L’Australia porta il Giappone davanti alla Corte di Giustizia dell’Aia
Da nove anni, una battaglia imperversa in Oceano Antartico. L’Istituto giapponese di Ricerca sui Cetacei (ICR), con il pretesto della ricerca scientifica, caccia balene in un Santuario internazionalmente istituito e ne vende la carne.
La pratica della baleneria in acque internazionali è disciplinata da un trattato. La Convenzione Internazionale per la Regolamentazione della Baleneria (ICRW – 1946) rappresenta la base della normativa. Il Preambolo della Convenzione afferma che l’intenzione è quella di provvedere alla corretta conservazione degli stock di balene e, quindi, rendere possibile un ordinato sviluppo dell’industria baleniera. E’ firmata da 88 nazioni, tra cui Stati Uniti e Giappone.
La Convenzione ha istituito la Commissione Internazionale per la Baleneria (IWC), braccio operativo che lavora per tenere sotto controllo e rivedere, se necessario, le misure previste nel Preambolo della Convenzione che disciplina la caccia alle balene in tutto il mondo.
L’IWC nel 1986 ha posto una moratoria sulla caccia commerciale alle balene e nel 1994 ha istituito il Santuario dei Cetacei in Oceano del Sud. Tuttavia, l’articolo VIII della Convenzione prevede una deroga che consente ai governi degli Stati membri di rilasciare permessi per la baleneria a scopo scientifico.
Da 20 anni il Giappone emette tali permessi per i suoi balenieri, in particolare per l’Istituto di Ricerca sui Cetacei.
La caccia alle balene avviene in Antartide, una zona pluri-giurisdizionale. Molte nazioni rivendicano la propria giurisdizione su porzioni di questa zona, tra cui Inghilterra, Francia, Nuova Zelanda, Norvegia, Australia, Cile e Argentina. Il territorio reclamato dall’Australia è il più grande e si estende dai 60 gradi di latitudine Sud su una superficie di circa 6.119.818 km quadrati. All’interno di questo territorio il governo australiano ha istituito il Santuario dei Cetacei Australiano, dove ogni forma di uccisione delle balene è bandita. Il Giappone, che non ha rivendicato alcuna parte del territorio Antartico, non riconosce la pretesa dell’Australia su questo territorio, né le norme che disciplinano la zona.
Nel 2008, un tribunale federale australiano ha emesso un’ingiunzione contro i balenieri giapponesi che pretendono di cacciare nel Santuario dei Cetacei Australiano. Il Giappone ha continuato la sua “caccia scientifica” senza curarsi minimamente dell’ingiunzione. L’Australia, sostenuta dalla Nuova Zelanda, ha deciso allora nel 2010 di portare la baleneria scientifica giapponese davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia per far dichiarare illegale, dal massimo organo giudiziario delle Nazioni Unite, questa pratica che persegue, in realtà, uno scopo esclusivamente commerciale.
Il 26 Giugno scorso hanno avuto inizio le udienze relative al caso.
Sea Shepherd Conservation Society è l’unica organizzazione internazionale non-governativa che si è apertamente e fisicamente opposta alle illegalità dei balenieri giapponesi in Oceano del Sud negli ultimi nove anni, procurando loro ingenti perdite economiche e salvando la vita di quasi 5.000 balene.
Sea Shepherd è stata invitata a partecipare a tutte le udienze. Il Capitano Alex Cornelissen, Responsabile Esecutivo di Sea Shepherd Globale ed il Coordinatore di Sea Shepherd Olanda, Geert Vons, hanno presenziato alle sedute e hanno costantemente riferito sull’andamento della causa ed analizzato argomentazioni e repliche delle parti.
Il Giappone pretende di cacciare a scopo scientifico 1.035 balene ogni stagione, la cui carne finisce sui tavoli dei ristoranti, sui banchi dei supermercati e nelle mense scolastiche. Non esiste alcuna pubblicazione redatta dall’Istituto di Ricerca sui Cetacei che abbia una qualche valenza o credibilità scientifica, riconosciuta e certificata dalla comunità scientifica internazionale.
I delegati giapponesi presso la Corte hanno decisamente faticato a trovare argomenti legali in loro difesa. Infatti sono ricorsi, come spesso è accaduto in altre occasioni, all’arroganza, al proprio orgoglio nazionalista, alle accuse di razzismo culturale e alle minacce.
Hanno addirittura contestato la competenza sul caso dei giudici della Corte di Giustizia e hanno lasciato intendere che, nell’eventualità di una pronuncia della Corte sfavorevole, il Giappone sarebbe immediatamente uscito dall’IWC, non dovendone più rispettare le regole.
Sea Shepherd è stata nominata molte volte nel corso delle udienze ed accusata di “illegalità” da parte dei delegati giapponesi, che hanno trovato molto offensiva ed umiliante la concessione a due illustri rappresentanti dell’Organizzazione loro nemica di presenziare alle udienze in cui il “diritto di caccia” del loro Paese veniva messo in discussione.
L’intervento della Nuova Zelanda si è focalizzato sulle motivazioni attorno alle quali l’articolo VIII della Convenzione del 1946 è stato istituito, sul contenuto dell’articolo stesso e su come dovrebbe essere interpretato. E’ chiaro che il Giappone sta portando avanti da solo una falsa interpretazione dell’articolo e di molti altri elementi discussi nelle prime udienze.
L’Australia ha esposto i motivi a sostegno della competenza della Corte di Giustizia sul caso e ha presentato le proprie argomentazioni sulla natura prettamente commerciale e, quindi, non scientifica della baleneria giapponese.
L’Australia ha puntualizzato che il Giappone, in realtà, non ha portato in giudizio nessun argomento per difendere la propria tesi della cosiddetta ricerca scientifica nel suo turno di apertura. Anzi, non ha fatto altro che proporre un cumulo di argomentazioni che, nella maggior parte dei casi, non avevano alcun rapporto con il caso reale ed erano utilizzate, invece, come distrazioni dal vero problema in questione.
Nel suo discorso di chiusura per l’Australia, il Procuratore Generale Mark Dreyfus ha espresso la speranza che questo caso si risolva a favore dell’Australia, mettendo fine ad una questione che è stata oggetto di dibattito e frustrazione a livello mondiale per molti decenni.
Le lagnanze dei delegati giapponesi sulla presenza in aula dei rappresentanti di Sea Shepherd sono state, alla fine, ascoltate.
E’ piuttosto imbarazzante che un organo ai massimi livelli della giurisdizione mondiale e ai massimi livelli, almeno teoricamente, di indipendenza e discrezionalità, si sia lasciato influenzare dagli umori di una potenza economica.
E’, così, accaduto che l’ultima sessione di udienze, in cui il Giappone ha potuto replicare alle argomentazioni australiane, si è svolta a porte chiuse.
Il Capitano Alex Cornelissen e Geert Vons si sono sentiti dire alle soglie del Palazzo della Pace un “You cannot pass” (“non potete passare”), di tolkieniana memoria.
Non è stata fornita alcuna concreta motivazione e, quindi, si aprono le varie speculazioni.
Possiamo solo augurarci che il nome altisonante della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia venga “onorato” dal consesso dei 16 giudici investiti della causa e che adesso stanno seguendo il complesso iter procedurale che porterà all’emissione della sentenza finale, senza appello.
Molto probabilmente quando arriverà la decisione della Corte, la decima Campagna Antartica in Difesa delle Balene di Sea Shepherd Conservation Society, Operazione Relentless, avrà già avuto inizio nelle acque dell’Oceano del Sud e i giapponesi saranno ancora più nervosi e aggressivi per aver dovuto subire un processo davanti agli occhi di Sea Shepherd e del mondo.
La decisione finale della Corte potrebbe avere gravi conseguenze che vanno ben oltre la questione della stessa baleneria. Si tratta di una pronuncia di importanza fondamentale in un’ottica ambientalista ma anche politica.
Se il Giappone riuscisse ad imporre le proprie argomentazioni ne deriverebbero conseguenze disastrose non solo per le balene, ma per tutta la vita negli oceani. Si aprirebbero le porte alle richieste, da parte delle altre nazioni, di esercitare i propri “diritti” allo sfruttamento delle specie e delle risorse marine e la certezza del diritto internazionale per la conservazione subirebbe un duro colpo.
E’ comunque probabile, anche se non auspicabile, che la Corte dell’Aia ricorra ad una soluzione “diplomatica”, riconoscendo la validità di entrambe le posizioni delle due nazioni, senza prendere in sostanza nessuna decisione o chiedendo piccole concessioni reciproche alle parti.
In pratica, un nulla di fatto.
L’unica sentenza possibile che risponda a giustizia sostanziale e rispetti il sacrosanto principio della certezza del diritto è quella che dichiari la baleneria giapponese a scopo scientifico dell’ICR in Oceano del Sud ed i relativi programmi JARPA e JARPA II totalmente illegali, per la provata assenza del presupposto essenziale della “scientificità dello scopo”, per le reiterate violazioni delle norme a tutela dei santuari e sulla prevenzione dell’inquinamento ambientale e per aver, ovviamente, violato di fatto la moratoria sulla caccia commerciale alle balene stabilita dall’IWC nel 1986.
Rimane aperta l’incognita sul fatto che il Giappone sarebbe o meno disposto ad osservare una sentenza sfavorevole, in toto o in parte, e sulle possibili conseguenze.
Su questo potremmo scrivere un nuovo articolo, ma un punto fermo e certo esiste ed è che, qualunque sia la sentenza finale della Corte, Sea Shepherd Conservation Society tornerà in Oceano del Sud a difendere le balene dagli arpioni giapponesi ogni volta che l’ICR deciderà di dare il via ad una stagione di caccia in futuro.
E questa è già una vittoria per le balene.
Fonti:
http://verdict.justia.com/2013/08/13/protesters-or-pirates
http://www.seashepherd.org.au/
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