di Claudio Calissoni, delegato OIPA Bolzano
foto di Massimiliano Sticca
Finalmente la PAT 
(Provincia Autonoma di Trento) potrà ritenersi soddisfatta: il 30 luglio
 2015, impiegando l’ormai usuale regola della decretazione urgente 
“casualmente” applicata proprio durante le ferie estive, il Ministro 
dell’Ambiente, su richiesta del Trentino, ha approvato e reso esecutiva 
la modifica al Capitolo 3 del PACOBACE (acronimo di Piano d’Azione 
Interregionale per la Conservazione dell’Orso Bruno nelle Alpi 
Orientali). Una modifica che significa, in termini pratici, che d’ora in
 poi qualsiasi orso giudicato “cattivo” potrà essere sottoposto ad 
“azioni energiche” (così le hanno simpaticamente definite i redattori 
dell’allegato), cioè potrà essere catturato per spostarlo e applicargli 
un radiocollare, catturato per essere sbattuto dietro a qualche gabbia 
per sempre (elegantemente descritta “captivazione permanente”) o più 
semplicemente ucciso. A decidere se un orso sia o meno destinato a 
cattura, detenzione o eliminazione, sarà sempre la PAT, la stessa del 
caso Daniza, ovvero quegli stessi uomini che un anno fa decisero di 
eliminare, con il patetico trucco dell’incidente anestesiologico, una 
mamma orsa rea di aver cacciato un intruso che si era avvicinato troppo 
ai suoi cuccioli. Da notare che Daniza non aveva reagito facendolo a 
pezzettini, come avrebbe fatto un qualsiasi altro orso una volta avuto 
tra le zampe l’improvvido fungaiolo di Pinzolo, ma solo portando un 
cosiddetto falso attacco (modalità attraverso cui un plantigrado ti 
caccia via senza farti nulla) con conseguente maldestro ruzzolone nei 
rovi e lievi ferite superficiali, diventate poi ridicole “ferite di 
guerra”. L’episodio fu ingigantito ad arte, tanto da essere utilizzato 
come pretesto per far fuori mamma Daniza.
Già l’anno scorso la PAT 
aveva dato prova di incapacità nella gestione della popolazione di orsi,
 limitandosi ad una reazione fuori misura rispetto ad un singolo 
episodio, di per sé irrilevante, e persistendo successivamente nella 
totale assenza di iniziative utili ad evitare al massimo le 
conflittualità con l’uomo: è vero che queste non possono essere 
completamente eliminate, soprattutto in un territorio come quello 
trentino, soggetto ad un costante processo di antropizzazione e ad uno 
spietato sfruttamento territoriale, ma è altrettanto vero che potrebbero
 essere fortemente limitate attraverso misure di intervento derivate 
dalle ormai ben consolidate e numerose esperienze fatte in Italia e nel 
mondo.
                          
Torniamo per un momento 
all’agosto 2014. Daniza, un’orsa di mezza età con un passato più che 
onorevole, caccia via in modo garbato dai suoi cuccioli Daniele Maturi, 
in cerca  più di emozioni forti da raccontare agli amici (e alla stampa)
 che di funghi. In pratica fa quello che ogni mamma orsa farebbe, 
sentendo minacciata la sua prole, cioè non mostra alcuna di quelle 
caratteristiche imputabili all’orso pericoloso. La PAT non solo non 
riporta l’episodio in un contesto bio-ecologicamente corretto, al contrario lo
 amplifica in modo iperbolico, al punto da attribuire a questa povera 
orsa responsabilità che non ha mai avuto, approfittando, poi, di una 
montatura mediatica, operata ad arte, per invocare su di lei, e su tutti
 gli altri orsi, i peggiori anatemi, fino alla condanna a morte. Si 
scatena però, inaspettatamente per la PAT, un imponente movimento 
dell’opinione pubblica: una moltitudine di cittadini chiede di 
salvaguardare mamma orsa e i suoi cuccioli, intervengono esperti a 
livello internazionale, tutti d’accordo nell’affermare che l’orsa non 
era e non era stata affatto pericolosa, insorgono gruppi di protesta 
nati sul web e sui social network, si mobilitano le associazioni 
animaliste che diffidano la PAT e minacciano azioni legali, ma nel 
contempo offrono la loro disponibilità a trovare soluzioni che 
rispettino Daniza e i suoi piccoli. 
L’epilogo della vicenda è noto a tutti. Nessuna risposta dalla PAT, nessuna apertura al dialogo, nessuna considerazione né rispetto di fronte alla compassione e alla sensibilità di milioni di persone. E più concretamente, come si vedrà, nessun effetto su nuovi possibili incidenti.
                          L’epilogo della vicenda è noto a tutti. Nessuna risposta dalla PAT, nessuna apertura al dialogo, nessuna considerazione né rispetto di fronte alla compassione e alla sensibilità di milioni di persone. E più concretamente, come si vedrà, nessun effetto su nuovi possibili incidenti.
Quest’anno, il 10 giugno 
scorso, nei pressi di Cadine, i fatti si ripetono, come spesso accade 
nella storia. Un uomo corre nel bosco con il suo cane e finisce, questa 
volta crediamo in modo del tutto involontario, per sfiorare i cuccioli 
di KJ2, per gli amici Libera, la quale reagisce attaccandolo. Il povero 
signor Molinari, a cui va tutta la nostra solidarietà umana, riporta 
ferite serie ma, nonostante tutto, se la cava. Va detto che anche questa
 volta, pur potendo sembrare cinico, l’orsa non uccide, dato che per gli
 esperti non è di poco conto. Va anche detto, molto schiettamente, che 
per qualsiasi orsa un umano che corre in direzione dei propri cuccioli, 
con un cane a fianco, rappresenta un pericolo gravissimo che va 
eliminato. E così fa Libera, reagendo in modo del tutto istintivo e 
naturale, non mostrando quel temibile eccesso di confidenza che può 
rappresentare un effettivo indice di pericolosità per l’uomo, tanto più 
che, dopo l’attacco, si eclissa e da oltre un mese non si fa più né 
vedere né trovare.
Come reagisce, invece la PAT? Non pensa, ovviamente, di scusarsi con la vittima dell’incidente per non averlo informato, per non aver affisso avvisi sulla presenza di orsi in fase riproduttiva in zona, per non aver diramato in modo efficace le norme corrette di comportamento da adottare con gli orsi, per non avergli messo a disposizione guide esperte che avrebbero potuto consigliare altri percorsi, per non avergli semplicemente imposto l’uso di un banale campanellino appeso allo zaino, così da essere sentito a distanza, permettendo a mamma orsa di radunare i suoi piccoli ed andarsene in pace. No, la PAT rifiuta tradizionalmente la prevenzione, pensa bene, al contrario, di rilanciare nuovamente l’immagine dell’orso killer, prospettando una sola soluzione: uccidere l’orsa cattiva anzi, chiedo scusa, “dannosa”. Inizia, quindi, a braccarla, impiegando enormi risorse umane (ma queste non potevano essere utilizzate prima e meglio?) e chiede al Ministro Galletti di poter iniziare a sparare liberamente agli orsi.
                          Come reagisce, invece la PAT? Non pensa, ovviamente, di scusarsi con la vittima dell’incidente per non averlo informato, per non aver affisso avvisi sulla presenza di orsi in fase riproduttiva in zona, per non aver diramato in modo efficace le norme corrette di comportamento da adottare con gli orsi, per non avergli messo a disposizione guide esperte che avrebbero potuto consigliare altri percorsi, per non avergli semplicemente imposto l’uso di un banale campanellino appeso allo zaino, così da essere sentito a distanza, permettendo a mamma orsa di radunare i suoi piccoli ed andarsene in pace. No, la PAT rifiuta tradizionalmente la prevenzione, pensa bene, al contrario, di rilanciare nuovamente l’immagine dell’orso killer, prospettando una sola soluzione: uccidere l’orsa cattiva anzi, chiedo scusa, “dannosa”. Inizia, quindi, a braccarla, impiegando enormi risorse umane (ma queste non potevano essere utilizzate prima e meglio?) e chiede al Ministro Galletti di poter iniziare a sparare liberamente agli orsi.
Ritenere di poter governare
 la presenza di queste creature ricorrendo solo alle misure di 
contenimento cruento di alcuni esemplari è pura illusione. Si tratta di 
un approccio bizzarro, pittoresco, funzionale allo show mediatico che ne
 può derivare e utile solo a chi ricerca qualche effimero consenso 
politico tra i cacciatori delle valli più sperdute, ma, come si è visto,
 che si rivela privo di efficacia sul piano gestionale, tanto per non 
parlare di sicurezza ed incolumità dell’uomo.
Eppure questa sembra, al momento attuale, l’unica strada concepita ed intrapresa dalla PAT, che continua a dimostrarsi ostinatamente sorda alle diffide e ai numerosi appelli lanciati anche dall’OIPA, che sta, ovviamente, valutando le azioni legali da intraprendere per contrastare la modifica del PACOBACE.
                          Eppure questa sembra, al momento attuale, l’unica strada concepita ed intrapresa dalla PAT, che continua a dimostrarsi ostinatamente sorda alle diffide e ai numerosi appelli lanciati anche dall’OIPA, che sta, ovviamente, valutando le azioni legali da intraprendere per contrastare la modifica del PACOBACE.
Molti attribuiscono alla 
PAT il merito di aver raggiunto l’obiettivo del progetto Life Ursus, 
nato nel 1999 con l’intento di rinfoltire lo sparuto manipolo di 
plantigradi autoctoni trentini, veri e propri reduci sopravvissuti alle 
persecuzioni umane ritirandosi nelle zone più impervie della regione, un
 obiettivo che prevedeva il raggiungimento di 40-60 esemplari 
sull’intero territorio provinciale. 
E’ vero che, ad oggi, questi orsi ci sono, ma è altrettanto vero che le indispensabili azioni di accompagnamento sono state colpevolmente omesse per oltre quindici anni. La reintroduzione di grandi predatori in un’area alpina a forte impatto antropico non equivale a ripopolare un gruppo di caprioli in un ridente boschetto del Paese dei Balocchi: i requisiti minimi da assicurare ad un simile progetto, e alla sua buona riuscita, sono riassumibili in una gestione complessiva, salda e continuativa, che moduli in modo equilibrato e costante la presenza dei plantigradi accanto all’uomo ed alle sue attività. La PAT, per tutta la durata del progetto, pur avendo provveduto ad un buon monitoraggio degli animali reintrodotti, ha (ir)responsabilmente omesso tutte quelle attività che avrebbero, molto probabilmente, evitato sia l’attuale inasprimento nella relazione con questi animali da parte della popolazione trentina (fortemente condizionata da media locali ispirati al puro sensazionalismo), sia e soprattutto gli incidenti, o meglio l’incidente con l’orso.
                          E’ vero che, ad oggi, questi orsi ci sono, ma è altrettanto vero che le indispensabili azioni di accompagnamento sono state colpevolmente omesse per oltre quindici anni. La reintroduzione di grandi predatori in un’area alpina a forte impatto antropico non equivale a ripopolare un gruppo di caprioli in un ridente boschetto del Paese dei Balocchi: i requisiti minimi da assicurare ad un simile progetto, e alla sua buona riuscita, sono riassumibili in una gestione complessiva, salda e continuativa, che moduli in modo equilibrato e costante la presenza dei plantigradi accanto all’uomo ed alle sue attività. La PAT, per tutta la durata del progetto, pur avendo provveduto ad un buon monitoraggio degli animali reintrodotti, ha (ir)responsabilmente omesso tutte quelle attività che avrebbero, molto probabilmente, evitato sia l’attuale inasprimento nella relazione con questi animali da parte della popolazione trentina (fortemente condizionata da media locali ispirati al puro sensazionalismo), sia e soprattutto gli incidenti, o meglio l’incidente con l’orso.
Come già proposto alla PAT 
in diverse occasioni, l’OIPA Italia, rappresentata dalle sue delegazioni
 di Trento e di Bolzano ed in stretta collaborazione con esperti del 
calibro di Franco Tassi (ex Direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo) e 
insieme ad altre associazioni, in particolare il WWF Italia 
rappresentato dal suo Presidente Regionale del Trentino Alto Adige 
(l’etologo e zoologo Dott. Osvaldo Negra), ha indicato chiaramente le 
strade da seguire per riscrivere la storia degli orsi in Trentino. Tutte
 queste proposte sono state elaborate all’interno di un progetto 
strutturato, i cui punti principali sono i seguenti:
• individuazione di un nucleo di “portatori di contenuti”, capaci di rispondere in modo competente a questioni relative alla biologia, all’ecologia e al comportamento degli orsi, così come di fornire precise indicazioni sulle misure di sicurezza ambientale ed individuale, sulla gestione dei danni da orso e dei relativi risarcimenti;
• organizzazione di incontri informativi locali dei suddetti “portatori di contenuti”, secondo un calendario reso pubblico e regolarmente aggiornato, destinati a tutte le persone coinvolte ed interessate dalla presenza degli orsi;
• organizzazione di convegni/dibattiti pubblici in cui intervengano testimonial di buona convivenza con gli orsi, in un confronto con realtà concrete, semplici e di successo;
• organizzazione di un corso di formazione per “Bear Rangers”, figure che agiscano come operatori specializzati in grado di monitorare la zona di loro competenza, di informare costantemente la popolazione locale sulla presenza degli orsi e di accompagnare i turisti in sicurezza nelle zone a maggior probabilità di incontro ravvicinato, perché queste diventino finalmente un polo d’attrazione eco-turistica;
• predisposizione e distribuzione di materiali informativi da diffondere massicciamente in tutto il Trentino e nelle APT italiane ed estere, come ad esempio brochure multilingue, manuali pratici, cartelli di avviso e di indicazione sulle norme comportamentali;
• programmazione di un sito web dedicato agli orsi, che fornisca consigli e suggerimenti su come godersi in modo sicuro le vacanze in Trentino, tramite il quale venga pubblicato periodicamente il “bollettino sugli orsi”, analogamente a come si fa per la neve; in pratica un valido strumento preventivo e nel contempo capace di promuovere la presenza dei plantigradi come attrazione turistica (azione già, in parte, realizzata dall’iniziativa privata www.bearme.it, con cui sarà eventualmente possibile raccordarsi);
• creazione e gestione, nelle zone ad alta densità di orsi, di aree di attutimento dell’impatto orso-uomo, come ad esempio i classici frutteti dedicati;
• individuazione e creazione di corridoi ecologici attraverso cui gli orsi possano autonomamente individuare le proprie vie di dispersione naturale, evitando eccessive concentrazioni sul territorio trentino;
• incentivazione e promozione di progetti eco-turistici in cui l’orso rivesta un ruolo centrale, fino alla creazione di consorzi e marchi di qualità ispirati e dedicati alla sua presenza sul territorio trentino;
• impiego attivo delle risorse presenti nel MUSE - Museo delle Scienze di Trento, per la diffusione di una “cultura dell’orso” attraverso progetti mirati, sia all’interno del museo che in forma itinerante.
Questi sono i prossimi 
passi da compiere, abbandonando la caccia alle streghe e le campagne di 
allarme collettivo finora perseguite dalla PAT. Se il nostro invito 
verrà colto, gli attuali governanti del Trentino potranno dimostrare, al
 mondo intero, che la sfida della convivenza pacifica di orso e uomo è 
non solo sostenibile, ma straordinariamente importante e 
meravigliosamente possibile.
15 ottobre 2015 
 
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