flusso continuo di cellule staminali prodotte dal cervello: chi non le utilizza, le perde. Le premesse della longevità sono due: camminare 40 minuti tre volte la settimana - altrimenti si blocca il ricambio delle cellule e non si libera un fattore di accrescimento, il Bdnf, che nutre il cervello - e studiare».

Secondo il medico-scrittore, è questa la strada per allungare la vita di 10 anni. «Quando ci impegniamo a leggere o a compilare le parole crociate, le staminali vengono catturate dalla zona dell’encefalo interessata a queste attività. Se io oggi sottopongo la sua testa a una scintigrafia e poi lei si mette a studiare il cinese, fra tre anni in un’altra scintigrafia vedrò le nuove mappe cerebrali che si sono create per immagazzinare questa lingua. Prenda i tassisti di Londra: hanno un ippocampo più grande perché mettono in memoria la carta topografica di una città che si estende per 6 miglia».
Il professor Soresi è cresciuto in mezzo alle lastre: suo padre Gino, tisiologo, combatteva la Tbc nel sanatorio Vialba di Milano, oggi ospedale Sacco. Si considera un tuttologo, al massimo un buon internista, che ha scoperto l’importanza della neurobiologia studiando il microcitoma. «È un tumore polmonare che ha la caratteristica di esordire con sindromi paraneoplastiche, cioè con malattie che non c’entrano nulla col cancro: artrite reumatoide, tiroidite autoimmune, sclerodermia, reumatismo articolare. È una neoplasia che nel 100% dei casi scompare con quattro cicli di chemioterapia. Eppure uccide lo stesso nel giro di sei mesi. Era diventato la mia ossessione: non riuscire a guarire una cosa che sparisce».

Com’è possibile?
«Ci ho scritto 100 lavori scientifici e ci ho messo 30 anni a capirlo: perché il microcitoma ha una struttura neuroendocrina. La massa nel polmone scompare, ma si espande con metastasi ovunque. Ne ho concluso che la medicina non è una vera scienza. Tuttalpiù una scienza in progress».

Diciamo una scienza inesatta.
«L’ho provato sulla mia pelle nel 1950. Ero basso di statura, come adesso, e mio padre si preoccupava. Eppure le premesse genetiche c’erano tutte: lui piccolo, mia madre piccola. Mi portò dal mitico professor Nicola Pende, endocrinologo che aveva pubblicato sei volumi sul timo come organo chiave dell’accrescimento. Pende mi visitò, mi palpò i testicoli e concluse: “Questo bambino ha il timo iperplastico, troppo grosso. Bisogna irradiarlo”. Se mio padre avesse seguito quel consiglio, sarei morto. Questa è la medicina, ragazzi, non illudiamoci».

Torniamo al cervello.
«Sto aspettando di diventare nonno. Il tubo neurale della mia nipotina ha cominciato a svilupparsi dal secondo mese di gravidanza. Alla nascita il cervello non sarà ancora programmato, bensì in fase evolutiva. L’interazione con l’ambiente lo strutturerà. Ora facciamo l’ipotesi che un neonato abbia la cataratta: se non viene operato entro tre mesi, i neuroni specifici della vista non si attivano e quel bimbo non vedrà bene per il resto della vita. Oppure poniamo che la madre sia ansiosa e stressata, il padre ubriacone e manesco: lei capisce bene che i segnali ricevuti dal neonato sono ben diversi da quelli che sarebbero auspicabili. E questo vale fino al terzo anno di vita, quando nasce il linguaggio, che attiva la coscienza del sé, e la persona assume una sua identità. Di questi primi tre anni d’inconsapevolezza non sappiamo nulla, è una memoria implicita, un mondo sommerso al quale nessuno ha accesso, neanche l’interessato, neppure con la psicoanalisi. Ma sono i tre anni che ci fanno muovere».

Allora non è vero che si può «entrare» nel cervello.
«Ai tempi in cui facevo le autopsie, aprivo il cranio e manco sapevo a che cosa servissero i lobi frontali. Li chiamavamo lobi silenti, proprio perché ne ignoravamo la funzione. Molti anni dopo s’è scoperto che sono la sede dell’etica, i direttori d’orchestra di ogni nostra azione».

E graziaddio avete smesso con le lobotomie.
«A quel punto sono addirittura arrivato a fare le diagnosi a distanza. Se mi telefonavano dalla clinica dicendo che un paziente con un tumore polmonare s’era messo d’improvviso a urlare frasi sconce o aveva tentato di violentare la caposala, capivo, dalla perdita del senso etico, che era subentrata una metastasi al lobo frontale destro». Ippocrate aveva definito il cervello come una ghiandola mammaria. «Aveva còlto la funzione secretiva di un organo endocrino che non produce solo i neurotrasmettitori cerebrali - la serotonina, la dopamina, le endorfine - ma anche le citochine, cioè la chiave di volta dei tre sistemi che formano il network della vita. Lei sa che cosa sono le citochine?».
Sì e no.
«Sono 4 interferoni, che aiutano le cellule a resistere agli attacchi di virus, batteri, tumori e parassiti, e 39 interleuchine, ognuna con una funzione specifica. Se sono allegro e creativo libero citochine che mi fanno bene, se sono arrabbiato e abulico mi bombardo di citochine flogogene, che producono processi infiammatori. Ecco perché il futuro della medicina è tutto nel cervello. Le faccio un esempio di come il cervello da solo può curare una patologia?». La ascolto.
«Avevo un paziente affetto da asma, ossessivo nel riferire i sintomi. Più gli davo terapie, più peggiorava. Torna dopo tre mesi: “Sono guarito”. Gli dico: senta, non abbassi la guardia, perché dall’asma non si guarisce. “No, no”, risponde lui, “avevo il malocchio e una fattucchiera del mio paese me l’ha tolto infilandomi gli spilloni nel materasso”. La manderei da un esperto in malocchi, replico io. E riesco a spedirlo dallo psichiatra Tullio Gasperoni. Il quale accerta che il paziente era in delirio psicotico. Conclusione: da delirante stava bene, da presunto normale gli tornava l’asma».

Effetto placebo degli spilloni.
«Paragonabile a quello dei finti farmaci. L’effetto placebo arriva a rispondere fino al 60% nel far scomparire un sintomo. Noi medici non possiamo sfruttarlo, altrimenti diventerebbe un inganno. Ma esiste anche l’effetto nocebo». Esemplifichi.
«Donna di altissimo livello culturale, fumatrice accanita. Il marito, un imprenditore fratello di un noto politico, la tradiva sfrontatamente con una giovane amante. Quando la informai che aveva un tumore polmonare, mi raggelò: “Non m’interessa. L’importante è che lo dica a mio marito”. Cosa che feci, anche in maniera piuttosto teatrale. Lui scoppiò a piangere, lei sfoderò un sorriso trionfale. È evidente che due anni di stress violento avevano provocato nella donna un abbassamento delle difese immunitarie. Almeno morì contenta, sei mesi dopo. Vuole un altro esempio? Una cara amica con bronchiettasie bilaterali. Antibiotici su antibiotici. Qual era il movente? Non andava più d’accordo col marito. Per due anni non la vedo. La cerco al telefono: “Enzo, mi sono separata, vado in chiesa tutte le mattine, sto bene”. L’assetto psichico stabilizzato le ha consentito di ritrovare la salute. Continuo?». Prego.
«Colf di 55 anni, origine salernitana, tradizionalista. Mai un giorno di malattia. La figlia le dice: “Vado in Inghilterra a fare la cameriera”. Stress di 10 giorni, ginocchio gonfio così. La lastra evidenzia un’artrosi della tibia: non s’era mai attivata, ma al momento del disagio mentale è esplosa. C’è voluto un intervento chirurgico».

Nel libro Il cervello anarchico lei riferisce di sogni premonitori.
«Sì. Viene da me uno psichiatra milanese, forte fumatore, con dolori scheletrici bestiali. Mi racconta d’aver sognato la sua tomba con la data della morte sulla lapide. Lastra e Tac negative. Era un tumore polmonare occulto, con metastasi ossee diffuse. Morì esattamente nel giorno che aveva sognato. Del resto lo psicoanalista Carl Gustav Jung mentre dormiva avvertì un forte colpo alla nuca, dopodiché gli apparve in sogno un amico che gli disse: “Mi sono sparato. Ho lasciato il testamento nel secondo scaffale della libreria”. L’indomani andò a casa dell’amico: s’era suicidato e la busta era nel posto indicato».

I miracoli secondo lei che cosa sono? Eventi soprannaturali o costruzioni del cervello?
«Io sono per un pensiero laico. Credo nella forza della parola. Se noi due ci parliamo, piano piano modifichiamo il nostro assetto biologico, perché la parola è un farmaco, la relazione è un farmaco. Di sicuro credere fa bene. Un gioielliere milanese mi portò la madre, colpita da metastasi epatiche. Potei prescriverle soltanto la morfina per attenuare il dolore. La compagna brasiliana di quest’uomo si chiama Maria di Lourdes e ha una sorella monaca in una congregazione religiosa che nella foresta amazzonica prega a distanza per le guarigioni. Maria di Lourdes telefonò al suo uomo dal Brasile: “Di' alla mamma che le suore pregheranno per lei all’ora X del giorno X”. Da quel preciso istante la paziente oncologica, che prima urlava per il dolore, non soffrì più».

Come si mantiene in buona salute il cervello?
«Ho un cugino architetto, mio coetaneo, che sembrava un rottame. S'è iscritto all’università della terza età, ha preso passione per la lingua egiziana, tutti i giorni sta cinque ore davanti al computer, ha già tradotto quattro libri in italiano dall’egiziano. È ringiovanito, ha cambiato faccia».

Sappiamo tutto del cervello?
«Nooo! Sul piano anatomico e biologico sappiamo intorno al 70%. Ma sulla coscienza? Qui si apre il mondo. Lei calcoli che ogni anno vengono pubblicati 25.000 lavori scientifici di neurobiologia».
Allora come fa una legge dello Stato a dichiarare morto un organo che per il 30% ci è ignoto e della cui coscienza sappiamo poco, forse nulla?
«Siccome si muove per stimoli elettrici, nel momento in cui l’elettroencefalogramma risulta muto significa che il cervello non è più attivo».

Ma lei che cosa pensa della morte cerebrale?
«Mi fermo... Però ha ragione, ha ragione lei a essere così attento alla dichiarazione di morte. Nello stesso tempo c’è un momento in cui comunque bisogna dichiarare la morte di un individuo dal punto di vista biologico». Prima del 1975 dichiaravate la morte quando il cuore si fermava, l’alito non appannava più lo specchio, il corpo s’irrigidiva.
«Eh, lo so... La morte cerebrale consente di recuperare gli organi per i trapianti».

Ha mai sperimentato su di sé disagi psichici che hanno influenzato il suo stato di salute?
«Nel 1971 ho sofferto moltissimo per la morte di mia moglie Marisa, uccisa da un linfogranuloma a 33 anni. Devo tutto a lei. Era una pittrice figurativa che andò a studiare negli Stati Uniti appena sedicenne e indossava i jeans quando a Milano non si sapeva manco che esistessero. La malattia cambiò la sua arte. Cominciò a dipingere corpi sfilacciati, cuori gettati sopra le montagne. Fu irradiata in maniera scorretta da un grande radioterapista dell’epoca, per cui nell’ultimo anno di vita rimase paralizzata. Nostro figlio Nicolò, nato nel 1968, l’ho cresciuto io. Marisa mi ha lasciato un modello perfetto: un bambino che riesce a sopportare persino la perdita più straziante solo perché la mamma ha saputo far sviluppare armonicamente il suo cervello nei primi tre anni di vita».

Autore: Stefano Lorenzetto / Fonte: ilgiornale.it

giovedì 15 agosto 2013

All’inseguimento della balena più sola del mondo: la Moby Dick d’Australia forse ha un figlio
Nel Pacifico c’è un cetaceo misterioso che “parla” con una voce unica: una missione cercherà di filmarlo
 
La foto della balena mentre si inabissa
 
I biologi marini la chiamano 52- Hertz, come l’insolita frequenza della sua voce captata nelle profondità del Pacifico. Per i romantici, molto più poeticamente, è «la balena più sola del mondo», il Leviatano che da quando è nato canta invano per attirare l’attenzione di un suo simile che forse non esiste nemmeno. Nessuno l’ha mai vista, tantomeno fotografata o filmata. È l’erede di Moby Dick, la balena delle balene, anche se per sua fortuna chi le sta dando la caccia ha intenti meno bellicosi del capitano Achab. 

La sua storia è iniziata un pomeriggio del 1989, quando la Us Navy decise di allentare i protocolli di riservatezza del Sosu (Sound Surveillance System), un sistema di idrofoni utilizzato durante la Guerra Fredda per tenere d’occhio gli spostamenti dei sottomarini sovietici. Centinaia di nastri magnetici, con i suoni registrati nelle acque abissali, furono messi a disposizione della comunità scientifica.  
L’oceanografo William A. Watkins di Cape Cod, fra i pionieri nello studio del linguaggio dei cetacei, si accorse che da qualche parte fra la California e l’Alaska c’era una balena che cantava in modo diverso da tutte le altre. Normalmente i maschi di balenottera azzurra, molto più canterini delle femmine visto che usano la voce per conquistarle, emettono suoni compresi fra i 12 e i 18 Hertz, mentre le balenottere comuni possono arrivare a 20 Hertz.  

C’era un animale, però, che produceva un suono molto più acuto, quello che nel canto umano definiremmo un falsetto. Un suono che con molte probabilità non poteva essere ascoltato da nessun’altra balena. Subito si fecero largo quattro ipotesi: che si trattasse di un esemplare malformato, di un ibrido fra una balenottera azzurra e un’altra balena, di una specie finora sconosciuta oppure dell’ultimo esemplare di una specie prossima all’estinzione. 
Watkins e la sua équipe si misero al lavoro perché quel canto, così diverso da tutti gli altri, rappresentava un’opportunità unica: avrebbe permesso di monitorare con facilità gli spostamenti di un cetaceo evitando di districarsi fra centinaia di voci tra loro troppo simili. 52-Hertz è stata seguita costantemente dal 1992 al 2004. Sappiamo con certezza che ha percorso ogni giorno della sua vita fra i 30 e i 70 chilometri, con un record stagionale di 11.062 chilometri nel 2002-2003, e che si è sempre mantenuta a una certa distanza dalle coste, a eccezione di qualche nuotatina al largo delle Aleutine e dell’isola di Kodiak. 

Nel 2004, pochi mesi dopo che un cancro si portò via il professor Watkins, la rivista «Deep Sea Research» pubblicò il risultato delle sue ricerche. È bastata la frase «Il suono appartiene a un singolo animale che non sembra però legato alla presenza o agli spostamenti di altri specie di balene» perché l’articolo, destinato agli addetti ai lavori, trasformasse 52-Hertz nella «balena più sola del mondo».  
Da allora la dottoressa Mary Ann Daher, assistente di Watkins, ha dovuto gestire l’enorme clamore mediatico suscitato dallo studio. E rispondere a centinaia di email di donne, ma anche di uomini, che le scrivevano commossi confessando di identificarsi nel cetaceo solitario. La Daher ha risposto a tutti, senza arretrare di un millimetro dal rigore scientifico:«Non sappiamo di che specie sia. Non sappiamo se ha malformazioni. Di sicuro è in salute, se è vissuta per tutti questi anni. È sola? Nessuno può dirlo. A tutti piace immaginare questa creatura che nuota solitaria nelle profondità oceaniche, continuando a cantare anche se nessun altro suo simile può ascoltarla. Ma io non posso dire che questa storia corrisponda alla verità. In ogni caso è molto triste che così tante persone si identifichino in lei».  

Non la pensa allo stesso modo il regista Joshua Zeman, rimasto talmente colpito dal fascino di 52-Hertz che in autunno salperà per il Pacifico settentrionale per cercare di immortalare la sua immagine. Ne ricaverà un documentario intitolato «Finding 52»: «Molti scienziati sono stufi di questa storia – ammette Joshua - . Credono che antropomorfizzare in questo modo la balena sia un errore. Io non ne sono convinto. E comunque solo andandola a cercare potremo rendere davvero onore alla sua storia e scoprire il suo mistero».  
Con lui ci sarà anche il professor Bruce Mate dell’Hatfield Marine Science Centre dell’Oregon State University: «Non credo che l’animale che stiamo cercando appartenga a una specie finora sconosciuta, o che sia l’ultimo esemplare di una specie prossima all’estinzione. No, non mi immagino niente di così drammatico… Più probabilmente questa balena potrebbe avere una difetto di pronuncia. Penso anche che non viva da sola e che, se riusciremo a incontrarla, scopriremo che si sposta insieme ad altri 15 o 20 esemplari della sua stessa specie, forse balenottere azzurre». 

Il centro oceanografico della dottoressa Daher sorge ad una delle estremità di Cape Cod. Davanti alle sue finestre c’è uno stretto braccio di mare da cui passa la rotta che congiunge New Bedford, il porto in cui sono ambientate le prime pagine del capolavoro di Melville «Moby Dick», a Nantucket, l’isola da cui salpa il Pequod per inseguire la balena bianca.  
La dottoressa, seduta nell’ufficio in cui è iniziata la caccia alla «balena più solitaria del mondo», preferisce non commentare la notizia della nuova spedizione. La sua email è gentile ma irremovibile: «Mi spiace, ma ho deciso di non rilasciare più interviste su 52-Hertz». Non ne può più. È comprensibile. Chissà quante volte, in questi ventiquattro anni, le sarà ronzato per la testa il consiglio dato dal cauto primo ufficiale Starbuck al capitano Achab: «Moby Dick non ti cerca. Sei tu, tu, che insensato cerchi lei!».  

È passata anche quest’anno al largo della costa orientale dell’Australia la famosa balena bianca di nome Migaloo. Ancora più entusiasmo ha suscitato l’avvistamento, per il terzo anno consecutivo, di una seconda, più giovane balena bianca, probabilmente un suo cucciolo. Migaloo, un maschio di megattera lungo circa 14 metri, fu avvistato la prima volta nel 1991 e poi decine di volte nella migrazione annuale di 12 mila chilometri della sua specie, dalle acque antartiche ai mari tropicali a nord, dove le femmine partoriscono, per poi tornare verso sud in primavera. Il suo sesso è stato stabilito nel 2004 dall’analisi di esemplari di pelle sfogliata via. Gli scienziati cercheranno ora di ottenere campioni di Dna anche del più giovane suo simile, per confermare se sono imparentati. Se così fosse, ritengono gli esperti, sarebbe un fenomeno incredibilmente raro. Migaloo di solito trascorre diverse settimane in una laguna della Grande barriera corallina e lo scorso anno è stata catturata in video mentre intratteneva il suo «pubblico» di turisti in barca con salti e tuffi.  


Francesco Moscatelli 
15 agosto 2013
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domenica 11 agosto 2013

Usa, una famiglia trova un orso bruno in cucina intento a leccare le pentole
La scoperta durante la notte, dopo essere stati svegliati dall’abbaiare del cane

11 agosto 2013 - Svegliato dal proprio cane che alle 3 di notte aveva iniziato ad abbaiare insistentemente, David Edwards della cittadina di Ketchum in Idaho, si è ritrovato in cucina un orso bruno, entrato in casa per quello che si potrebbe definire uno spuntino notturno.  

Raccontando l’accaduto al quotidiano Idaho Mountain Express, Edwards ha detto di avere scoperto l’orso mentre, in piedi sulle zampe posteriori, leccava una pentola in cui era rimasto del cibo cinese che aveva consumato a cena con la moglie. Dopo avere scoperto l’animale in cucina, Edwards è andato a svegliare la moglie Sara, che si era addormentata sul divano, per accompagnarla in camera da letto.  
Non le ha detto nulla dell’insolito lavapiatti in cucina, poiché a suo avviso la donna, già spaventata dai ragni, avrebbe “perso la testa”. Una volta portata la moglie al sicuro, Edwards è tornato in cucina ma l’ha trovata vuota, con la pentola perfettamente pulita. 

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venerdì 9 agosto 2013

Il petrolio nel parco dei Virunga

09 Agosto 2013 - Uno dei principali parchi naturali del pianeta rischia di essere trasformato in un enorme pozzo petrolifero. Si tratta del Parco nazionale dei Virunga, nella Repubblica Democratica del Congo. Il parco ospita una delle maggiori concentrazioni mondiali di meraviglie naturali: leoni, elefanti, ippopotami, scimpanzé e okapi, per non parlare dei gorilla. La compagnia petrolifera britannica Soco ha ottenuto i permessi per avviare esplorazioni petrolifere nel mezzo del parco. 
Secondo il WWF le alternative al petrolio, dalla pesca all' ecoturismo, potrebbero assicurare fino a 45 mila posti di lavoro, senza danneggiare il patrimonio forestale. Lo dimostra il rapporto del WWF "valore economico del Parco Nazionale Virunga" che sottolinea come lo sfruttamento delle concessioni petrolifere, allocate sull’85% della proprietà del Patrimonio Mondiale dell’Umanità, potrebbe portare ad inquinamento, instabilità e disoccupazione.
"Il Virunga rappresenta una risorsa preziosa per la Repubblica Democratica del Congo e contribuisce al patrimonio dell’Africa come parco più antico e più ricco di biodiversità del continente - si legge nel rapporto - I piani di esplorazione e di sfruttamento delle riserve petrolifere mettono il valore del Virunga a serio rischio".
Per queste ragioni in giugno l’UNESCO ha chiesto l’annullamento di tutte le concessioni petrolifere rilasciate in modo da evitare che l’area venga danneggiata. La Total si è impegnata a rispettare quanto richiesto dal Comitato dei Siti Patrimonio dell’Umanità mentre la Soco, altra compagnia petrolifera, rimane l’unica compagnia ad avere ancora attivi i progetti petroliferi a carico del parco Virunga. "Le ricche risorse naturali del Virunga devono essere a disposizione del popolo congolese, e non rapinate dalle multinazionali e dai  cercatori di petrolio stranieri - ha dichiarato Isabella Pratesi del WWF - Il futuro e il riscatto di questo Paese che è stato teatro di uno dei conflitti più drammatici degli ultimi decenni con più di 4 milioni di morti dipende dallo sviluppo economico sostenibile e duraturo alimentato dalle proprie risorse naturali. Le  condizioni di vita di oltre 50.000 persone dipendono dalla conservazione e dall’economia verde creata dal Parco. L’estrazione di petrolio in quest’area potrebbe avere conseguenze devastanti per le comunità locali che si basano sul Virunga per le risorse generate dal turismo, la pesca, l’acqua potabile e l’utilizzo delle altre risorse naturali".
Il dossier mette in evidenza come le perdite di petrolio e i gas flaring rappresentino una reale minaccia per l’ambiente, fonti di inquinamento e distruzione pericolose anche per le falde acquifere e il suolo. Ma il parco ospita anche molti degli 880 gorilla di montagna esistenti, specie in via di estinzione che va protetta e tutelata, per questo
Il WWF lancia una raccolta di firme per proteggere Virunga National Park dall'estrazione del petrolio, chiedendo alla  Soco di abbandonare i suoi progetti di esplorazione petrolifera nel Virunga e in tutti gli altri siti del patrimonio mondiale.

http://www.salvaleforeste.it

giovedì 8 agosto 2013

CINGHIALI CATTURATI E INGABBIATI DA BRACCONIERI IN CAMPO ROM
8 ago 13
Nei pressi di Roma


Bracconieri in azione nel campo di Castel Romano, che è già salito alla ribalta della cronaca per una serie di incendi dolosi dei moduli abitativi in conseguenza a una guerra fra etnie. Ieri gliuomini dell’unità operativa di Sicurezza pubblica emergenziale agli ordini del vicecomandante Antonio Di Maggio sono dovuti di nuovo intervenire nell’accampamento assieme ai colleghi del XII Gruppo per la segnalazione di un capretto selvatico che i rom stavano macellando.
Quando i «macellatori» hanno visto i vigili arrivare, hanno aperto gabbie e voliere per far uscire gli animali catturati nella zona e anche, presumibilmente, nella vicina riserva naturale di Decima-Malafede, che è un’area protetta. Cinghiali, falchetti pecore e lepri sono fuggiti creando un notevole parapiglia. Il sospetto degli investigatori è che i bracconieri di Castel Romano si spingano nella loro attività anche nella riserva presidenziale di Castel Fusano.
Il mese scorso i vigili hanno «salvato» due cinghiali che erano stati catturati dai nomadi-bracconieri e, due giorni fa, i volontari di un’associazione animalista hanno trovato e recuperato un cucciolo di cane di un mese che, in base alle segnalazioni, era stato usato come «palla» da alcuni ospiti del campoe poi era stato gettato ferito in un cassonetto dei rifiuti.
Le problematiche relative agli incendi dei moduli abitativi e allo sfruttamento del fenomeno delle baby borseggiatrici, hanno portato la Polizia Municipale a dover istituire un presidio fisso, in un campo che, tra ufficiali e abusivi accampatisi ai margini, ospita circa 1500 persone. A quanto pare, la maggior parte delle «manolesta» minorenni fermate dai vigili nei giorni scorsi, alcune sotto i 14 anni, provengono dall’accampamento sulla Pontina.

da iltempo.it
"Si fermi la mattanza dei globicefali nelle Isole Fær Øer"
Richiesta dell'eurodeputato Zanoni

8 ago 13 - Dopo l’ennesima strage che ha visto morire circa quattrocento cetacei in una caccia crudele e disumana nelle isole danesi, l’eurodeputato del gruppo ALDE Andrea Zanoni ha scritto al Primo Ministro danese Thorning-Schmidt e al suo collega Johannesen delle isole Faroe (VEDI ALLEGATO): «Dopo aver rivisto anche quest’anno i video che riprendono il Grindadráp, ovvero la barbara uccisione di questi poveri animali indifesi, ho deciso di rivolgermi alle Autorità per chiedere che venga messa fine a questa ingiustificata crudeltà»

Alla fine di luglio, circa quattrocento Globicefali sono stati massacrati in una caccia crudele e disumana, causando loro una sofferenza terribile che può durare fino a quattro minuti. L’eurodeputato del Gruppo ALDE (Alleanza dei Liberali Democratici europei) Andrea Zanoni, vice Presidente dell’Intergruppo per il Benessere e la Conservazione degli Animali al Parlamento europeo ha scritto il 2 agosto 2013 al Primo Ministro danese Thorning-Schmidt e al suo collega Johannesen delle isole Faroe esprimendo il proprio sdegno e la propria contrarietà.

«La Danimarca e le Isole Faroe fanno parte dell’Unione europea - ha spiegato Andrea Zanoni - La maggior parte dei cittadini europei si aspetta che vengano rispettati determinati standard per il benessere degli animali, come indicato nell’articolo 13 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in cui gli animali sono definiti “esseri senzienti”. Questa pratica, nascosta dietro la scusa delle tradizioni, deve terminare».

Zanoni ha deciso di rivolgersi direttamente ai Primi Ministri esprimendo il suo disappunto al Grindadráp, ovvero la caccia di Globicefali (Globicephala melas) e altri piccoli cetacei come gli Iperodonti boreali (Hyperoodon ampullatus) e i Delfini con la parte ventrale bianca, l’Agonorinco acuto (Lagenorhynchus acutus). Una vera e propria mattanza, infatti, si svolge ogni anno sulle coste delle isole Faroe, soprattutto in estate.

«Ho ricevuto diverse e-mail da parte di cittadini europei inorriditi da questa pratica tradizionale e feroce, soprattutto in questi ultimi giorni dopo l’ultima Grindadráp: tutti questi cittadini hanno chiamato per fermare la mattanza - ha spiegato Zanoni - In tutta Europa, nel mondo, e anche tra la popolazione locale è accresciuta la consapevolezza per questa attività di caccia. I Globicefali sono animali pacifici, molto curiosi e si muovono in branchi. Nelle loro migrazioni, passano nelle vicinanze delle isole Faroe, soprattutto nel periodo estivo: appena avvistati tutta la popolazione si mette in moto per iniziare la caccia, circondandoli a semicerchio con le barche e convogliandoli verso piccole baie prestabilite che si trovano a ridosso delle città, verso l’acqua bassa, dove li attendono i loro massacratori».

I poveri animali portati verso riva verrebbero uncinati per la coda, trascinati sul bagnasciuga e quindi uccisi barbaramente a coltellate mentre si dibattono e gridano di dolore ed il mare diventa rosso del loro sangue.

«Questa barbara pratica non può continuare - ha aggiunto Zanoni - Purtroppo è un’attività legale e regolata sembra da norme dalle Autorità delle Isole Faroe. Ho chiesto, quindi, ai Primi Ministri danese e delle Isole Faroe di fornirmi gli elementi per capire come viene considerato il benessere dei cetacei in questa caccia e come vengono applicate le norme esistenti. In particolare, ho invitato le Autorità a farmi conoscere il contenuto dei regolamenti, a indicare se, ad esempio nel caso della recente caccia del 22 luglio 2013 nella baia di Viðvík, sono stati osservati e se, come in altre attività di caccia e di produzione di carne, si stanno compiendo sforzi per rivedere e rinnovare tali norme, al fine di migliorare gli standard di benessere degli animali».

Oltre all’aspetto del benessere degli animali, Zanoni, che ricopre anche l’incarico di membro della Commissione ENVI Ambiente, Salute Pubblica e Sicurezza Alimentare al Parlamento europeo ha sottolineato che «il Grindadráp solleva anche gravi preoccupazioni per quanto riguarda la salute umana, poiché la carne e il grasso dei globicefali contengono alti livelli di mercurio e composti organici persistenti. Ricerche indipendenti sulla salute dei bambini nelle Isole Faroe hanno collegato direttamente i ritardi neurologici, i problemi cardiovascolari e altri problemi di sviluppo al consumo prolungato delle loro madri in fase pre-natale di carne di globicefali. Inoltre, recenti studi hanno dimostrato un legame diretto tra il verificarsi della malattia di Parkinson negli adulti delle Isole Faroe e il mangiare carne di globicefali». 


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