martedì 22 aprile 2014



La lista dei prodotti «antichi» che qualcuno ha deciso di salvare dall’estinzione 
Piante antiche: un patrimonio da salvare che vale 11 miliardi
La mela zitella, la patata blu di Svezia, le coste dal gambo rosso, il pollo Ancona: non è l’elenco delle portate di uno strano menù

di Alice Dutto



La pera campana e la pesca carota 
La pera campana e la pesca carota

Non solo foche e orsi polari: oggi anche molte varietà di frutta, verdura, piante e animali domestici sono in pericolo. Dal 1990, dice Coldiretti, il 75% della diversità genetica delle colture agricole è andato perduto. La Confederazione italiana agricoltori parla di un rischio che colpisce più di un quarto degli oltre 5 mila prodotti agroalimentari tradizionali italiani. Una grave perdita, anche dal punto di vista economico: se questo patrimonio fosse valorizzato, infatti, potrebbe generare un business da 11 miliardi di euro, più del doppio di quello del turismo enogastronomico italiano. 
«Specie antiche» a rischio
Il problema è che le «specie antiche» non sono più coltivate o allevate perché hanno scarsa resa o perché non vanno più di moda. È il risultato delle leggi di mercato, che vogliono solo frutta e verdura perfette sugli scaffali, ma anche delle logiche di cementificazione, che tolgono terra alle colture. In questo quadro c’è chi resiste. Sono piccoli agricoltori, vivaisti e associazioni che hanno fatto del recupero della biodiversità locale e della tutela dei semi una vera battaglia. «In Trentino il 70-80% delle mele coltivate è Golden, una varietà di origine americana», dice Alberto Ormezzoli, amministratore del vivaio di famiglia. «Quello delle mele è un settore dai grandi numeri, fondato sulle coltivazioni intensive e la distribuzione nei supermercati. Noi, invece, puntiamo su una nicchia: e cioè su chi vuole prodotti locali, dai colori e sapori particolari. E negli ultimi vent’anni la vecchia cultivar è sempre più ricercata, anche perché è più resistente e non ha bisogno di pesticidi o fertilizzanti».

C’è chi resiste
Ci sono anche esperienze di collaborazione con l’estero. A Stabio, in Canton Ticino, è attiva una sede di ProSpecieRara, associazione svizzera che si occupa della conservazione dei «semi antichi». Nel tempo, i suoi influssi sono arrivati anche nella zona di Varese. «Coltiviamo le patate blu di Svezia, le San Gallo, le coste dal gambo rosso e giallo, il cavolo riccio e, dalla prossima stagione, anche il mais rosso del Ticino», dice Federica Baj, dell’azienda agricola biologica BioBaj di Cantello. «Poi vendiamo tutto nei mercatini della Terra di Slow Food a Milano. Il costo è un po’ più alto, circa il 20%, perché la resa è minore, ma il gusto e la qualità sono imbattibili».

Riscontri positivi
E le contaminazioni con l’estero vanno anche nella direzione opposta: «Da qualche tempo, oltre alle mostre e fiere che facciamo in tutta Italia per far conoscere queste antiche varietà, ci siamo spinti anche oltreconfine», dice Elisa Maioli, dell’omonimo vivaio. «E il riscontro è stato molto buono. Venderemo sicuramente anche là». Dai venditori alle manifestazioni, si stanno moltiplicando sul territorio le mostre e gli appuntamenti dedicati. Come «Frutti antichi», che si svolge presso il Castello di Paderna, in provincia di Piacenza. Un evento sostenuto dal Fondo ambiente italiano che quest’anno arriverà alla 19ma edizione. «Oggi abbiamo complessivamente 180-190 espositori che provengono da ogni regione italiana e circa 15 mila visitatori all’anno da dieci anni», dice l’organizzatrice Claudia Marchionni. «E, nel tempo, la manifestazione ha preso anche una piega culturale, allargata anche agli antichi mestieri contadini dimenticati».
Custodi di semi e di polli
Per salvare i «semi antichi» si può intervenire in prima persona. E non serve avere un grande appezzamento di terreno: «Abbiamo insegnato anche a coltivare le vecchie patate sulle ringhiere», dice Salvatore Sironi, vice presidente di Civiltà Contadina. «Frequentando i nostri corsi i soci diventano Custodi di semi: ogni anno gli inviamo un kit di semi selezionati che devono restituire a fine stagione con il doppio della quantità avuta in prestito». A loro volta i semi riconsegnati vengono conservati nelle banche del seme locali e in quella nazionale, garantendo così la loro sopravvivenza. «In tutto, sono più di 2 mila le varietà che tuteliamo grazie all’azione di quasi 800 soci», conclude Sironi. Un metodo simile viene utilizzato per il pollo Ancona, una delle razze ovaiole antiche più scenografiche, ma anche rustica e selvatica e perciò è meno adatta all’allevamento in batteria. Per questo motivo rischiava di estinguersi, ma ora si può salvare facendosi spedire a casa le uova fecondate alla Cascina del vento, in provincia di Alessandria, dove dal 2005 è attivo un programma di tutela della specie.
La sfida legislativa
La Rete semi rurali (Rsr) sta cercando di incidere a livello locale e internazionale per un cambio di passo nella legislazione sementiera. «Il nostro obiettivo è promuovere i sistemi agricoli differenti da quelli tradizionali», commenta Riccardo Franciolini di Rsr, che aggrega una trentina di importanti associazioni del mondo agricolo italiano. «Ora il sistema incentiva gli agricoltori a comprare nuovi semi all’inizio di ogni stagione. Noi invece vogliamo che siano spinti a riseminare quelli che hanno già prodotto in modo da sviluppare le varietà locali». E anche l’Europa comincia a interessarsi al tema. Nell’ultima relazione sulle Risorse genetiche in agricoltura è emersa la necessità di destinare una parte dei fondi comunitari all’allevamento di vecchie razze o di colture tradizionali, cercando anche di creare un mercato che ne assorba l’offerta, per evitare che tutti questi sforzi si traducano solo in un’«operazione nostalgia». La lotta, dunque, continua.

22 aprile 2014 | 17:05 www.corriere.it

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