Così si parlano le piante: gli alberi cantano e i semi prendono decisioni
di Anna Meldolesi
Gli
alberi cantano. Le piante si scambiano regali. I semi prendono
decisioni. A sostenerlo non è qualche profeta del pensiero new age, ma
una pattuglia di botanici che scrivono libri di successo e pubblicano
studi su riviste prestigiose. La scienza dispone ormai di strumenti
tecnologici avanzati per studiare la vita segreta delle piante. E noi
cittadini urbani siamo abbastanza stanchi di smog e cemento da aver
voglia di guardare le nostre amiche clorofilliane con occhi nuovi.
Esseri sociali
Provate
per un attimo a «sentirla» la vita vegetale, come il barone rampante di
Calvino che viveva in mezzo agli alberi. Non possono spostarsi, ma
cambiare lentamente forma sì. Non hanno neuroni e non sono capaci di
astrazioni, ma sono esseri sociali. Altro che stato vegetativo, le
piante non sono immobili, passive né isolate come siamo abituati a
figurarcele. Un lavoro pubblicato recentemente su Pnas
sostiene che nei semi esistono cellule che decidono se germogliare, in
modo simile a un gruppo di amici che si accorda per andare al cinema.
Mentre è noto che la cosiddetta Venere acchiappamosche è capace di
contare. La sua trappola non scatta al primo stimolo, aspetta altri
contatti a intervalli ravvicinati, per ridurre il rischio di scattare a
vuoto. Certo è solo un fenomeno elettrico, ma assomiglia a una
computazione.
Nouvelle vague verde
Se si scomoda la categoria dell’intelligenza vegetale gli studiosi classici finiscono per litigare con i biologi della nouvelle vague verde,
che in Italia ha come capofila Stefano Mancuso. Ma su un punto gli
studiosi sembrano d’accordo: la botanica sta attraversando una fase di
vitalità dinamica. «Con gli approcci figli della genomica è possibile
studiare la biodiversità delle molecole. Il linguaggio delle piante è
chimico, si esprime nel metabolismo secondario e stiamo imparando a
decifrarlo», spiega Renato Bruni, botanico dell’Università di Parma e
autore di diversi libri tra cui Le piante son brutte bestie ed Erba volant.
L’importante è stare attenti a non antropomorfizzare troppo. «La
bellezza delle piante sta nell’essere diverse da noi, aliene», dice
Bruni.
Tattiche efficaci
Sotto le foreste c’è una fitta trama di interazioni radicali che è stata soprannominata «wood wide web»
come se fosse un’Internet del mondo vegetale. Questa rete consente il
passaggio di molecole utili anche tra specie diverse come betulle e
abeti, per accorgersene basta tracciarle radioattivamente. Se fossero
persone, diremmo che si scambiano dei doni. Alcune tattiche di
interazione sono risapute: le piante inviano messaggi seduttivi agli
impollinatori, ripagando i loro servizi in nettare, mentre usano
sostanze repellenti per tenere alla larga i predatori. Ma le
sceneggiature si stanno facendo via via più complicate. Siccome i nemici
dei nemici sono amici, quando si è sotto attacco può valere la pena di
mostrarsi dolci per attirarli. In altri casi succede il contrario: lo
zucchero può essere allontanato dalle foglie vicine a quelle morse da un
bruco, per renderle meno appetibili. E se altre piante lì vicino
captano nell’aria il segnale d’allarme, meglio per loro: sono avvisate e
mezze salvate.
Suoni nella foresta
Fra
le scoperte che colpiscono l’immaginazione c’è il fatto che le
conifere, in condizioni di siccità, emettono dei suoni per un fenomeno
fisico legato al movimento dei fluidi (cavitazione). La musica degli
alberi è affascinante, anche se questi schiocchi sono segnali di
difficoltà e attirano parassiti pronti a sfruttare l’occasione. Le
letture belligeranti comunque sono riduttive, sostiene la rivista Nature Plants.
Le piante a volte avviano negoziati con parassiti e patogeni, più che
campagne militari. E in fondo è proprio questo che ci piace: che si
stringano alleanze tra piante e microrganismi e anche tra piante
compagne. «Dopo tanti documentari sulla lotta per la sopravvivenza, con
la gazzella che deve correre più veloce del leone, abbiamo la
possibilità di una narrazione alternativa. Più amichevole, incentrata
sulla cooperazione», conclude Bruni.
(4.dic.2017)
www.corriere.it
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