Il dibattito
I veri effetti degli Omega-3 su cuore e vasi
Quando e a quali dosi possono essere indicati questi acidi grassi. Uno studio riapre la discussione sulla loro utilità
MILANO - Gli acidi grassi omega-3 sono uno dei motivi per cui fin da
piccoli ci viene raccomandato di mangiare tanto pesce: salmoni e simili
ne sono un vero concentrato. Abbiamo imparato a conoscerli perché negli
ultimi anni innumerevoli ricerche hanno decantato le loro virtù: ideali
per un buon funzionamento del cervello, buoni per rafforzare il sistema
immunitario, ottimi soprattutto per scongiurare guai al cuore. Tanto che
sugli scaffali dei supermercati hanno iniziato a comparire non pochi
prodotti "fortificati" con omega-3. Ora arriva quella che a prima vista
sembra una doccia fredda: sul Journal of the American Medical Association
Evangelos Rizos, dell'università greca di Ioannina, ha pubblicato dati
secondo cui fare uso di supplementi a base di omega-3 non servirebbe a
ridurre il rischio di problemi a cuore e vasi, né inciderebbe in alcun
modo sulla mortalità generale o su quella legata a eventi
cardiovascolari.
GUARDA - Omega-3, dove trovarli
IL COMMENTO - Lo studio è una metanalisi, ovvero la revisione di
20 ricerche precedenti sull'argomento, che hanno coinvolto quasi 70mila
persone; con questo tipo di analisi i ricercatori cercano di dare
indicazioni chiare e in qualche modo "definitive", perché mettere
assieme così tanti pazienti aiuta a trarre conclusioni che hanno la
forza dei grandi numeri. Ecco perché il verdetto negativo emerso
considerando i più grossi studi sul tema omega-3 e cuore colpisce molto.
Ma è davvero l'epitaffio per questi acidi grassi considerati tanto
preziosi? «Le metanalisi sono strumenti utili, a patto di essere
condotte senza paragonare studi troppo dissimili o servirsi di "trucchi"
statistici - commenta Andrea Poli, direttore del Centro Studi
dell'Alimentazione Nutrition Foundation of Italy -. In questo caso ad
esempio in metà degli studi inclusi nella revisione sono stati
utilizzati dosaggi di omega-3 troppo bassi rispetto a quelli che hanno
dimostrato un effetto protettivo sul cuore: sappiamo che per ridurre il
rischio di aritmie serve almeno un grammo di omega-3 al giorno, qui in
gran parte dei casi si sono usate dosi inferiori. Inoltre mediamente i
pazienti sono stati seguiti per un paio di anni, ma per valutare effetti
su infarti, ictus o mortalità diversa dalla morte improvvisa
occorrerebbe protrarre l'osservazione per almeno quattro o cinque anni;
infine, in realtà, a ben guardare, i dati vanno tutti nella direzione di
una riduzione del rischio grazie agli omega-3».
I NUMERI - In effetti leggendo lo studio si scopre che la
probabilità di morte cardiaca, morte improvvisa e infarto diminuisce dal
9 al 13% con i supplementi di omega-3, mentre la mortalità per
qualsiasi causa solo del 4% (ma si tratta di un "calderone" dove finisce
tutto, in cui difficilmente si riesce a capire il ruolo di un singolo
fattore); solo per l'ictus c'è un minimo incremento del rischio,
compatibile però con gli effetti antiaggreganti di uno degli omega-3,
l'acido eicosapentaenoico o EPA, che potrebbe favorire gli ictus
emorragici pur proteggendo da quelli trombotici. Nonostante tutto ciò il
ricercatore greco, dopo aver impiegato parametri statistici di
"aggiustamento" e correzione dei dati, considera l'effetto protettivo
troppo parziale e non significativo. Viene da pensare, allora, che forse
la verità stia in mezzo e non abbia molto senso dire che gli omega-3
non funzionano, così come non ce l'ha affermare che siano "miracolosi".
DIFFERENZE - «Come nel caso dei farmaci, l'effetto degli omega-3
può essere diverso a seconda delle caratteristiche del paziente e sarà
tanto maggiore quanto più sono presenti elementi su cui il meccanismo di
azione degli acidi grassi può incidere - interviene Roberto Marchioli
del Laboratorio di Epidemiologia Clinica delle Malattie Cardiovascolari
del Mario Negri Sud di Santa Maria Imbaro (CH), fra gli autori dello
studio GISSI-Prevenzione che nel 1999 dimostrò un netto effetto
protettivo degli omega-3 per prevenire un secondo infarto aprendo la
strada alle ricerche in questo campo -. Sappiamo ad esempio che gli
omega-3 prevengono le aritmie: se dati a un paziente con scompenso
difficilmente porteranno un vantaggio consistente, visto che in questi
malati la componente aritmica è piccola. Diverso è il caso della morte
improvvisa, che molto spesso è dovuta ad aritmie e sulla quale gli
omega-3, infatti, incidono in maniera positiva. Gli omega-3, per quanto
sappiamo dalle ricerche precedenti, oltre a ridurre le aritmie
diminuiscono la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa, aumentando
la capacità di contrazione del cuore. L'effetto positivo quindi c'è, ma
il beneficio oggettivo dipende dalle caratteristiche cliniche dei
pazienti a cui vengono dati».
TERAPIE - Negli studi più recenti, ad esempio, difficilmente la
protezione del cuore con gli omega-3 è risultata eclatante perché oggi
ci sono a disposizione terapie del post-infarto e per il controllo dei
fattori di rischio molto efficienti, a base di anticoagulanti e statine.
«Se un paziente prende farmaci come questi l'azione degli omega-3 può
passare più "inosservata". Tuttavia agli studi partecipano soggetti
selezionati e l'aderenza alle cure è molto alta: nel mondo reale la
faccenda è ben diversa - osserva Marchioli -. Nel nostro Paese ad
esempio l'accesso alle terapie non è uguale ovunque, l'angioplastica in
emergenza non c'è dappertutto e di fatto molti pazienti sono in
condizioni simili a quelli che studiavamo quasi quindici anni fa, nel
nostro studio di prevenzione con gli omega-3: in queste situazioni
quindi c'è ancora un buon margine per usare questi acidi grassi e trarne
beneficio". Magari anche per ridurre i trigliceridi: «Aumentando la
dose fino a due, tre grammi al giorno si può arrivare a un calo di
questi grassi nel sangue fino al 40%», segnala Poli.
PERSONE SANE - «Bisogna tuttavia sottolineare che molte delle
ricerche in questo campo si sono occupate di prevenzione secondaria,
ovvero di un uso degli omega-3 in pazienti che hanno già avuto danni
cardiovascolari - aggiunge Gian Luigi Russo dell'Istituto di Scienza
dell'Alimentazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Avellino -.
Gli effetti positivi più evidenti sono stati dimostrati solo in questi
casi, anche perché è molto difficile disegnare e finanziare studi per
verificare gli effetti degli omega-3 in persone sane: dovremmo
coinvolgere migliaia di partecipanti monitorandoli per anni, per poi
misurare gli eventuali vantaggi in termini di ridotto rischio di eventi
cardiovascolari gravi rispetto a chi non li ha presi. Per questo a oggi
non ci sono indicazioni forti per consigliare i supplementi di omega-3 a
persone sane: chi non ha problemi specifici e prende una capsula di
omega-3 per sentirsi più protetto dall'infarto potrebbe piuttosto
portare in tavola il pesce due, tre volte alla settimana».
CONFLITTI D'INTERESSE
Fra
gli esperti intervistati Claudio De Felice e Gian Luigi Russo
dichiarano di non avere conflitti di interesse relativi all’argomento
trattato; Andrea Poli dichiara di essere consulente per il Norwegian
Seafood Council in merito agli effetti del salmone sulla salute; Roberto
Marchioli dichiara di aver ricevuto compensi per la partecipazione a
congressi da Ferrer, Pronova, SPA e Sigma-Tau
1 ottobre 2012
www.corriere.it
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