L'evoluzione delle orche modellata dalla 'cultura'
Il loro Dna è segnato dall'esperienza, come accade agli umani
4 giugno 2016 - Anche le orche, come gli umani, si sono evolute grazie alla 'cultura':
l'insieme delle esperienze fatte nel tempo e tramandate di generazione
in generazione (ad esempio per la pesca o la caccia alle foche) hanno
finito per modellare il Dna di questi giganti marini, aiutandoli ad
adattarsi rapidamente a vivere in habitat anche molto diversi tra loro,
che vanno dall'Artico fino all'Antartide. E' quanto rivela l'analisi del
Dna di 50 esemplari, pubblicata su Nature Communications dal gruppo di
ricerca guidato da Andrew Foote dell'Università di Berna, in Svizzera.
Le 50 orche
studiate appartengono a cinque diversi gruppi genetici: due vivono
nell'oceano Pacifico e tre in quello Antartico. Dalla comparazione dei
Dna è emerso che discendono tutti da un antenato comune,
vissuto circa 250.000 anni fa. I loro percorsi evolutivi hanno
cominciato a dividersi quando alcuni esemplari si sono allontanati (in
branchi composti da decine o centinaia di esemplari) per andare a
conquistare nuovi habitat. Dopo i primi momenti di difficoltà affrontati
dalle orche 'esploratrici', il numero degli esemplari
di ciascun gruppo ha iniziato a salire: le esperienze fatte per
adeguarsi al nuovo ambiente sono state quindi tramandate di generazione
in generazione, lasciando un'impronta unica sul Dna che ha rinforzato
l'identità genetica di ciascun gruppo.
Questo processo di
modellamento del genoma indotto dall'esperienza era stato studiato
finora solo nell'uomo: un classico esempio riguarda i geni per la tolleranza al lattosio, sviluppati dalle prime popolazioni di agricoltori e allevatori in seguito all'introduzione dell'attività lattiero-casearia.
ANSA
sabato 4 giugno 2016
mercoledì 1 giugno 2016
Cibo & Salute
Api potrebbero diventare vettori di antibiotico-resistenza
1 giugno 2016 - Allarme residui antibiotici per il miele. Arriva dalla Federazione nazionale ordini veterinari italiani (Fnovi) che, in una nota, riporta i dati del rapporto pubblicato a maggio dall'Efsa (European Food Safety Auctority) che evidenziano come campioni non conformi delle sostanze residue medicinali sugli animali e sui prodotti animali censite nel 2014\2015 siano presenti per lo 0,02% nella carne di suino, per lo 0,21% nelle carni ovine, per lo 0,54% nelle carni equine e per lo 0,72% nel miele. ''Gli eccessi rilevati sono sorprendenti - sottolinea in una nota la Fnovi - se si pensa alla consuetudine dei consumatori di ricercare qualità naturali nel prodotto delle api. Api che le Nazioni Unite indicano in un report quali impollinatrici senza le quali sparirebbero più di 70 delle 100 colture principali che forniscono circa il 90% del nutrimento della popolazione mondiale come frutta e verdura, oltre al fieno per alimentare il bestiame''.
"La possibilità di utilizzare antimicrobici in apicoltura - rileva il presidente Gaetano Penocchio prospetta un quadro rovinoso. Le api, infatti, potrebbero diventare vettori di antibiotico-resistenza, senza alcuna possibilità di controllo e quindi di difesa dalla contaminazione per le colture e per l'ambiente. Non ha alcun senso intraprendere campagne europee e nazionali contro l'utilizzo di antimicrobici in medicina umana e in veterinaria e poi non porsi criticamente nei confronti dell'impatto ambientale che si produrrebbe a trattare animali che abitano 14 milioni di alveari e volano ovunque sul territorio e sui campi" conclude Penocchio.
ANSA
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