Diabete: il dolce
business per l’Industria farmaceutica
Il
diabete in cifre
Nel mondo ogni
10 secondi una persona muore per cause legate al diabete e 2 si ammalano.
Negli ultimi 20 anni la malattia è aumentata di ben 7 volte e questo è il motivo
che ha spinto le Nazioni Unite a definire il diabete una vera e propria
epidemia.
I dati effettivamente non lasciano spazio a dubbi: nel mondo oltre 285 milioni
di persone ne soffrono e 344 milioni sarebbero potenzialmente a rischio di
svilupparlo.
Secondo le previsioni ufficiali dell’OMS entro il 2030 i diabetici
raggiungeranno l’astronomica cifra di 520 milioni di persone!
Oltre mezzo miliardo di persone nel mondo Occidentale soffriranno per una
malattia legata ad una alimentazione errata e soprattutto abbondante, e nel Sud
del mondo oltre 1 miliardo di persone non hanno accesso al cibo e all’acqua.
Loro muoiono per mancanza di cibo e noi stiamo morendo per eccesso di cibo.
Qui da noi in Italia, secondo l’International Diabetes Federation (Idf), il 6%
della popolazione sarebbe diabetica, il che corrisponde a oltre 4.000.000 di
persone!
La spesa sanitaria per il diabete ovviamente è colossale e varia tra i 202 e i
422 miliardi di dollari ogni anno, ma potrebbe, entro il 2025, superare il tetto
dei 559 miliardi di dollari.
Sorge a questo punto una domanda spontanea: con cifre a undici zeri ogni anno, è
veramente possibile e credibile che l’Industria del farmaco voglia veramente
guarire il diabete?
Creazione di malati
Sapendo che per
l’Industria del farmaco il diabete rappresenta un guadagno tra i più importanti,
è bene chiedersi quanti di questi milioni di persone sono realmente malati e
quanti invece sono stati convinti di esserlo.
Fino all’anno 2000 il “valore normale” della glicemia, cioè la quantità di
zucchero libero nel sangue era di 140 mg/dL, poi un gruppo di esperti con a capo
un consulente di Aventis, Eli Lilly, Glaxo, Novartis, Merck e Pfizer (tutte
ditte che ci guadagnano molto nel diabete) abbassarono la glicemia a 126 mg/dL.
Si è “normali” se la glicemia è al di sotto di 100 mg/dL; si parla di
alterata glicemia a digiuno se i valori sono compresi tra 100 e 126 mg/dL.
Oltre il valore di 126 mg/dL si parla di diabete.
Un apparente e banale abbassamento di soli 14 mg/dL (da 140 a 126)
comportò la creazione di decine di milioni di nuovi malati: persone sane il
giorno prima e dopo a rischio serio di diabete.
E’ indubbia la degenerazione dello stile di vita basato su alimenti morti,
raffinati, pastorizzati che sta provocando inequivocabilmente la crescita del
diabete e di tutte le cosiddette malattie da progresso, ma dall’altra c’è la
ferrea volontà di far aumentare il numero di malati per un tornaconto economico.
Diabete gestazionale
Sempre più
donne gravide si vedono affibbiare la diagnosi di diabete gestazionale o
gravidico.
Tale diabete consiste in un’alterazione del metabolismo del glucosio che viene
diagnosticata per la prima volta durante la gravidanza.
E’ risaputo che durante i nove mesi tutto l’equilibrio ormonale viene messo a
dura prova. In questo ambito alcuni ormoni prodotti dalla placenta ostacolano
l’azione dell’insulina, l’ormone secreto dal pancreas che ha il compito di
abbassare la concentrazione di glucosio nel sangue.
Non a caso verso la fine della gravidanza, a parità di calorie introdotte con il
cibo, una donna produce una quantità di insulina 3 volte superiore alla quantità
prodotta da una donna della stessa età ma non gravida.
Tra la 24ma e la 28ma settimana di gravidanza i medici di norma prescrivono
esami del sangue per la maggior parte delle donne che potrebbero essere soggette
a diabete.
Se il valore glicemico a digiuno alla prima visita è compreso tra 92 mg/dL
(anche se qualche laboratorio mette l’asterisco già a 90 mg/dL) e 126 mg/dL si
parla di diabete gestazionale.
Le donne con valori glicemici superiori a 90-92 mg/dL dovranno essere sottoposte
al test da carico con 75 g di glucosio con verifica dei valori glicemici
all’inizio, dopo un’ora e dopo due ore.
Abbassando costantemente la glicemia a digiuno (in questo caso da 100 mg/dL a 90
mg/dL) il risultato è che aumentano le diagnosi di diabete gestazionale. Non è
un caso infatti se oggi a sempre più mamme viene diagnosticato tale squilibrio
metabolico, con rischi enormi non tanto per la disturbo in sé ma soprattutto per
la paura della mamma il cui riverbero negativo sulla creatura che sta crescendo
è oggettivo e fuori da ogni discussione.
Dall’insulina ai
farmaci antidiabete
Nel 1922 a
Stoccolma venne conferito ai ricercatori Barting, Best e Macleod il premio Nobel
per la scoperta dell’insulina.
La commercializzazione di questo ormone di sintesi, dal 1923 in poi, è opera
della casa farmaceutica statunitense Eli Lilly che, alla fine della seconda
Guerra Mondiale, importò dalla Germania il metadone inventato dai nazisti con il
nome di Dolophine, in onore di Adolf Hitler, e prodotto dall’enorme colosso
dell’industria chimica IG Farben.
E’ la stessa casa farmaceutica che ha prodotto l’elisir di eroina, l’LSD una
delle più potenti sostanze psichedeliche conosciute e il Prozac.
La Lilly lanciò nel 1982 la prima insulina da DNA ricombinante: fu il primo
farmaco al mondo creato con questa tecnologia.
Oggi per il diabete, oltre alla nota insulina esistono prodotti come:
Tolbutamide, Tolazamide, Clorpropramide, Acetoesamide, Gliburide, Glipizide,
Glimepride, Metformina, Fenformina, Buformina, Repaglanide, Acarbosio, Miglitol,
Glucagone…
Poche corporazioni della chimica e farmaceutica, tra loro interconnesse da
fili economici e azionari, gestiscono l’intero mercato del diabete.
Gruppi potentissimi come Eli Lilly, Pfizer, Merck, Roche, Sanofi-Aventis e Bayer
ogni anno, guadagnando miliardi di dollari, controllano la vita di centinaia di
milioni di persone.
Epidemiologia
docet
Il “Bollettino
dell’Accademia di Medicina di New York” del settembre 1933, riporta i dati
ufficiali dal 1871 al 1932, e scrive: “…per le persone di entrambi i sessi, il
tasso di mortalità del diabete a New York è passato dal 2,1 per 100.000 abitanti
nel 1866, a 29,2 nel 1932”. Il numero totale delle morti perciò “è aumentato da
15 nel 1866 a 2.116 nel 1932”.
Il rapporto continua dicendo che “ …un aumento distinto nel numero di morti
per diabete si sta verificando non solo al Nord Ovest, ma in tutti gli Stati
Uniti, come dimostrano le statistiche di mortalità delle altre città”
In poco meno di sessant’anni perciò, dal 1866 al 1932, i pochissimi e sporadici
casi di diabete sono diventati qualche migliaio solamente nella città di New
York per diventare, con una terribile accelerazione negli ulteriori 70 anni, 1
morto ogni 10 secondi!
Questi sono dati epidemiologici importanti che inquadrano una crescita
esponenziale del fenomeno.
Cos’è successo nella società tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo per
aggravare così drasticamente la situazione?
Le due guerre mondiali certamente non hanno giovato al benessere psicofisico e
sociale di centinaia di milioni di persone ma non ne sono state la vera causa.
Zuccheri, cereali raffinati e grassi idrogenati
Sempre più
medici e ricercatori seri sono concordi nel ritenere che la degenerazione dello
stile di vita, nonché l’industrializzazione dell’alimentazione, sono tra le
cause principali del diabete.
La nascita e la commercializzazione dei cereali raffinati da una parte e dei
grassi idrogenati dall’altra è avvenuta proprio agli inizi del XX secolo,
parallelamente all’aumento dei casi di diabete.
Al medico russo Chaterine Kousmine (1904-1992) va il merito di aver compreso che
gran parte delle malattie cronico-degenerative erano conseguenza indiretta di
un’alimentazione degradatasi progressivamente nel tempo, soprattutto a seguito
dell’introduzione nella catena alimentare di alimenti innaturali come lo
zucchero bianco, i cereali raffinati e i grassi idrogenati.
All’inizio del secolo scorso l’industria ha iniziato per scopi commerciali a
raffinare lo zucchero e i cereali, andando così ad eliminare tutte quelle
sostanze che risultano essere basilari e fondamentali per la vita: vitamine,
minerali, enzimi, fibra, ormoni...
Quindi i cereali da alimento importante e completo sono stati trasformati in
zucchero (amido allo stato puro) per cui mangiarli significa non solo non
apportare nulla all’organismo (calorie vuote) ma anzi deprivarlo delle proprie
riserve di sali minerali (ossa, denti, unghie, capelli, ecc.) perché fortemente
acidificanti.
La medesima industria, non contenta, ha creato letteralmente ex novo i famosi e
tristemente grassi idrogenati.
Il motivo è sempre lo stesso: commerciale.
Essendo solidi a temperatura ambiente si possono trasportare con estrema
facilità, possono essere facilmente lavorati, sono inalterabili dall’ambiente
esterno, non irrancidiscono e durano a lungo nel tempo. Cosa si può desiderare
di più da un grasso?
La tecnica dell’idrogenazione venne introdotta nel 1912 proprio allo scopo di
rendere solidi e commerciabili gli oli liquidi.
Tra i grassi idrogenati estremamente pericolosi per la salute, vanno annoverate
le margarine, gli oli industriali prodotti ad alte temperature (quelli che
riempiono le mensole nei supermercati) che trasformano la struttura molecolare
dell’acido linoleico da cis-cis a cis-trans. La cis é una
forma utilizzabile per l’organismo umano, la trans una forma non
utilizzabile o utilizzabile con danni.
Purtroppo per tutti noi i grassi idrogenati sono ubiquitari e si trovano ovunque
nei prodotti da forno di tipo industriale: merendine, pastine, biscotti, dolci,
ecc., nelle pietanze precotte, pollo o pesce impanato, patatine fritte, pizze
pronte, minestre in scatola, miscele per torte, ecc.
Secondo l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità una persona adulta
dovrebbe ingerire meno di 2 grammi al giorno di grassi cis-trans per non
rischiare seriamente la salute.
Sappiamo bene il ruolo giocato da questa associazione negli interessi delle
lobbies…
Il punto è che tale soglia massima non dovrebbe esistere perché i grassi
idrogenati creano danni anche in quantità molto inferiore.
Quali sono le conseguenze per la salute? Disturbi cardiocircolatori, obesità,
danni alle cellule con rischio di tumore, malattie autoimmuni,
insulino-resistenza e diabete.
Uno dei principali problemi dei grassi idrogenati è che non possono essere
riconosciuti correttamente dall’organismo e quindi per le cellule sono
letteralmente tossici.
Non è un caso che fanno diminuire le HDL, il colesterolo buono e alzano quello
cattivo (LDL), interferiscono sia con l’insulina aumentando il rischio diabete
che con il sistema immunitario e la detossificazione epatica; aumentano anche le
patologie infiammatorie.
Agiscono negativamente sulla importantissima membrana delle 70 trilioni di
cellule predisponendo non solo alla resistenza insulinica ma anche a qualsiasi
patologia infiammatoria e degenerativa.
Marcello Pamio – 4
novembre 2016