lunedì 1 ottobre 2012

Il dibattito
I veri effetti degli Omega-3 su cuore e vasi
Quando e a quali dosi possono essere indicati questi acidi grassi. Uno studio riapre la discussione sulla loro utilità

MILANO - Gli acidi grassi omega-3 sono uno dei motivi per cui fin da piccoli ci viene raccomandato di mangiare tanto pesce: salmoni e simili ne sono un vero concentrato. Abbiamo imparato a conoscerli perché negli ultimi anni innumerevoli ricerche hanno decantato le loro virtù: ideali per un buon funzionamento del cervello, buoni per rafforzare il sistema immunitario, ottimi soprattutto per scongiurare guai al cuore. Tanto che sugli scaffali dei supermercati hanno iniziato a comparire non pochi prodotti "fortificati" con omega-3. Ora arriva quella che a prima vista sembra una doccia fredda: sul Journal of the American Medical Association Evangelos Rizos, dell'università greca di Ioannina, ha pubblicato dati secondo cui fare uso di supplementi a base di omega-3 non servirebbe a ridurre il rischio di problemi a cuore e vasi, né inciderebbe in alcun modo sulla mortalità generale o su quella legata a eventi cardiovascolari.

GUARDA - Omega-3, dove trovarli
 
IL COMMENTO - Lo studio è una metanalisi, ovvero la revisione di 20 ricerche precedenti sull'argomento, che hanno coinvolto quasi 70mila persone; con questo tipo di analisi i ricercatori cercano di dare indicazioni chiare e in qualche modo "definitive", perché mettere assieme così tanti pazienti aiuta a trarre conclusioni che hanno la forza dei grandi numeri. Ecco perché il verdetto negativo emerso considerando i più grossi studi sul tema omega-3 e cuore colpisce molto. Ma è davvero l'epitaffio per questi acidi grassi considerati tanto preziosi? «Le metanalisi sono strumenti utili, a patto di essere condotte senza paragonare studi troppo dissimili o servirsi di "trucchi" statistici - commenta Andrea Poli, direttore del Centro Studi dell'Alimentazione Nutrition Foundation of Italy -. In questo caso ad esempio in metà degli studi inclusi nella revisione sono stati utilizzati dosaggi di omega-3 troppo bassi rispetto a quelli che hanno dimostrato un effetto protettivo sul cuore: sappiamo che per ridurre il rischio di aritmie serve almeno un grammo di omega-3 al giorno, qui in gran parte dei casi si sono usate dosi inferiori. Inoltre mediamente i pazienti sono stati seguiti per un paio di anni, ma per valutare effetti su infarti, ictus o mortalità diversa dalla morte improvvisa occorrerebbe protrarre l'osservazione per almeno quattro o cinque anni; infine, in realtà, a ben guardare, i dati vanno tutti nella direzione di una riduzione del rischio grazie agli omega-3».

I NUMERI - In effetti leggendo lo studio si scopre che la probabilità di morte cardiaca, morte improvvisa e infarto diminuisce dal 9 al 13% con i supplementi di omega-3, mentre la mortalità per qualsiasi causa solo del 4% (ma si tratta di un "calderone" dove finisce tutto, in cui difficilmente si riesce a capire il ruolo di un singolo fattore); solo per l'ictus c'è un minimo incremento del rischio, compatibile però con gli effetti antiaggreganti di uno degli omega-3, l'acido eicosapentaenoico o EPA, che potrebbe favorire gli ictus emorragici pur proteggendo da quelli trombotici. Nonostante tutto ciò il ricercatore greco, dopo aver impiegato parametri statistici di "aggiustamento" e correzione dei dati, considera l'effetto protettivo troppo parziale e non significativo. Viene da pensare, allora, che forse la verità stia in mezzo e non abbia molto senso dire che gli omega-3 non funzionano, così come non ce l'ha affermare che siano "miracolosi".

DIFFERENZE - «Come nel caso dei farmaci, l'effetto degli omega-3 può essere diverso a seconda delle caratteristiche del paziente e sarà tanto maggiore quanto più sono presenti elementi su cui il meccanismo di azione degli acidi grassi può incidere - interviene Roberto Marchioli del Laboratorio di Epidemiologia Clinica delle Malattie Cardiovascolari del Mario Negri Sud di Santa Maria Imbaro (CH), fra gli autori dello studio GISSI-Prevenzione che nel 1999 dimostrò un netto effetto protettivo degli omega-3 per prevenire un secondo infarto aprendo la strada alle ricerche in questo campo -. Sappiamo ad esempio che gli omega-3 prevengono le aritmie: se dati a un paziente con scompenso difficilmente porteranno un vantaggio consistente, visto che in questi malati la componente aritmica è piccola. Diverso è il caso della morte improvvisa, che molto spesso è dovuta ad aritmie e sulla quale gli omega-3, infatti, incidono in maniera positiva. Gli omega-3, per quanto sappiamo dalle ricerche precedenti, oltre a ridurre le aritmie diminuiscono la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa, aumentando la capacità di contrazione del cuore. L'effetto positivo quindi c'è, ma il beneficio oggettivo dipende dalle caratteristiche cliniche dei pazienti a cui vengono dati».

TERAPIE - Negli studi più recenti, ad esempio, difficilmente la protezione del cuore con gli omega-3 è risultata eclatante perché oggi ci sono a disposizione terapie del post-infarto e per il controllo dei fattori di rischio molto efficienti, a base di anticoagulanti e statine. «Se un paziente prende farmaci come questi l'azione degli omega-3 può passare più "inosservata". Tuttavia agli studi partecipano soggetti selezionati e l'aderenza alle cure è molto alta: nel mondo reale la faccenda è ben diversa - osserva Marchioli -. Nel nostro Paese ad esempio l'accesso alle terapie non è uguale ovunque, l'angioplastica in emergenza non c'è dappertutto e di fatto molti pazienti sono in condizioni simili a quelli che studiavamo quasi quindici anni fa, nel nostro studio di prevenzione con gli omega-3: in queste situazioni quindi c'è ancora un buon margine per usare questi acidi grassi e trarne beneficio". Magari anche per ridurre i trigliceridi: «Aumentando la dose fino a due, tre grammi al giorno si può arrivare a un calo di questi grassi nel sangue fino al 40%», segnala Poli.

PERSONE SANE - «Bisogna tuttavia sottolineare che molte delle ricerche in questo campo si sono occupate di prevenzione secondaria, ovvero di un uso degli omega-3 in pazienti che hanno già avuto danni cardiovascolari - aggiunge Gian Luigi Russo dell'Istituto di Scienza dell'Alimentazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Avellino -. Gli effetti positivi più evidenti sono stati dimostrati solo in questi casi, anche perché è molto difficile disegnare e finanziare studi per verificare gli effetti degli omega-3 in persone sane: dovremmo coinvolgere migliaia di partecipanti monitorandoli per anni, per poi misurare gli eventuali vantaggi in termini di ridotto rischio di eventi cardiovascolari gravi rispetto a chi non li ha presi. Per questo a oggi non ci sono indicazioni forti per consigliare i supplementi di omega-3 a persone sane: chi non ha problemi specifici e prende una capsula di omega-3 per sentirsi più protetto dall'infarto potrebbe piuttosto portare in tavola il pesce due, tre volte alla settimana».

CONFLITTI D'INTERESSE
Fra gli esperti intervistati Claudio De Felice e Gian Luigi Russo dichiarano di non avere conflitti di interesse relativi all’argomento trattato; Andrea Poli dichiara di essere consulente per il Norwegian Seafood Council in merito agli effetti del salmone sulla salute; Roberto Marchioli dichiara di aver ricevuto compensi per la partecipazione a congressi da Ferrer, Pronova, SPA e Sigma-Tau
 
 


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