venerdì 9 dicembre 2022

Quando moriamo non siamo ancora del tutto morti per un anno: la scoperta nella ‘fattoria dei corpi’

Quando moriamo non siamo ancora del tutto morti per un anno: la scoperta nella ‘fattoria dei corpi’

Il nostro corpo, una volta che siamo morti, continua a vivere per quasi un anno. Questo è quanto ha scoperto la scienziata Alyson Wilson che studia ciò che c’è da sapere sul post mortem e che è giunta alle sue conclusioni grazie ad una ricerca realizzata nella segreta ‘fattoria dei corpi’ in Australia.

Il nostro corpo continua a ‘vivere’ dopo la morte per ancora un anno circa, questo è quanto hanno scoperto gli scienziati direttamente nella segreta ‘fattoria dei corpi’ che si trova in Australia. Vediamo insieme cosa significa, come lo hanno scoperto, quali sono le conseguenze di queste nuove informazioni sul post mortem e cos’è la ‘fattoria dei corpi’.

La ricercatrice Alyson Wilson ha studiato per più di 17 mesi il comportamento dei cadaveri fotografandone ogni movimento e sfruttando il time-lapse e ha scoperto che, in realtà, quando moriamo non riposiamo esattamente ‘in pace’, ma il nostro corpo continua a ‘vivere’. In un caso specifico, addirittura, le braccia di una persona deceduta da che erano conserte si sono spostate lungo il corpo. Ma come è possibile?

Secondo la ricercatrice, i movimenti che si registrano nei cadaveri sono da attribuire al processo di decomposizione, quindi mentre il corpo si mummifica e i legamenti si seccano.

Per giungere a questa conclusione, la ricercatrice, che racconta di essere da sempre affascinata dai cadaveri, si è spostata ogni mese da Cairns a Sydney dove si trova, in una località segreta, la ‘fattoria dei corpi’, cioè un luogo in cui sono conservati 70 corpi destinati alla scienza. Ufficialmente conosciuta come ‘Australian Facility for Taphonomic Experimental Research (AFTER)’, questa ‘fattoria’ è un luogo in cui si conducono ricerche pionieristiche sul comportamento del nostro corpo post mortem.

Quanto scoperto è interessante poiché può aiutare la polizia a stimare l’esatto orario di morte, riducendo gli errori e facilita anche l’identificazione di corpi di persone scomparse da molto tempo. Insomma una migliore comprensione dei movimenti del nostro corpo post mortem potrebbe anche aiutare a ridurre il rischio di sbagliare la causa della morte o l’interpretazione di una scena del crimine.

Zeina Ayache

9.12.2022 

 

giovedì 1 dicembre 2022

A proposito del Programma di reazione...

Nel libro che sto leggendo, per migliorare il programma di reazione, viene spiegato che ogni paura (anche se risalente agli anni dell'infanzia) è generata da una memoria di sofferenza registrata nel subconscio; si tratta cioè di una specie di programma che registra la valutazione finale (positiva o negativa) di una situazione o di un evento sperimentato nella realtà, memorizzando tale valutazione come feedback, da utilizzare nelle situazioni di pericolo, in modo da garantirci la sopravvivenza.

Come spesso accade, se la prima reazione registrata è stata di shock e quindi negativa (il dr. Hamer la definirebbe una DHS), questa crea una traccia, e viene ad attivarsi in automatico in tutte le occasioni simili ad essa, fino a quando non verrà riportata a livello cosciente ed essere quindi sostituita da una migliore e costruttiva.

Per modificare il programma di reazione, quando questa è disfunzionale e porta alla somatizzazione, occorre ripercorrere all'indietro il tempo, sino ad individuare ogni reazione generata dalla paura, in modo da recuperare il tipo di emozione che l'ha generata, e di cambiarla quindi dall'origine. Si tratta comunque di un programma automatico di autodifesa, ma che può e deve essere aggiornato per guarire dai traumi e dal dolore.